Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2016, n. 7043

Esposizione ultradecennale all'amianto - Rivalutazione contributiva - Ricalcolo della prestazione pensionistica

 

Svolgimento del processo

 

1. - Con sentenza depositata in data 20 marzo 2009 la Corte d'appello di Firenze ha rigettato l'appello proposto da A.B. contro la sentenza resa dal Tribunale di Pistoia che aveva dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza la sua domanda, diretta ad ottenere la rivalutazione contributiva prevista dall'art. 13, comma 8°, legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, in conseguenza dell’esposizione ultradecennale all'amianto.

2. - La Corte territoriale, condividendo il ragionamento seguito dal primo giudice, ha applicato l'art. 47 del d.p.r. 30/4/1970, n. 639, come modificato dal d.l. n. 384/1992, e dichiarato la decadenza del ricorrente dal diritto preteso. Ha rilevato, in fatto, che la domanda era stata avanzata dal B. all'Inps, unico soggetto legittimato a provvedere sulla richiesta, il 21/7/2003, mentre la domanda giudiziale era stata proposta con ricorso depositato il 25/9/2007, oltre il termine triennale decorrente dopo il trecentesimo giorno di durata massima della procedura amministrativa.

3. - Contro la sentenza il lavoratore propone ricorso per cassazione fondato su due motivi, sintetizzati in altrettanti quesiti di diritto, ed illustrati da memoria. L'Inps resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 47 del d.p.r. n. 639/1970, come modificato dal d.l. n. 384/1992, convertito con modificazioni nella legge n. 438/1992, nonché dell'art. 13, comma 8°, legge n. 257/1992, e ne censura la loro applicabilità al caso in esame in cui la domanda non ha ad oggetto il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico, bensì la sola rivalutazione contributiva del trattamento già in godimento.

2. Con il secondo motivo denuncia la violazione della medesima norma di cui all'art. 47 d.p.r. cit. e la sua erronea applicazione all'ipotesi in cui l'Inps abbia del tutto omesso di provvedere sulla domanda amministrativa di prestazione previdenziale avanzata dal ricorrente, ritenendo che tale applicazione non sia "costituzionalmente orientata", con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost.

3. I motivi, che si affrontano congiuntamente stante la connessione che li lega, sono infondati alla luce del costante orientamento di questa Corte, da ultimo affermato con ordinanza del 4 febbraio 2016, n. 2234 (v. pure Cass., ord., 12 gennaio 2016, n. 311; Cass., ord., 25 novembre 2015, n. 24106 e Cass., ord. 4 aprile 2014, n. 7934).

4. Questa Corte, decidendo numerose analoghe controversie (cfr., in particolare, Cass. n. 12685 del 2008 e nn. 3605, 4695 e 6382 del 2012; ,ord. nn. 7138, 8926, 12052 del 2011, n. 1629 del 2012), ha espresso il principio che la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992) trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione.

5. Secondo le richiamate decisioni, infatti, l'art. 47 citato, per l'ampio riferimento fatto alle controversie in materia di trattamenti pensionistici, comprende tutte le domande giudiziarie in cui venga in discussione l'acquisizione del diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso, nella previsione di legge, anche l'accertamento relativo alla consistenza dell'anzianità contributiva utile ai fini in questione, sulla quale, all’evidenza, incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione in cui si sostanzia il beneficio previdenziale previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.

6. Con la domanda per cui è causa non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell'ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che - seppure previsto dalla legge ai fini pensionistici e, dunque, intimamente collegato alla pensione, in quanto strumentale ad agevolarne l'accesso (ovvero, nel caso dei già pensionati, ad ottenerne un arricchimento, ove la contribuzione posseduta sia inferiore al tetto massimo dei quarantanni) -, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli necessari per il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico.

7. Detti presupposti (esposizione all'amianto e relativa durata) sono fatti la cui esistenza è conosciuta soltanto dall'interessato, che quindi è tenuto a portarli a conoscenza dell’ente onerato dell'applicazione del moltiplicatore contributivo attraverso un' apposita domanda amministrativa, necessaria anche nel regime precedente l'entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (convertito nella L. n. 326 del 2003), che ne ha addirittura sanzionato la mancata presentazione entro il previsto termine con la decadenza dal diritto al ripetuto beneficio (v., ex multis, Cass. 11400/2012).

