Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 aprile 2016, n. 6651

Operazioni black list e deducibilità dei costi - No al favor rei - Operazioni con imprese residenti in Paesi black list e limiti alla deducibilità dei costi

 

Svolgimento del processo

 

1. La I.T. S.p.a. proponeva ricorso avanti la C.T.P. di Treviso avverso l’avviso di accertamento nei suoi confronti emesso per maggiori IRPEG ed IRAP dovute per l'anno 2003, a seguito di rettifica del reddito d'impresa e del mancato riconoscimento della deducibilità di costi per operazioni commerciali intrattenute con imprese estere residenti e/o domiciliate in Paesi con regime fiscale agevolato compresi nella c.d. black list di cui al D.M. 23 gennaio 2002 (si trattava precisamente di costi per € 2.130.179,87 per l'acquisto di apparecchiature elettroniche da imprese residenti in Hong Kong). L'atto impositivo traeva origine da una verifica fiscale che aveva accertato che, dei detti costi, la contribuente aveva omesso la separata indicazione nel quadro RF della dichiarazione dei redditi prescritta dall'art. 110, comma 11, T.U.I.R., applicabile ratione temporis.

L'adita C.T.P. annullava l'atto impugnato, ritenendo, in accoglimento della tesi difensiva della contribuente, che detta omissione doveva considerarsi validamente sanata dalla dichiarazione integrativa, ancorché presentata dopo l'inizio delle operazioni di verifica.

Tale decisione era confermata dalla C.T.R. del Veneto che, ribadita l'efficacia sanante della dichiarazione integrativa, rilevava nel resto, quanto ai requisiti sostanziali di deducibilità dei costi, che la contestazione al riguardo svolta dall'ufficio appellante era tardiva, essendo l'accertamento esclusivamente fondato sulla omissione dell'indicazione separata dei costi e sulla ritenuta inammissibilità della dichiarazione integrativa a tal fine successivamente presentata dalla società e considerato che l'ufficio non aveva provveduto, prima dell'emissione dell'accertamento, agli adempimenti prescritti dall'art. 110, comma 11, T.U.I.R..

2. Avverso tale sentenza l'Agenzia delle entrate propone ricorso sulla base di due motivi; resiste la società contribuente depositando controricorso.

Quest'ultima ha depositato note d'udienza ai sensi dell'art. 379 cod. proc. civ..

 

Motivi della decisione

 

3. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione - ex art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ. - della legge n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303; d.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8-bis) d.lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3-bis e d.lgs. n. 472 del 1997, art. 13, per avere i giudici respinto la richiesta dell'Ufficio di rideterminazione della sanzione nella misura proporzionale del 10% dei costi non dichiarati originariamente (da un minimo di euro 500,00 ad un massimo di euro 50.000,00), prevista dalla legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 302, (d.lgs. n. 471 del 1997, art. 8, nuovo comma 3-bis), in sostituzione della più grave sanzione della indeducibilità dei costi, anche per le violazioni anteriori alla sua entrata in vigore, non essendo ostativa la presentazione, da parte della contribuente, dopo l'avvio dei controlli fiscali, di una dichiarazione di rettifica o correzione della dichiarazione.

La censura è fondata.

3.1. Questa Corte è ferma nel ritenere che l'omessa separata indicazione, nella dichiarazione, delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni con imprese residenti o localizzate in Stati inseriti nella c.d. black list costituisce violazione della corrispondente prescrizione normativa (prevista sia prima che dopo la commissione di tale violazione nella specie, anche se, come si vedrà meglio in seguito, diversamente sanzionata nel tempo) e che, dopo la contestazione di una violazione o dopo l'avvio di operazioni verifica è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, posto che, ove fosse possibile porre rimedio alla mancata separata indicazione dei costi in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della relativa violazione o dopo l'inizio dell'attività di verifica (come nel caso di specie), la correzione stessa si risolverebbe (Corte Cost. n. 392 del 23 luglio 2002) in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l'inosservanza della correlativa prescrizione (v. Cass. Sez. 5, n. 23745 del 20/11/2015; Sez. 5, n. 15285 del 21/07/2015; Sez. 5, n. 20081 del 24/09/2014; Sez. 5, n. 5398 del 04/04/2012).

