Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6334

Tributi - Irpeg, Irap, Iva - Controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata il 12/5/2008 la C.T.R. del Lazio confermava la sentenza di primo grado che aveva annullato la cartella di pagamento emessa nei confronti della P. S.r.l. con la quale, all'esito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, veniva richiesto il pagamento di Irpeg, Irap, Iva e ritenute alla fonte esposte in dichiarazione per l'anno 1999 e non versate, oltre sanzioni e interessi per un importo complessivo di circa € 70.000,00.

Confermando le valutazioni dei primi giudici, rilevava la C.T.R. che: la motivazione della cartella di pagamento era effettivamente criptica; l'eccezione di decadenza ex art. 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non era stata idoneamente contrastata dalla Amministrazione che aveva prodotto solo dei «tabulati informativi che sono atti interni». Soggiungeva che, peraltro, l'Ufficio, ancora prima di presentare appello, aveva effettuato lo sgravio così dimostrando di non avere più alcun interesse alla prosecuzione del giudizio.

2. Avverso tale decisione l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, tutti seguiti dalla formulazione di quesiti ex art. 366-bis cod. proc. civ..

L'intimata non ha svolto difese.

All'esito dell'udienza camerale ex art. 380-bis cod. proc. civ. del 22/6/2011, prima della quale la ricorrente ha depositato memoria, il procedimento è stato rinviato a nuovo ruolo.

Lo stesso è stato quindi fissato ex art. 377 cod. proc. civ. per l'odierna udienza.

 

Motivi della decisione

 

3. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate denuncia violazione dì legge, ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ., per avere ritenuto la C.T.R. fondata l'eccezione di tardività della notifica della cartella di pagamento.

Deduce che, pacifico essendo, in quanto affermato dalla stessa contribuente sin dal ricorso introduttivo, che la cartella è stata notificata il 18/11/2003 per il pagamento dì imposte dovute per l'anno 1999, l'affermazione contenuta in sentenza, secondo cui sarebbe rimasto non provato il rispetto del termine decadenziale, si pone in contrasto con la norma di cui all'art. 1, comma 5-ter, d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2005, n. 156, che, sostituendo il comma 2 dell'art. 36 del d.lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, ha stabilito che per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento deve essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate - come nel caso di specie - entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 6, comma 5, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione al confermato accoglimento della doglianza della contribuente relativa al mancato previo invio del c.d. avviso bonario.

Rileva che, trattandosi di cartella inviata per il pagamento di imposte dichiarate e non versate, il cui importo non viene modificato, una corretta interpretazione delle norme citate avrebbe dovuto condurre a ritenere non necessario detto adempimento.

5. Con il terzo motivo l'Agenzia deduce omessa motivazione ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto fondata anche la doglianza di difetto di motivazione della cartella, respingendo l'appello sul punto proposto dall'ufficio, sulla base del solo rilievo della asserita «cripticità» dell'atto e senza dunque precisare il percorso logico seguito per pervenire a detto convincimento.

6. Con il quarto motivo la ricorrente deduce infine «violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 329 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ.», per avere la C.T.R. ritenuto che, con lo sgravio effettuato ancor prima di presentare appello, essa amministrazione ha dimostrato di non avere più alcun interesse alla prosecuzione del giudizio.

Sostiene che detto provvedimento, lungi dall'esprimere acquiescenza, non è altro che la doverosa conseguenza dell'esito sfavorevole all'ufficio del giudizio di primo grado, in relazione ad un carico iscritto a ruolo a titolo definitivo il quale, però, a causa dell'esito sfavorevole della lite in primo grado, non poteva più essere riscosso e che, dunque, solo in senso atecnico è stato oggetto di sgravio, quella disposta essendo più precisamente una sospensione dell'esecuzione che non incide sul permanente interesse a proporre appello.

7. Occorre muovere, nell'esame del ricorso, da quest'ultimo motivo, di rilievo logico preliminare e potenzialmente assorbente.

Lo stesso è fondato.