8. Si è, altresì, chiarito, con specifico riferimento alle domande giudiziali avanzate da soggetti già pensionati, che non sono applicabili i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 12720/2009, poiché, come si è già sottolineato, ciò che si fa valere non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto ad un beneficio dotato di una sua specifica individualità e autonomia.

9. È stato, al riguardo, così precisato: "È opportuno anche rilevare che dal sistema è ricavabile l’onere degli interessati di proporre all’istituto gestore dell’assicurazione pensionistica la domanda di riconoscimento del beneficio per esposizione all’amianto, nonostante incertezze lessicali del legislatore (cfr. Cass. n. 15008/2005)" ed anche chiarito che neppure è validamente invocabile il principio di imprescrittibilità del diritto a pensione, in quanto "tale particolarissimo regime non si estende a tutte le singole azioni relative alla costituzione della posizione contributiva, E del carattere sostanzialmente costitutivo del procedimento amministrativo e dell’azione in giudizio diretta al riconoscimento del beneficio contributivo per esposizione all’amianto sembra non potersi dubitare, stante i vincoli sostanziali, temporali e procedurali posti dalla legislazione in materia" (cfr. Cass. n. 1629 del 3 febbraio 2012; id. Cass. n. 11400 del 6 luglio 2012; Cass. n. 14531 del 16 agosto 2012; Cass. 14472 del 14 agosto 2012; Cass. n. 20031 e 20032 del 15 novembre 2012; Cass. n. 27148 del 4 dicembre 2013; Cass. n. 4778 del 27 febbraio 2014; v. da ultimo, Cass., 30 luglio 2015, n. 16132).

10. A tale orientamento non può validamente opporsi che la L. n. 257 del 1992 non prevede espressamente la necessità di presentazione della domanda amministrativa, a differenza di quanto dispone, con riferimento all'I.N.A.I.L, il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47 convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326. Esiste, infatti, la norma generale prevista dalla L. n. 533 del 1973, art. 7 (cui è sotteso l'interesse pubblico "ad una sollecita e meno costosa definizione di determinate controversie"; Cass., Sez. Un., 5 agosto 1994, n. 7269), che impone alla parte privata di compulsare ante causam l'ente erogatore, cioè la controparte, avviando così un procedimento amministrativo necessario che lasci all'amministrazione uno spatium deliberarteli di 120 giorni.

11. La tesi della generale indispensabilità dell'istanza amministrativa in relazione a tutte le controversie di cui all'art. 442 cod. proc. civ. (nella materia previdenziale e nell'assistenza sociale; nei confronti sia dell'I.N.P.S. sia degli altri enti erogatori; anche nel caso in cui ad agire sia il datore di lavoro per questioni concernenti i contributi assicurativi) è, del resto, assolutamente prevalente (cfr. ex multis Cass. 28 novembre 2003, n. 18265; Cass. 12 marzo 2004, n. 5149; Cass. 24 giugno 2004, n. 11756; Cass. 27 dicembre 2010, n. 26146; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2063). Milita in favore di siffatta ricostruzione la stessa ampiezza della formula legislativa, tale da non consentire distinzioni fra cause mirate ad un trattamento previdenziale e cause finalizzate ad altro scopo: anche queste incidono sul rapporto fra assicurato ed ente previdenziale, sicché non v'è ragione di negare allo stesso il consueto spatium deliberandi.

12. In conformità del sopra richiamato orientamento giurisprudenziale ed in base ai principi generali va, dunque, ritenuto che la domanda giudiziale di rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto proposta da soggetto iscritto (o pensionato) debba essere preceduta, a pena di improponibilità, da quella amministrativa rivolta all'ente competente a erogare la prestazione. Conseguentemente, la mancanza di domanda all'I.N.P.S. conduce alla pronuncia di improponibilità dell'azione (cfr. Cass. 15/1/2007, n. 732), insanabile nel medesimo processo (cfr. Cass. 12 marzo 2004, n. 5149).

12. Rimane così confermata, per altra via, l'applicabilità al caso in esame della norma sulla decadenza, che deve trovare applicazione anche nel caso in cui, come quello in esame, manchi un provvedimento di rigetto della domanda amministrativa, contenente precise indicazioni sulle modalità di impugnazione del provvedimento.