A confutazione della opposta argomentazione contenuta nel controricorso, facente leva sulla mancata previsione, nell'art. 2 comma 8 d.P.R. n. 322 del 1998, di alcun termine preclusivo diverso da quello stabilito all'art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è sufficiente rilevare che questa Corte, già con sentenza n. 24929 del 06/11/2013, ha avuto modo, condividendo il principio affermato da prima da Cass. n. 5398/2012, di evidenziare che, in realtà, detta norma «raccorda la facoltà di emenda della dichiarazione prevista dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, commi 8 e 8-bis (nel testo introdotto dal d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435) all’esercizio del ravvedimento operoso in tema di illeciti fiscali» il quale è consentito al contribuente dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 13, comma 1 «sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle quali l'autore od i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza..., atteso che la relazione tra le due norme ... non si pone in termini di successione delle norme nel tempo (in considerazione del differente oggetto della disciplina dettata da ciascuna di esse), ma in termini di coordinamento e, dunque, venendo in questione un tipico problema di interpretazione sistematica del complesso normativo».

Si è, inoltre, condivisibilmente osservato che la peculiare fattispecie - in cui l'inosservanza dell'adempimento formale (indicazione separata nella dichiarazione dei costi deducibili rinvenienti da operazioni sospette) impediva (prima della novella introdotta della legge n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303, per come si specificherà meglio infra) il perfezionamento della stessa fattispecie costitutiva del diritto alla deduzione di tali spese, con la conseguenza che la deduzione operata nella dichiarazione integrava oggettivamente una evasione di imposta - è del tutto diversa dalle situazioni contemplate dall'art. 2, comma 8 (integrazione dei dati della dichiarazione a favore dell'Erario) e comma 8-bis (rettifica dei dati della dichiarazione a favore del contribuente) in cui la modifica apportata con la dichiarazione integrativa non interviene a completare con effetto ex nunc la fattispecie costitutiva del diritto che il contribuente intende far valere nei confronti della P.A., ma viene ad incidere esclusivamente sul quantum dei rispettivi crediti e debiti sussistenti al momento della presentazione della dichiarazione (Cass. n. 24929/2013 cit.).

In tale ottica, pertanto, non è applicabile il principio di diritto secondo cui in tema di imposte sui redditi, la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull'obbligazione tributaria, ma pur sempre di carattere meramente formale, è esercitabile anche in sede contenziosa ed anche oltre il termine previsto per l'integrazione della dichiarazione.

Sotto altro profilo ancora, come pure è stato evidenziato, ammettere la possibilità di emenda ex post allo stesso accesso, ispezione, verifica e quant'altro, si porrebbe in manifesto contrasto oltre che con il principio di effettività della sanzione (venendo ad elidere lo stesso esercizio del jus puniendi della P.A.) anche con i principi di efficienza e buon andamento della amministrazione finanziaria ex art. 97 Cost., in quanto verrebbe a vanificare le attività ispettive e di controllo svolte dagli Uffici finanziari, demandando ai contribuente la scelta di evidenziare o meno nella dichiarazione fiscale i costi relativi ad operazioni indicate dal Legislatore come altamente sospette in relazione alla tipologia dei soggetti esteri con le quali vengono intrattenute, consentendo di sanare ex post la irregolarità mediante presentazione di una dichiarazione integrativa, secundum eventum inspectionis, con evidenti effetti pregiudizievoli sullo scopo antielusivo della norma e sulla stessa efficacia dei controlli (così da ult. Cass., Sez. 5, n. 15285 del 21/07/2015).

3.2. Ciò premesso va altresì ricordato, quanto alle sanzioni, che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, le norme di cui alla legge n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303 - le quali introducono modificazioni al d.P.R. n. 917 del 1998, art. 110, commi 10 e 11 (ndr d.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 10 e 11) (già art. 76, commi 7 bis e 7 ter) - devono essere interpretate nel senso che l'abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi c.d. black list per il solo fatto della mancata relativa separata indicazione in dichiarazione e la sostituzione ad esso di un sistema di meno gravose sanzioni amministrative hanno carattere retroattivo (v. e pluribus Cass. n. 4030/2015; n. 6205/2015; n. 9950/2015).

Le disposizioni della legge n. 296 del 2006, art. 1, commi 301 e 302 (finanziaria 2007), hanno infatti modificato il testo dell'art. 110 T.U.I.R. e del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, disponendo che la deducibilità dei costi c.d. black list è subordinata soltanto alla prova dell'operatività dell'impresa estera contraente ed all'effettività delle transazioni commerciali, mentre la separata indicazione di detti costi viene degradata ad obbligo di carattere formale, passibile unicamente di sanzione amministrativa (Cass. n. 4030/2015; n. 6205/2015; n. 9950/2015).

L'art. 1, comma 303, cit., ha poi ulteriormente stabilito, in via transitoria, l’applicabilità del comma 302 anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore della legge 296/06, a condizione che il contribuente fornisca la prova di cui all'art. 110, comma 11 T.U.I.R., vate a dire che l'impresa estera svolgeva una prevalente ed effettiva attività commerciale o che le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico ed avevano avuto concreta esecuzione.