Come precisato da questa Corte, con giurisprudenza costante, l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, quando cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 cod. proc. civ. e 49 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (v. e pluribus Cass., Sez. 1, n. 21491 del 10/10/2014, Rv. 632894; Sez. 6 - 5, n. 11769 del 11/07/2012, Rv. 623346; Sez. 5, n. 21385 del 30/11/2012, Rv. 624486; Sez. 5, n. 27082 del 18/12/2006, Rv. 595889).

Non v'è ragione di ritenere che a detto principio debba derogarsi nella specie per il solo fatto che il provvedimento c.d. di sgravio abbia riguardato somme direttamente iscritte a ruolo dall'ufficio all'esito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

È ben vero, infatti, che, in tal caso, la cartella non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità, ex art. 19 d.P.R. n. 546 del 1992, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (v. ex aliis Cass., Sez. 5, n. 12288 del 12/06/2015, non mass.; Sez. 5, n. 1263 del 22/01/2014, Rv. 629155).

Ciò, però, non impedisce di adottare nei confronti di tale provvedimento i medesimi criteri interpretativi sopra indicati al fini di discernere se lo stesso discenda da una volontà di acquiescenza ovvero di mera provvisoria soggezione al dictum della sentenza provvisoriamente esecutiva, dettata dalla sola necessità di prevenire eventuali atti di esecuzione.

La lettura dello sgravio alla stregua di tali criteri, invero, prescinde dall'esistenza o meno di atti prodromici idonei ad attribuire persistente fondamento alla stessa nei successivi gradi del giudizio di impugnazione dell'atto dipendente, ma afferisce piuttosto esclusivamente alle ragioni che lo hanno determinato (dipendente o meno che sia, l'atto impugnato e oggetto di sgravio, da altro prodromico); ciò sulla premessa logica - predicabile anche In ipotesi di cartella di pagamento emessa ai sensi dell'art. 36-bis d.P.R. cit. - che, ove lo sgravio sia ascrivibile esclusivamente alla volontà di dare attuazione alla sentenza di primo grado ma non anche a quella di non impugnare la pronuncia, gli effetti dello stesso possono essere posti nel nulla In caso di accoglimento dell'impugnazione medesima.

Varrà al riguardo rammentare che, a norma dell'art. 68, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo in pendenza di processo, «se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza. In caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale».

La norma è ovviamente applicabile anche alle ipotesi di iscrizioni a ruolo operate sulla base della stessa dichiarazione ai sensi dell'art. 36-bis e 36-ter d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e implica necessariamente per l'amministrazione un obbligo di astenersi dal procedere oltre nella riscossione.

Ipotizzare che, nell'ipotesi considerata, ciò determini necessariamente acquiescenza (per il venir meno dell'atto impugnato) comporta un'evidente e insuperabile aporia nella ricostruzione del sistema. A seguire tale tesi, infatti, l'amministrazione sarebbe posta avanti all'alternativa: a) o di violare detto precetto, portando avanti la riscossione ed esponendosi alle iniziative esecutive di recupero, lite pendente, previste dal secondo periodo della succitata norma (senza dire della mortificazione degli interessi del contribuente vittorioso in primo grado, costretto a subire una esecuzione che, per legge, non dovrebbe poter proseguire in pendenza di giudizio); b) oppure di darvi attuazione: così, però, secondo la qui respinta ricostruzione, esponendosi ad una non voluta interpretazione del proprio atto in termini di acquiescenza e rinuncia all'impugnazione.

Alla luce delle considerazioni che precedono deve pertanto ritenersi che, giusta quanto dedotto dalla ricorrente con il quarto motivo, la C.T.R. sia incorsa in falsa applicazione dell'art. 329 cod. proc. civ. per avere ritenuto desumibile acquiescenza alla sentenza di primo grado dal mero sgravio dell'importo iscritto a ruolo effettuato prima di presentare appello.

8. È fondato anche il primo motivo di ricorso.

