Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 aprile 2016, n. 6786

Abuso d’ufficio - Autoassegnazione di cause seriali - Corruzione - Procedimento penale - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Par. 1. - A. N. convenne A. P. dinanzi al tribunale di Napoli, con citazione del 6.11.04, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni arrecatigli in dipendenza delle dichiarazioni da questi rese al P.M. della procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli, a seguito delle quali era stato avviato un procedimento penale a carico di esso attore per abuso di ufficio nella qualità di presidente della sezione lavoro del tribunale di Salerno: in particolare asserendo il N. il carattere calunnioso e non veritiero, in quanto tale lesivo del suo onore e della sua reputazione, dell'attribuzione a lui di condotte tenute nell'anno 2001, di autoassegnazione di cause seriali proposte da taluni avvocati contro la spa Trenitalia, con sottrazione delle stesse ai colleghi di sezione e decisione sistematica in senso sfavorevole a detta società contro l'orientamento unanime della giurisprudenza ed avvalendosi pure della collaborazione di quegli stessi avvocati nella stesura delle sentenze.

L'adito tribunale respinse - con sentenza n. 5501 del 25.5.07 - la domanda, escludendo il nesso eziologico tra le dichiarazioni ed i lamentati danni, per essersi originato e sviluppato il procedimento penale a carico del N. all'esito di una lunga e complessa indagine.

La corte di appello partenopea, adita dal N. e invocata dal P. l'inammissibilità o l'infondatezza del gravame, lo rigettò: rilevò la non esplicitazione, da parte dell'appellante, delle dichiarazioni per cui era causa; confermò l'assenza di nesso eziologico tra quelle e i danni patiti, alla stregua dell'esame delle ragioni del procedimento penale quali risultavano dalla sentenza penale di primo grado di condanna per corruzione in atti giudiziari, nonché in forza del rilievo che il contenuto di quelle dichiarazioni non era risultato smentito dalle risultanze di quel procedimento, concluso in secondo grado con l'assoluzione; infine, escluse l'antigiuridicità della condotta del P.

Per la cassazione di tale sentenza di appello, pubblicata il 20.3.13 col n. 1145 e notificata il 31.5.13, ricorre oggi, affidandosi a tre motivi, A. N.; resiste con controricorso A. P., con esso dispiegando ricorso incidentale condizionato articolato su di un motivo; e, per la pubblica udienza del 22.12.15, entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

 

Par. 2. - Il ricorrente N. articola tre motivi:

- un primo, privo di rubrica, incentrato sull'omessa disamina del contenuto delle dichiarazioni rese dal P. al P.M. di Napoli in data 15.11.02, nonostante il loro tenore fosse stato esattamente percepito già solo nella esposizione dello svolgimento del processo e sebbene ne fosse stata argomentata la non rispondenza al vero;

- un secondo, rubricato "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", identificando tale fatto nel ruolo determinante delle dichiarazioni del P. nell'avvio dell'indagine penale, per il carattere neutro della nota del presidente del Tribunale di Salerno del 6.6.02 e per l'insufficienza di un'eventuale mera violazione dei criteri tabellari;

- un terzo, rubricato anch'esso "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", identificando tale fatto nel contenuto della sentenza penale di secondo grado sull'insussistenza del fatto reato ascritto al N. per l'imprecisione o difformità dal vero dei dati del consulente del P.M.

Par. 3. - Dal canto suo, il controricorrente P.:

- quanto al primo motivo: ricorda di avere contestato già in sede di appello la parzialità degli stralci delle dichiarazioni poste a base della pretesa; rimarca non avere controparte contestato in modo espresso la mancata specificazione delle dichiarazioni lesive; sottolinea non avere il N. riportato le medesime nel ricorso; deduce integrare l'avversa doglianza un'inammissibile censura agli apprezzamenti di fatto del giudice del merito in ordine anche all'esclusione del nesso causale tra le dichiarazioni e l'indagine, seguita anche ad altri elementi; nega la sufficienza dell'adduzione dell'antigiuridicità della sua condotta e comunque l'esistenza di conseguenze negative di essa;

- quanto al secondo motivo, nega qualsiasi omissione di fatti decisivi, comunque rimarcando essere seguito il rinvio a giudizio a complesse attività di indagine, tra cui l'acquisizione delle dichiarazioni di cancellieri ed altri magistrati della sezione lavoro del tribunale di Salerno; deduce l'inammissibilità di una tale lamentela, siccome riferita al merito della decisione; riporta infine ampi stralci della sentenza del tribunale di Napoli n. 1880/08, che ha dichiarato non luogo a procedere nei suoi confronti per il reato di falsa testimonianza, ascrittogli dal N. proprio nelle dichiarazioni per cui è causa;

- quanto al terzo motivo, ripercorre le motivazioni della sentenza di assoluzione In appello, evidenziando come essa non si occupò affatto delle dichiarazioni rese dal P., basandosi quella piuttosto sia sulla carenza di prova sui vantaggi che sarebbero derivati agli avvocati M. e M. anche dalla circostanza della redazione materiale delle sentenze, sia sulla riconduzione dell'eventuale scorrettezza delle decisioni all'ambito del sistema di impugnazioni e del libero convincimento del giudice;

- dispiega poi ricorso incidentale condizionato sull'inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi, riportando il contenuto del relativo atto di costituzione in secondo grado.

