Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 aprile 2016, n. 6631

Tributi - TARSU - Avviso di accertamento - Luogo di notifica - Assenza di esplicita indicazione nella relata di notifica - Presunzione di notifica presso il domicilio del contribuente - Notifica ricevuta dalla madre - Irrilevanza del requisito di convivenza - Notifica legittima

 

Svolgimento del processo

 

Il sig. G.D.F. impugnò, con separati ricorsi, dinanzi alla CTP di Udine, due cartelle esattoriali, la prima dell’importo di € 278,86 per conguagli TARSU per l'anno 2001 e la seconda dell’importo di € 789,68 per TARSU dovuta per gli anni 1998, 1999 e 2000 nei confronti del Comune di Pasian di Prato, lamentando, per quanto qui ancora rileva, la mancata notifica in ciascun caso di previo avviso di accertamento.

Il ricorso avverso il molo suppletivo 2001 fu rigettato dalla CTP di Udine con sentenza n. 34 del 5 aprile 2004.

Quello proposto avverso la cartella relativa alle annualità 1998, 1999 e 2000 fu invece accolto dalia CTP di Udine con sentenza n. 16 del 12 aprile 2005, per ritenuta irregolarità della notifica del previo avviso di accertamento prot. 18247 del 20.12.2001.

Entrambe le pronunce furono impugnate dalle parti rispettivamente soccombenti.

La CTR del Friuli - Venezia Giulia, con sentenza n. 66/1/08, depositata il 29 ottobre 2008, riuniti gli appelli, accolse il ricorso dell’Ufficio sulla pronuncia ad esso sfavorevole e rigettò viceversa l’appello del contribuente avverso la sentenza che lo aveva visto soccombente, confermando, pertanto, in entrambi i casi, la legittimità delle cartelle impugnate dal contribuente.

Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione il contribuente in forza di sei motivi (erroneamente rubricati come sette), con gli ultimi tre dei quali eccepisce per la prima volta in sede di legittimità il difetto dì valida procura in capo al difensore del Comune, che avrebbe comportato, in entrambi i giudizi, l’invalida costituzione dell’ente in primo grado e l’inammissibilità dell’appello proposto avverso la sentenza che aveva visto soccombente l’Ente dinanzi alla CTP di Udine.

Il Comune di Pasian di Prato non ha svolto difese.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione degli articoli 139, 148 e 160 c.p.c.", relativamente alla statuizione con la quale la CTR ha ritenuto valida la notifica dell’avviso di accertamento prot. 18247 del 20.12.2001.

Ciò sebbene dalla relata di notifica non emergesse il luogo dell’avvenuta notificazione, effettuata a mani di persona diversa del destinatario, la sig.ra D.B., qualificatasi al messo notificatore come madre convivente del contribuente, e quantunque il ricorrente avesse contestato sia che la notifica fosse avvenuta presso il proprio domicilio, sia la qualità della B. come soggetto convivente con il figlio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione degli articoli 2697, 2699, 2725, 2729 c.c. e 116 c.p.c.", in ragione del fatto che la notificazione di detto avviso di accertamento fosse stata ritenuta valida dalla sentenza impugnata sulla base di una doppia presunzione, sia quanto al luogo dell’avvenuta notifica, sia con riferimento alla qualità della B. di familiare convivente, oggetto di specifica contestazione da parte del contribuente ed anzi di prova contraria in forza dell’esibita certificazione anagrafica.

3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per "violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c. per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio" evidenziando che la sentenza impugnata ha svolto una serie di considerazioni - quanto all’individuazione dello stato dei luoghi attinente alla prossimità delle abitazioni della B. e del D.F.

- che lasciano intendere che la notificazione dell’avviso di accertamento sia avvenuta non presso il domicilio del contribuente, come pure invece accertato dalla CTR in forza della succitata presunzione.

4. Con il quarto motivo (erroneamente indicato come quinto) il ricorrente deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione degli art. 1, 11, 12, D. Lgs. 546/1992 e 83, 182 e 345 c.p.c.".

Con detto motivo il ricorrente solleva per la prima volta in sede di legittimità la questione relativa all’invalidità della costituzione del Comune in ciascun giudizio di primo grado, ove, in virtù di deleghe, da parte del Sindaco, non redatte nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, erano stati delegati allo svolgimento delle difese da parte dell’Ente rispettivamente il dott. C. e la dott.ssa M., rivestenti la qualifica di segretario comunale, che non li legittimava come difensori abilitati all’assistenza tecnica, né quali soggetti aventi capacità di stare in giudizio ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 546/1992.

