Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 aprile 2016, n. 6966

Tributi - Accertamento cd. a tavolino - Contraddittorio endoprocedimentale - Mancato rispetto del termine di sessanta dal verbale di chiusura delle operazioni ispettive per l’emissione dell’atto di accertamento - Annullamento dell’atto - Esclusione

 

In fatto e in diritto

 

L’Ufficio fiscale di Acqui Terme notificava ad A. A. un invito a produrre documentazione relativa alla determinazione dei redditi per gli anni di imposta 2006 e 2007 al quale la contribuente, esercente la professione di avvocato, ottemperava, depositando documentazione e prospettando in contraddittorio le proprie ragioni.

Successivamente veniva emesso a carico della contribuente un avviso di accertamento per l’anno 2006 relativo alla ripresa a tassazione di IVA, IRPA e IRES.

La CTP di Alessandria respingeva il ricorso con sentenza riformata dalla CTR del Piemonte. Secondo il giudice di appello l’art. 12 c. 7 L. n. 212/2000 si riferiva alla data di chiusura delle operazioni di verifica contabile e non alla verbalizzazione scritta. Ciò consentiva di superare l’obiezione secondo la quale il pvc del 29.11.2011 non sarebbe stato idoneo a far decorrere il termine di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento. La giurisprudenza aveva dunque superato il principio secondo il quale era necessario che decorressero sessanta giorni dal verbale di chiusura delle operazioni ispettive, avendo ormai affermato che l’inosservanza del termine fissato dall’art.12 c.7 l. 212/2000 determina la nullità dell’atto accertativo se non contiene una motivazione circa le ragioni di urgenza.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. La parte intimata ha resistito con controricorso e memoria.

La ricorrente prospetta la violazione degli artt. 12 c.7 l.n.212/2000 e 7 l. n.212/2000.

La CTR non aveva considerato che in ipotesi di accertamenti c.d. a tavolino senza accesso nei locali della parte contribuente non trovava applicazione l’art. 12 c. 7 L. n. 212/2000, nemmeno sussistendo un obbligo dell'Ufficio di dare conto di tutta la fase del contraddittorio che aveva preceduto l’emanazione dell’avviso.

Con il secondo motivo si deduce, in via graduata, l’omesso esame del fatto decisivo e controverso per il giudizio, rappresentato dalla circostanza che l’accertamento a carico della parte contribuente non si era svolto presso i locali di sua pertinenza ma esclusivamente all’interno degli Uffici dell’Agenzia.

La parte intimata ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevandone l’infondatezza. Premesso che non ricorrono i presupposti per la trattazione congiunta del procedimento con altro relativo ad altro accertamento reso a carico del coniuge della contribuente, il ricorso, nei termini di seguito esposti, è manifestamente fondato e va accolto.

Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24823, depositata il 9 dicembre 2015, esaminando la questione, rimessa da questa sottosezione con ordinanza interlocutoria n.527/2015, hanno chiarito che le garanzie fissate nell'art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l'operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni.

Nella medesima occasione le Sezioni Unite hanno chiarito che "Differentemente dal diritto dell'Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto. Ne consegue che, in tema di tributi "non armonizzati", l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi "armonizzati", avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto."

Orbene, la decisione impugnata si pone in contrasto con gli enunciati principi di diritto.

Ha, infatti, per l’un verso disposto l'annullamento integrale dell'atto impositivo dedotto in controversia per difetto di contraddittorio endoprocedimentale ancorché, quanto all'accertamento a fini IRPEG e IRAP non sussistesse in capo all'Amministrazione fiscale, vertendosi pacificamente in tema d'indagine "a tavolino"-v., infatti, pag.5 2A cpv. e 6 ultimo periodo controricorso, ove si fa riferimento unicamente al processo verbale in contraddittorio a seguito dell’invio della documentazione da parte della contribuente-, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e, quanto all'accertamento a fini IVA pure oggetto di contestazione abbia omesso di acclarare l'assolvimento, da parte della società contribuente, dell'onere di specifica enunciazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo.

La CTR avrebbe infatti dovuto verificare che il contribuente aveva assolto l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, ed ancora che l'opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto "-cfr. Cass.S.U.n.24823/2015.

Va poi evidenziato che con la memoria ex art. 378 c.p.c. la parte contribuente ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000 (come interpretato dalla su menzionata decisione delle sez. unite 24823/2015, ritenuta costituire "diritto vivente"), per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. nonché del canone di ragionevolezza intrinseca ex art. 97 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost, anche in riferimento all’art. 111 Cost., evidenziando che analoga questione di costituzionalità è stata sollevata dalla CTR Toscana con ordinanza 736/1/15 in data 21-12-2015/18-1- 2016.

La questione è manifestamente infondata.

Come evidenziato, invero, dalle S.U. nella ricordata sent. n. 24823/2015 il dato testuale del detto art. 12, comma 7, L. 212/2000, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contradditorio procedimentale alle sole "verifiche in loco", è da ritenersi "non irragionevole", in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, "caratterizzate dall’autoritari va intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contradditorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso Ì locali aziendali"; siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica ("in loco" o "a tavolino"), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost..; né una questione di costituzionalità, sempre con riferimento all’art. 3 della Cost. può porsi per la duplicità di trattamento giuridico tra "tributi armonizzati" e "tributi non armonizzati", atteso che, come anche in tal caso evidenziato dalla su menzionata sentenza delle S.U.n. 24823/2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contradditorio procedimentale. Del resto, poiché il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell'IVA, non può ritenersi che una soluzione in tema di contraddittorio endorpcedimentale in materia IVA diversa da quella espressa per i tributi diretti crei un vulnus al principio di non discriminazione sul versante comunitario né a quello della ragionevolezza sul piano interno- cfr.Corte giust. 17 marzo 2007, causa C-35/05; Cass.22132/2013-.

L’affermata insussistenza, nell’ordinamento tributario nazionale, di una clausola generale di contradditorio endoprocedimentale non viola, inoltre, né l’art. 24 Cost. né l’art. 111 Cost., atteso che, come espressamente affermato da Cass.S.U. n.24823/2015, le garanzie di cui all’art. 24 "attengono, testualmente, all’ambito giudiziale", né l’art. 111 Cost., in quanto il giudizio tributario, pur nella sua particolarità, è comunque rispettoso del principio della c.d. "parità delle armi", giacché, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dall'art. 7 d.lgs. 546/1992, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non solo all'Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d'indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente.

In conclusione, la sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, va pertanto cassata e la causa rinviata, anche per l’esame delle questioni ritenute assorbita dal giudice di appello e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della CTR del Piemonte.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità ad altra sezione della CTR del Piemonte.