Par. 4. - Ricordato che eventuali lacune del ricorso non sono mai emendabili con alcuno degli atti successivi e quindi meno che mai con la memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ., va osservato che il ricorso principale è infondato.

Par. 4.1. Va premesso che si applica alla fattispecie, essendo stata la sentenza oggi gravata pubblicata dopo il giorno 11.9.12, il nuovo testo dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., quale risultante dalla formulazione dell'art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. dalla I. 7 agosto 2012, n. 134 (e tanto in forza della disciplina transitoria, di cui al co. 3 del medesimo art. 54 cit.).

Di tale norma va fatta propria l'interpretazione adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881), in forza della quale:

- in primo luogo, il sindacato sulla motivazione è ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sé, cioè alla "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", alla "motivazione apparente", al "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", alla "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile";

- in secondo luogo, il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Par. 4.2. In questo pure rinnovato ambito, mantiene peraltro la sua validità il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità in materia di valutazione del materiale probatorio ai fini della ricostruzione del fatto (da ultimo: Cass. Sez. Un., 12 ottobre 2015, n. 20412; Cass. 27 ottobre 2015, n. 21776 e n. 21779; Cass. 19 ottobre 2015, n. 21091; Cass. 19 ottobre 2015, n. 21090; Cass. 16 ottobre 2015, n. 20941), in forza del quale:

- è sempre vietato invocare in questa sede un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo invero la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass. 17 novembre 2005, n. 23286, oppure Cass. 18 maggio 2006, n. 11670, oppure Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197);

- neppure sotto il profilo della violazione dell'art. 2697 cod. civ. (del resto, in astratto configurabile solo se invocata un'erronea specifica individuazione del soggetto onerato della prova di un altrettanto specifico fatto: ciò che non accade nella fattispecie) o degli artt. 115 o 116 cod. proc. civ. (che non si spingono a tutelare il prodotto o il risultato delle argomentazioni di apprezzamento del materiale probatorio) può essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale;

- la valutazione di quelle - al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione (per tutte, v. Cass. 20 settembre 2013, n. 21603) - è un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (Cass. 30 dicembre 2014, n. 27543; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 20 aprile 2012, n. 6260; Cass. 30 agosto 2004, n. 17365; Cass. 10 maggio 2000, n. 6023).

Par. 5. - Tanto premesso, ciascuno dei tre motivi comporta la censura della congruità del complessivo risultato della valutazione dei giudici di appello dell'intero materiale probatorio ed anzi dello stesso oggetto del giudizio, che invece ed appunto quelli motivano e suffragano con espressioni chiare ed intelligibili, non affette da alcuno dei soli serissimi vizi ritenuti rilevanti dalla appena richiamata giurisprudenza:

- quanto al primo motivo, la mancata circostanziata esposizione delle dichiarazioni per cui è causa non ha certo comportato l'omissione della loro considerazione da parte del giudice di appello, che da quella carenza ha solo inferito la corrispondenza del loro oggetto con la condotta illecita poi ascritta al N. (v. pag. 4, prime quattro righe, della sentenza gravata): pertanto, nessuna omissione dell'esame di un fatto vi è stata, visto che il contenuto è stato ricostruito in un certo modo; d'altra parte, a ben guardare, il motivo non censura espressamente che tale specifica ricostruzione sia fallace e, soprattutto, essa non è affatto del tutto priva di motivazione;

- quanto al secondo motivo, il carattere decisivo delle dichiarazioni del P. è stato escluso dai giudici di appello sulla base di una valutazione comparativa di altri elementi, non solo alla stregua della nota del presidente del tribunale, ma anche dell'attività conoscitiva del consiglio giudiziario (che aveva disposto una apposita consulenza tecnica statistica per la ricostruzione del flusso e della destinazione delle cause come risultante dai registi generali della sezione lavoro) e dell’audizione (sia da parte del consiglio giudiziario che del pubblico ministero) di alcuni magistrati che avevano denunciato irregolarità nell'assegnazione delle cause seriali (ed in particolare proprio di quelle in cui era controparte Trenitalia) e di alcuni cancellieri; sicché, in virtù dei rilevati limiti al giudizio sui fatti in sede di legittimità, come sopra ricostruiti al Par. 4, non vi è stata alcuna omissione di esame di fatto storico in sé e per sé, ma solo una diversa valutazione di un complesso di fatti ed una discrezionale stima del peso di ciascuno nella causazione dell'evento consistente nella sottoposizione a procedimento penale del magistrato cui le dichiarazioni del P. si riferivano;

- quanto al terzo motivo, il carattere anche solo parziale della considerazione della sentenza penale di secondo grado non integrerebbe certo neppure in astratto l'omissione del suo complessivo esame, ma soltanto l'attribuzione, non impredicabile, di un peso diverso ad alcuni dei suoi argomenti rispetto ad altri: a ben vedere rilevandosi come quelli dedotti come pretermessi, a prescindere dalla carenza di idonee precisazioni in ricorso sul contenuto degli atti cui si riferiscono (come le imprecisioni o difformità dai vero delle risultanze del c.t. del p.m., che rimangono sconosciute nel ricorso e quindi precluse a questa Corte, che non ha giammai alcun diretto accesso agli atti), nulla adducono di decisivo sulla contrarietà al vero delle dichiarazioni ricostruite come ascritte al P. (violazione dei criteri tabellari con sistematica autoassegnazione dei ricorsi e decisione in senso sfavorevole a Trenitalia).