Il d.l 17 giugno 2005, n. 106 - come noto emesso a seguito della sentenza della Corte costituzionale 7-15 luglio 2005, n. 280 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dal d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, nella parte in cui non prevedeva un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario dovesse notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell'art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - ha fissato al comma 5-bis dell'art. 1 (introdotto dalla legge di conversione 31 luglio 2005, n. 156) i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, ed ha stabilito all'art. 5- ter, sostituendo il comma 2 dell'art. 36 del d.lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, che per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate (come nel caso di specie) entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

Ebbene, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, con ferma giurisprudenza, tale norma, di chiaro ed inequivoco valore transitorio, trova applicazione, come tale, non solo alle situazioni tributarie, anteriori alla sua entrata in vigore, pendenti presso l'ente impositore, ma anche a quelle che (come nel caso di specie) siano ancora sub iudice (v. ex aliis Cass., Sez. 5, n. 15329 del 04/07/2014, Rv. 631562; Sez. 5, n. 8406 del 05/04/2013, Rv. 626329; Sez. 5, n. 2212 del 31/01/2011, Rv. 616529; Sez. 5, n. 1435 del 25/01/2006, Rv. 586930).

Ne discende, nel caso in esame, la piena tempestività della cartella dì che trattasi, in quanto notificata il 18/11/2003 (come esplicitamente ammesso dalla stessa ricorrente) con riferimento a redditi relativi al 1999, nel pieno rispetto, dunque, dei termini stabiliti dalla citata disposizione.

La contraria affermazione contenuta in sentenza integra pertanto il denunciato vizio.

9. È altresì fondato il secondo motivo di ricorso.

La C.T.R. ha rigettato il motivo di gravame con il quale l'Agenzia aveva dedotto l'insussistenza del vizio di nullità della cartella denunciato dalla contribuente per il mancato invio della comunicazione preventiva (c.d. avviso bonario) prevista dal predetto art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dall'art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972.

Anche per tale parte la sentenza impugnata incorre nei denunciato vizio di violazione di legge per avere (implicitamente) ritenuto necessario, nel caso de quo, tale adempimento.

Costituisce invero jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatico è legittima anche se non è stata preventivamente emessa la comunicazione preventiva (c.d. avviso bonario), ogni qual volta la pretesa derivi - come accade nel caso di specie - dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all'iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati (v. da ultimo Cass., Sez. 6-5, Ord. n. 3154 del 17/02/2015, Rv. 634631; Sez. 6 - 5, Ord. n. 42 del 03/01/2014, Rv. 629010; Sez. 5, n. 17396 del 23/07/2010, Rv. 615009).

10. È Infine fondato anche il terzo motivo di ricorso.

L'affermazione contenuta in sentenza, a conferma del già ritenuto (in primo grado) difetto di motivazione della cartella impugnata, secondo cui «la cripticità detta cartella effettivamente sussiste», si appalesa in effetti tautologica, non indicando gli elementi posti a fondamento di detta laconica valutazione e, soprattutto, non illustrando i motivi per i quali la C.T.R. ha ritenuto la cartella inidonea a soddisfare i minimi requisiti di motivazione richiesti in caso, quale quello di specie, di cartella di pagamento emessa a seguito di liquidazione automatica ex art. 36-bis d.P.R, 29 settembre 1973, n. 600.

Varrà al riguardo rammentare che, secondo pacifico indirizzo, in tema di motivazione della cartella di pagamento, solo l'atto con cui siano rettificati i risultati della dichiarazione e, quindi, sia esercitata una vera e propria potestà impositiva, va motivato debitamente, dovendosi rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa, mentre quello con cui si proceda, in sede di controllo cartolare ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell'anagrafe tributaria, può essere motivato con il mero richiamo alla dichiarazione, poiché il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa (così, da ultimo, Cass., Sez. 5, n. 25329 del 28/11/2014, Rv. 633304).

11. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame dei motivi di gravame alla luce dei principi sopra enunciati.

Al giudice del rinvio va demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.