Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 aprile 2016, n. 6902

Lavoro - Dipendenti comunali - Trasporto urbano - Lavoro straordinario - Maggiorazioni

 

Svolgimento del processo

 

1 - G.M., C.M., C.P., G.P., G.Q., G.P., D.M., D.M. e L.N., tutti dipendenti del Comune di Latina addetti al servizio di trasporto urbano, con distinti ricorsi ex art. 633 c.p.c. chiedevano al Tribunale di Latina di ingiungere alla amministrazione comunale il pagamento delle somme dovute agli operatori di esercizio, a titolo di maggiorazione per il lavoro straordinario prestato nel periodo 2001/2004.

Il Tribunale emetteva i decreti e respingeva le opposizioni proposte dal Comune di Latina, rilevando che quest'ultimo, erroneamente, aveva preteso di applicare, ai fini della quantificazione della retribuzione oraria, il divisore 195 in luogo del divisore 156, invocato dai creditori opposti.

2 - Avverso le sentenze nn. 3215, 3216, 3217, 3218 R.G. 2006, 2734, 2735, 2736, 2737 R.G. 2007 proponeva appello il Comune di Latina rilevando, sostanzialmente, che il Tribunale non aveva in alcun modo considerato le disposizioni contenute nel CCNL Autoferrotranvieri, pacificamente applicabile al rapporto, né aveva valutato la nota del 10 maggio 2004 con la quale l'ASSTRA aveva fornito i chiarimenti richiesti, indicando le ragioni per le quali la retribuzione oraria doveva essere quantificata dividendo per 195 la retribuzione mensile.

3 - La Corte di appello di Roma, previa riunione del giudizi, accoglieva parzialmente te impugnazioni e revocava i decreti ingiuntivi opposti.

Osservava la Corte territoriale che, essendo il rapporto regolato dal CCNL Autoferrotranvieri, la maggiorazione per il lavoro straordinario doveva essere applicata sulla retribuzione oraria, calcolata nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 4, 15 e 17 del richiamato contratto collettivo. Aggiungeva che, evidentemente, il Comune era incorso in errore allorquando, in passato, aveva applicato il divisore 156 previsto dal CCNL per il comparto degli enti locali.

Escludeva, inoltre, che gli appellati potessero invocare una prassi aziendale più favorevole, sia perché detta prassi era stata invocata tardivamente solo nelle note difensive, sia in quanto la stessa era rimasta indimostrata.

Infine la Corte di Appello riteneva non fondata la domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito, riproposta dal Comune In sede di gravame, giacché il diritto del datore di lavoro alla restituzione di somme corrisposte in eccesso sorge solo allorquando l'errore sia essenziale e riconoscibile da parte dell'altro contraente.

4 - Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso, sulla base di tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., G.M., C.P., G.P., G.Q., G.P., D.M. e L.N., nonché gli eredi di C.M. e D.M., entrambi deceduti dopo la pronuncia della sentenza impugnata.

Il Comune di Latina ha resistito con tempestivo controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1 - Con i primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente perché connessi, i ricorrenti denunciano, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione dell'art. 434 c.p.c. nonché nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 99, 132, 324, 112, 434 c.p.c. e 2909 c.c.

Rilevano sostanzialmente che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto il Comune appellante non aveva in alcun modo considerato la motivazione della sentenza impugnata e non aveva indicato le ragioni per le quali doveva essere applicato il divisore 195 anziché quello in precedenza utilizzato. Aggiungono che la Corte, nei fondare la decisione su ragioni non indicate dall'appellante, avrebbe violato gli artt. 99 e 112 c.p.c.

2 - I motivi sono ammissibili.

Questa Corte ha già affermato che il difetto di specificità dell'appello, non rilevato d'ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell'impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d'ufficio dalla Corte di Cassazione, salvo il limite dell'esistenza di un giudicato interno, se il giudice d'appello s'è pronunciato e non v'è stata impugnazione (Cass. 20.8.2013 n. 19222 e negli stessi termini Cass. 21.1.2004 n. 967).

Dal principio di diritto, che va qui ribadito, discende la infondatezza della eccezione sollevata dalla difesa del controricorrente.

I ricorrenti, inoltre, nel rispetto del principio dell'autosufficienza, hanno trascritto nel ricorso sia la motivazione della sentenza di primo grado, sia i motivi di appello, fornendo in tal modo alla Corte tutti gli elementi necessari per pronunciare sulla fondatezza della censura.

3.1 - I motivi sono, però, infondati, giacché non si ravvisa l'eccepito difetto di specificità dell'appello.

Occorre premettere che il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all'ambito del giudizio di legittimità, nei casi in cui venga denunciato un vizio che comporti nullità del procedimento o della sentenza impugnata, quale conseguenza del compimento di un'attività processuale deviante rispetto al modello rigorosamente prescritto dal legislatore, è stato sanato dalle Sezioni Unite che, con la sentenza 22 maggio 2012 n. 8077, hanno affermato che in dette Ipotesi "il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali li ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall'art. 366 c.p.c. comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)".