Par. 6. - A rigor di termini e se non in via dirimente, neppure è idoneamente contestata la ratio decidendi della corte territoriale sulla radicale insussistenza di antigiuridicità della condotta ascritta al P.: ratio che riposa nel mancato avvio di procedimenti penali a carico del P. per i reati di false informazioni al PM o di calunnia o di ingiuria o di diffamazione e nell'assenza di antigiuridicità di chi presenta un esposto su circostanze vere in adempimento di un dovere giuridico (Cass. 6 marzo 2008, n. 6041) o in rapporto di giuridica necessità o di utilità con l'esercizio del diritto di presentare esposti o denunce (Cass. 18 ottobre 2005, n. 20141, richiamata nella pronuncia qui gravata e confermata, poi, tra le altre, da Cass. 20 giugno 2008, n. 16809 e da Cass. 12 settembre 2013, n. 20891).

Al riguardo, anzi, come documenta il controricorrente riportandone ampi stralci nel controricorso, è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per insussistenza del fatto nei confronti del P. per la falsa testimonianza ipotizzata dal N. con riferimento proprio alle dichiarazioni per cui è causa: secondo argomentazioni che, pur non ovviamente vincolando il giudice civile, appaiono congrue rispetto alla fattispecie ed integrano così un elemento idoneo a fondare conclusioni analoghe di insussistenza del fatto criminoso ascritto al dichiarante.

Par. 7. - Del resto, anche alla stregua delle condivisibili conclusioni del giudice penale in ordine alla condotta del dichiarante nella fattispecie, può applicarsi alle dichiarazioni rese al pubblico ministero il principio dell'esclusione di responsabilità dell'autore di denunce o esposti a quel medesimo ufficio, quanto al danno arrecato alla persona cui le une o gli altri si riferiscono consistente nell'avvio di un procedimento penale, a meno di un carattere calunnioso di esse (Cass. 25 maggio 2004, n. 10033; Cass. 11 febbraio 2005, n. 2837; Cass. 7 novembre 2005, n. 21498; Cass. 19 ottobre 2007, n. 22020; Cass. 26 gennaio 2010, n. 1542; Cass. 12 gennaio 2012, n. 300; Cass. 11 dicembre 2013, n. 27756, che sottolinea pure l'irrilevanza della mera colpa nella presentazione della denuncia; Cass. 20 marzo 2014, n. 6554; Cass. 20 marzo 2015, n. 5597; in senso in gran parte analogo, pur non escludendo l'astratta risarcibilità del danno da diffamazione, Cass. 20 maggio 2015, n. 10285; Cass. 27 agosto 2015, n. 17200).

Solo in tale ultimo caso, invero, non può più sostenersi che l'attribuzione di fatti penalmente rilevanti a carico di una persona sia strumentale all'accertamento della verità (solo in tali limiti restando esclusa l'illegittimità della condotta: Cass. 26 maggio 2014, n. 11635), visto che anzi quella condotta viene piegata e diventa servente al perseguimento di altre, illegittime o illecite, intenzioni: il dolo di calunnia verrebbe a connotare la condotta del dichiarante di quel particolare elemento psicologico, intenzionalmente diretto, secondo quanto potrebbe poi apparire anche solo dalle modalità stesse dell'azione, ad attribuire a chi si sa essere innocente una condotta astrattamente configurabile come reato perseguibile di ufficio, onde conseguirne l'illecito avvio di un non dovuto procedimento penale.

Correttamente è stato quindi applicato il seguente principio di diritto: a meno di un dolo di calunnia, chi rende dichiarazioni al pubblico ministero che comportino il rischio dell'esercizio dell'azione penale nei confronti di altri non è responsabile del danno consistente nel concreto avvio di un procedimento penale a carico della persona cui le dichiarazioni si riferiscono.

Par. 8.- Il ricorso principale va pertanto rigettato e quello incidentale, espressamente qualificato come condizionato, dichiarato assorbito: con condanna del ricorrente principale alle spese del giudizio di legittimità.

Par. 9. - Deve inoltre trovare applicazione l'art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, co. 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell'impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest'ultima, a dare atto - senza possibilità di valutazioni discrezionali (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) - della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) per il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, a norma del co. 1 -bis del detto art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato; condanna A. N. al pagamento, in favore di A. P., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 10.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali ed accessori nella misura di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 - quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1 -bis dello stesso art. 13.