5. Analoga censura è svolta dal ricorrente con il quinto motivo (erroneamente rubricato come sesto), con il quale la sentenza impugnata è censurata per non avere rilevato d’ufficio l’inammissibilità dell’appello proposto dal Comune avverso la sentenza di primo grado della CTP di Udine che aveva visto l’Ente soccombente, in quanto proposto dall’avv. D. C., perché sprovvisto, in virtù delle considerazioni già esposte riguardo al motivo precedente, di valida procura ad litem, mancando la sottoscrizione dell’atto d’appello da parte del Sindaco.

6. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come settimo) il ricorrente deduce ancora "violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione degli art. 1, 11, 12, 61 D. Lgs. 546/1992 e 83 e 350 c.p.c.", non avendo la sentenza impugnata rilevato d’ufficio l’inammissibilità dell’appello proposto dal Comune col ministero dell’avv. C. in quanto privo di valida procura ad litem, essendo stata rilasciata dal Sindaco all’avv. C. mera delega, non nella forme dell’atto pubblico o di scrittura privata autenticata.

7. Devono essere previamente esaminati i motivi attinenti al denunciato difetto di procura (quarto, quinto e sesto motivo), che possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro intima connessione.

Dallo stesso tenore del ricorso risulta che la relativa denuncia è stata formulata dal contribuente per la prima volta in sede di legittimità.

Anche a prescindere dalla formalmente erronea enunciazione dei motivi di ricorso, riportati sotto il paradigma dell’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. in luogo dell’art. 360 1° comma, n. 4 c.p.c., i motivi devono ritenersi carenti riguardo al requisito dell’autosufficienza.

7.1. Posto che le questioni relative alla nullità della procura alle liti e al difetto di ius postulandi in capo al difensore possono essere rilevate d’ufficio per la prima volta nel giudizio di legittimità, a condizione che la relativa prova risulti dagli atti e dai documenti ritualmente acquisiti nelle fasi di merito (cfr. Cass. civ. sez. Ili 17 marzo 2009, n. 6439), affinché la Corte possa essere messa in condizione di verificare la sussistenza di quello che è tipico error in procedendo e quindi procedere all’esame del fascicolo quale giudice del fatto, è necessario che la parte specifichi la sede in cui nel fascicolo d’ufficio siano rinvenibili quegli atti processuali sui quali si fonda il motivo di ricorso, derivandone, in mancanza, l’inammissibilità per l’omessa osservanza del disposto di cui all’art. 366 1° comma, n. 6 c.p.c. (cfr., tra le molte, Cass. civ. sez. VI - III ord. 24 ottobre 2014, n. 22607), ciò che, appunto, è dato riscontrare nella fattispecie in esame.

7.2. Ciò premesso, va altresì dato atto che quanto esposto dal ricorrente certamente non integra il vizio denunciato per quanto attiene ai separati giudizi di primo grado, nei quali la delega si assume conferita al dott. C. e alla dott.ssa M., entrambi indicati dal ricorrente come aventi qualifica di segretario comunale, atteso che in tema di contenzioso tributario gli enti locali sono esentati dall’obbligo della difesa tecnica, per espressa previsione dell’art. 12 del D. Lgs. n. 546/1992, sicché è legittimo l’esercizio delle funzioni di assistenza processuale da parte di funzionari comunali a ciò delegati dal Sindaco o dal dirigente del servizio tributi (cfr. Cass. civ. sez. V 8 ottobre 2004, n. 20042; Cass. civ. sez. V 12 dicembre 2003, n. 19080).

7.3. Relativamente alla proposizione dell’atto di appello avverso la sentenza che aveva visto il Comune in primo grado soccombente, i motivi quinto e sesto, erroneamente indicati rispettivamente come sesto e settimo, sono invece carenti quanto alla sommaria esposizione dei fatti, non chiarendo il contribuente se l’avv. D. C., che da solo avrebbe sottoscritto il ricorso in appello, in assenza di valida procura ad litem, sia la medesima persona, indicata come il segretario comunale dott. C. delegata dal Sindaco nel giudizio di primo grado che aveva visto l’Amministrazione soccombente, ovvero sia diverso professionista, nel qual caso soltanto la procura avrebbe dovuto essere conferita nella forme di cui all’art. 83 c.p.c. (cfr., in proposito Cass. civ. sez. V 18 giugno 2010, n. 14827).

Ne deriva l’inammissibilità, in relazione ai diversi profili come sopra esaminati, delle censure in esame per carenza di autosufficienza dei rispettivi motivi di ricorso.

8. Il primo e secondo motivo possono essere anch’essi congiuntamente esaminati, essendo tra loro strettamente connessi.

Essi sono infondati, non sussistendo le denunciate violazioni di norme di diritto.