Il principio di diritto, che va qui ribadito perché condiviso dal Collegio, è già stato applicato da questa Corte alla eccepita violazione dell'art. 342 c.p.c., in relazione alla quale si è affermato che, quando con il ricorso per cassazione venga denunciato un vizio attinente all'applicazione del principio della necessaria specificità dei motivi di appello, "il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda" (Cass. 10 settembre 2012, n. 15071 e negli stessi termini, con riferimento alla eccepita violazione dell'art. 434 c.p.c., Cass. 5.2.2015 n. 2143).

3.2 - Il rispetto degli oneri imposti dall'art. 434 c.p.c., nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non richiede l'adozione di formule sacramentali, essendo sufficiente che l'appellante esponga, anche sommariamente, i motivi dell'impugnazione, così da consentire al giudice di identificare i punti del provvedimento da esaminare e le ragioni, in fatto e in diritto, per le quali il gravame è proposto ( in tal senso Cass. 11.3.2014 n. 5562).

Le sentenze del Tribunale di Latina hanno respinto le opposizioni rilevando che il divisore 195 "presupporrebbe il computo di ben cinque settimane per ogni mensilità (39x5), il che non risulta ipotizzabile, attese le 52 settimane in un anno di 365 giorni e 12 mesi".

Il Comune ha lamentato la erroneità delle decisioni, tutte di identico contenuto, rilevando che il primo Giudice non avrebbe in alcun modo considerato la disciplina contenuta nella contrattazione collettiva di categoria né le indicazioni fornite dall'ASSTRA, la quale, nel rispondere alla richiesta di chiarimenti inoltrata dall'ente municipale, aveva precisato che la retribuzione oraria doveva essere calcolata sulla base del divisore 195 ed aveva richiamato l'art. 17 del CCNL 23 luglio 1976, come modificato dall'art. 11 del CCNL 12 marzo 1980.

Dette ragioni sono idonee a contrastare l'iter motivazionale delle sentenze impugnate ed individuano con chiarezza l'ambito della cognizione devoluta al giudice del gravame.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto, sia pure implicitamente, ammissibili le impugnazioni riunite ed ha pronunciato nel merito delle stesse, ritenendole fondate.

4 - Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano "omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo in relazione all'art. 360 co.1 n. 5 c.p.c.". Rilevano che il Comune di Latina aveva ammesso di avere applicato in passato un diverso divisore, riconoscendo al personale addetto al servizio di trasporto urbano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva. Assumono che la Corte territoriale non poteva limitarsi a ritenere tardiva la allegazione dell'uso aziendale, trattandosi di questione prospettata per contrastare "un elemento cardine dell'opposizione" e non per modificare le ragioni poste a fondamento della domanda.

5 - Il motivo è inammissibile.

Giudicando in fattispecie analoga questa Corte ha evidenziato che "ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre In nessun caso l'annullamento della sentenza (Sez. U, n. 7931 del 29/03/2013; Cass. n. 3386 del 11/02/2011; Cass. n. 2811 del 08/02/2006).

Nel caso in esame il motivo censura solo una delle rationes decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento del rigetto della pretesa del dipendente. In particolare, il motivo non investe l'affermazione, contenuta nella Impugnata sentenza, secondo cui non era stata neppure fornita la prova della sussistenza dell'uso aziendale invocato...." ( Cass. 17.3.2014 n. 6083 ).

Dette conclusioni, alle quali la Corte era già pervenuta con le sentenze nn. 3646/2014, 3647/2014, 5850/2014, 5851/2014, pronunciate tutte in fattispecie analoghe, devono essere anche qui ribadite, in quanto il giudice di appello non si è limitato a ritenere tardiva la allegazione dell'uso aziendale, ma ha anche ritenuto che non fosse stata dimostrata la invocata prassi ( si legge, infatti, a pag. 4 della sentenza "assolutamente tardiva ed inammissibile è l'invocazione da parte degli appellati di una prassi aziendale o come dagli stessi definita di "una clausola d'uso", comunque indimostrata").

Non possono assumere rilievo, ai fini della ammissibilità del ricorso, le osservazioni contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. circa la apoditticità della impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la prassi aziendale.

Come già evidenziato da questa Corte nelle decisioni sopra richiamate, la memoria ex art. 378 c.p.c. è destinata esclusivamente ad illustrare ed a chiarire I motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, e con la stessa non possono essere dedotte nuove censure né sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d'ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (Sez. U. n. 11097 del 15/05/2006; Cass. n. 28855 del 29/12/2005; Cass. n. 14570 del 30/07/2004).

6 - Il ricorso deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15%, ed accessori di legge