Ed infatti, l’obbligo dell’Inps di "indicare ai richiedenti le prestazioni o ai loro aventi causa, nel comunicare il provvedimento adottato sulla domanda di prestazione, i gravami che possono essere proposti, a quali organi debbono essere presentati ed entro quali termini" essendo "tenuto, altresì, a precisare i presupposti ed i termini per l’esperimento dell’azione giudiziaria", ai sensi dell’ultimo comma della disposizione denunciata, non interferisce sulla decorrenza del termine di decadenza.

Come le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato con la sentenza n. 12718 del 2009, in tema di decadenza dall'azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali l'art. 47 d.p.r. citato, dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua nella "scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo" la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui alla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 7 e di centottanta giorni, previsto dalla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 46, commi 5 e 6), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo - pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell'azione giudiziaria - non consente lo spostamento in avanti del "dies a quo" per l'inizio del computo del termine decadenziale. Tale disposizione - per configurarsi come una norma di chiusura volta ad evitare una incontrollabile dilatabilità del termine di una decadenza avente natura pubblica - deve trovare applicazione anche se il ricorso amministrativo o la decisione sul ricorso siano intervenuti in ritardo rispetto al termine previsto ed anche in caso di mancanza delle indicazioni di cui al cit. art. 47, u.c. (comma 5) - (Cass. 29 marzo 2010, n. 7527

; Cass. 23 agosto 2011, n. 17562; Cass. Sez. Un., 29 maggio 2009, n. 12718; da ultimo, Cass,. 13 agosto 2014, n. 17942).

13. A tale ormai univoco orientamento il ricorrente oppone una diversa interpretazione dell'art. 47 d.p.r. citato, "costituzionalmente orientata", e sostiene, anche nella memoria ex art. 378 cod.proc.civ., I' irragionevolezza della equiparazione della posizione di chi abbia ottenuto un provvedimento espresso, con l'indicazione dei termini e delle modalità per l'impugnazione a norma dell'art. 47, comma 5°, d.p.r. n. 639/1970, con quella di chi è stato invece destinatario di un comportamento inerte della amministrazione, e che pertanto non sia stato edotto delle possibilità e dei termini di reazione. Secondo tale tesi, in quest'ultimo caso, la inoperatività della decadenza si imporrebbe alla luce del principio costituzionale di eguaglianza e effettività di tutela del cittadino.

14. Tale tesi non può essere condivisa. L'ordinamento conosce una molteplicità di silenzi equipollenti a provvedimenti, cui fa seguito un termine, spesso brevissimo, di impugnazione: si pensi, per tutti, al diritto di accesso, previsto dagli artt. 22 e ss. legge n. 241/1990 (e successive modifiche), per il quale si prevede che, trascorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende rifiutata (art. 25, comma 4°, I. cit.) e l'interessato può ricorrere nel (successivo) termine di trenta giorni. In questa ipotesi la posizione del destinatario è del tutto parificata a quella del privato cui sia stato comunicato o comunque reso noto un provvedimento espresso, anche sotto l'aspetto delle garanzie difensive costituzionalmente previste. E ciò sul presupposto che è la legge stessa a prevedere i termini di conclusione del procedimento e di reazione del cittadino, termini che il privato è tenuto in ogni caso a conoscere e rispettare (cfr. per tale indirizzo per tutte: Cass. 23 marzo 2005 n. 6231).

Deve altresì rilevarsi che, nell’ambito della previdenza, non si tratta di impugnare il provvedimento amministrativo ma di provvedere sul rapporto e quindi non sorge la necessità di indicazione del soggetto a cui ricorrere, che è sempre il giudice ordinario; così come il termine entro cui reagire al diniego del diritto è già predeterminato dalla legge, sicché il provvedimento non potrebbe far altro che ripetere il dettato normativo. Il principio enunciato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 86 del 1998 e n. 311 del 1994 - in cui si è affermato il carattere generale della disposizione prevista dall'art. 3, comma 4, I. 7 agosto 1990, n. 241 che dispone che "in ogni atto notificato ai destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere", vale quando la posizione del privato è effettivamente incisa dal - provvedimento amministrativo, e non quando, come in materia previdenziale, il provvedimento ha carattere meramente ricognitivo ed è data piena tutela all'interessato davanti ad un unico giudice, ossia il giudice ordinario, quale giudice del rapporto (cfr. Cass., 7 dicembre 2007, n. 25670).

15. In definitiva il ricorso deve essere rigettato. I contrasti interpretativi esistenti in materia al momento della proposizione del ricorso consigliano la compensazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.