Di là - infatti - da qualche ridondanza nella motivazione, che non inficia, in considerazione anche di quanto si avrà modo di esporre di qui a breve nell’esame del terzo motivo di ricorso, la legittimità della decisione impugnata, essa si è attenuta ai principi più volte espressi in materia da questa Corte ed ai quali va attribuita, in questa sede, ulteriore continuità.

Il giudice tributario di secondo grado, nel riconoscere la validità dell’avviso di accertamento prot. 18247 del 20.12.2001, ha, infatti, correttamente ritenuto la validità della notifica del suddetto atto impositivo al contribuente, ricevuta dalla di lui madre sig.ra D.B. e ciò in forza di duplice considerazione: a) l’irrilevanza, nella fattispecie in esame, della sussistenza del requisito della convivenza, contestato dal contribuente in forza di certificazione anagrafica prodotta; b) la presunzione, in assenza di esplicita indicazione, nella relata di notifica da parte del messo notificatore, del luogo di consegna dell’atto, che essa sia avvenuta presso il domicilio del contribuente.

Entrambe le affermazioni sono conformi ai principi di diritto più volte affermati in materia da questa Corte.

8.1. La notificazione a persona di famiglia, ai sensi dell’art. 139 2° comma c.p.c. non richiede, infatti, l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando all’uopo sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la "persona di famiglia" consegnerà l’atto al destinatario stesso, spettando a quest’ultimo, che assume di non avere ricevuto l’atto, l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo (trattasi di giurisprudenza consolidata; tra le tante cfr. Cass. civ. sez. VI - L. ord. 15 ottobre 2010, n. 21362; Cass. civ. sez. V 30 ottobre 2006, n. 21362).

8.2. Quanto al secondo principio, anch'esso è conforme all’indirizzo espresso in materia da questa Corte, secondo il quale "poiché la relazione di notificazione si riferisce, di norma, all ’atto notificato così come strutturato, in assenza d’indicazioni difformi deve presumersi che la notificazione sia stata effettuata nel luogo in esso indicato" (nella fattispecie in esame, cioè, al domicilio fiscale del contribuente) sicché l’omessa indicazione del detto luogo nella relata, ove emendabile col riferimento alle risultanze dell’atto, non comporta nullità della notificazione, ma mera irregolarità formale, non essendo la nullità prevista dall’art. 160 c.p.c. (cfr. Cass. civ. sez. IlI 3 marzo 2010, n. 5079; Cass. civ, sez. V 17 febbraio 2005, n. 3230, specificamente resa in tema di notificazione di avviso di accertamento tributario, cui si applica, salvo espresse eccezioni, non ricorrenti nella fattispecie, ai sensi dell’art. 60 D.P.R. n. 600/1973, la disciplina sulle notificazioni quale prevista dal codice di procedura civile; si veda ancora Cass. civ. sez. I 9 aprile 1996, n. 3263).

9. La ratio decidendi della decisione impugnata, che ha affermato che "la consegna dell’atto è stata eseguita, con presunzione iuris tantum, a mani della B. nella casa di abitazione del D.F.", non avendo quest’ultimo "fornito convincente prova contraria, nulla dimostrando, al riguardo, il certificato anagrafico attestante la circostanza che la madre aveva propria abitazione al civico 15 della stessa Via (...)", non è invero contraddetta dal prosieguo della motivazione resa dal giudice di merito, che il ricorrente censura nell’ambito del terzo motivo.

Essa appare come un quid pluris da intendersi meramente rafforzativo della succitata presunzione, come si rileva dall’espressione "tenuto anche conto dello stato dei luoghi, riferito alle due distinte abitazioni aventi in comune il cortile interno ad accesso unico", legata alla statuizione di cui sopra.

9.1. D’altro canto, come si rileva dall’epigrafe del terzo motivo, recante "violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c. per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio", la censura risulta formulata in maniera del tutto inammissibile, promiscuamente legando la censura del vizio motivazionale, inquadrabile nel paradigma di cui all’art. 360 1° comma, n. 5 c.p.c., al vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui al n. 3 del medesimo art. 360 c.p.c.

9.2. Se poi si ha anche riferimento all’applicabilità, al presente giudizio, ratione temporis, dell’art. 366 bis c.p.c., nessun dubbio può residuare in punto d’inammissibilità del motivo, avuto riguardo alla modalità di formulazione del c.d. momento di sintesi che si pone, per una pagina intera di ricorso (tra la n. 20 e la n. 21), in realtà come una sorta di esposizione parallela del motivo, piuttosto che compendiarlo nel c.d. quesito di fatto, omologo al quesito di diritto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

10. Nulla va statuito in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo svolto difese il Comune intimato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.