Come affermato da questa Corte con le pronunzie summenzionate, le innovazioni apportate dalla legge n. 296 del 2006 alla normativa in tema di deducibilità di costi c.d. black list, esprimono l'esigenza di trovare un punto di equilibrio meno gravoso per il contribuente, individuato nel mutare la separata indicazione dei costi in dichiarazione da presupposto di indeducibilità ad obbligo dichiarativo amministrativamente sanzionato, cosi coniugando la deducibilità dei costi, che il contribuente dimostri effettivi ed inerenti, con il mantenimento, a fini di controllo, ma con effetti sanzionatori più circoscritti, dell'obbligo di indicazione separata in dichiarazione.

Nel caso di specie la C.T.R., statuendo l'integrale illegittimità della pretesa impositiva in quanto riferita ai costi indicati in dichiarazione per operazioni con soggetti operanti in paesi a fiscalità privilegiata, e ciò anche con riferimento alle sanzioni, non ha fatto corretta applicazione del quadro normativo così delineato, il quale - può incidentalmente notarsi - imporrebbe comunque l'applicazione delle previste sanzioni quand'anche si fosse ritenuta efficacemente emendata la violazione formale cui le sanzioni sono riferite (ossia l'omessa indicazione separata dei costi relativi a operazioni con imprese operanti in paesi compresi nella c.d. black list), ciò in forza della riserva contenuta nell'art. 2, comma 8, d.P.R. n. 322/1998, il quale, nel consentire a determinate condizioni ed entro dati termini l'emenda di errori ed omissioni a mezzo dichiarazione integrativa, fa tuttavia espressamente «salva l'applicazione di sanzioni».

3.3. E appena il caso in fine di rilevare che nessun rilievo può avere nel presente giudizio lo ius superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 142, lett. a) legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), che ha abrogato i commi da 10 a 12-bis dell'articolo 110 T.U.I.R., stante l'irretroattività dello stesso discendente, oltre che, in via generale, dall’art. 11 preleggi, dalla specifica e pienamente convergente disciplina transitoria di cui al comma 144 del medesimo articolo 1, a mente del quale «le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015» (norma il cui riferimento al «periodo d'imposta» e la cui attinenza ad una legge di diritto sostanziale palesa l'implausibilità della interpretazione proposta dalla controricorrente secondo cui essa dovrebbe invece intendersi nel senso di consentire l'applicazione della nuova disciplina anche ai fatti pregressi, purché però in giudizi o con provvedimenti resi a far data dal 1 gennaio 2016).

Alla luce di tale espressa previsione nemmeno può soccorrere il richiamo alla norma di cui all'art. 3 comma 2 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a mente del quale, «salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile», attesa per l'appunto la previsione di espressa e contraria disciplina transitoria, avente pari forza di legge.

4. Con il secondo motivo l'Agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1, commi 301, 302 e 303, legge 296/2006, nonché dell'art. 110, comma 11, d.P.R. 917/1986, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., per avere i giudici d'appello dichiarato la deducibilità dei costi in questione in ragione del solo fatto che l'ufficio, a fronte della documentazione prodotta dalla contribuente in sede precontenziosa, non avrebbe nell'avviso di accertamento contestato l'assenza dei presupposti di cui all'art. 110, comma 11, T.U.I.R., limitandosi a disconoscere i costi per la loro mancata separata indicazione in dichiarazione.

Rileva in sintesi che la necessità di verificare nel merito che la contribuente avesse fornito la prova dei requisiti di deducibilità dei costi in questione prescindeva dal contenuto della motivazione dell'avviso di accertamento, atteso che all'epoca in cui lo stesso è stato emesso vigeva una disciplina diversa, in forza della quale l'indeducibilità dei costi discendeva dalla sola mancata separata indicazione degli stessi e, dunque, l'ufficio non era chiamato ad effettuare una verifica della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 110, comma 11, né a instaurare il contraddittorio precontenzioso previsto dalla norma medesima.

Il motivo è infondato

Se non può, da un lato, non rilevarsi che la norma transitoria di cui all'art. 1, comma 303, legge n. 296 del 2006, condiziona la retroattività del nuovo quadro normativo - quanto in particolare alla degradazione dell'omessa separata indicazione in dichiarazione dei costi c.d. black list da causa ostativa alla deducibilità dei costi a violazione formale oggetto di sanzione - alla prova, con onere a carico del ricorrente, della sussistenza dei requisiti sostanziali di deducibilità dei costi (non diversamente potendosi intendere l'inciso «sempre che» - ossia, a condizione che - «il contribuente fornisca la prova di cui all'art. 110, comma 11, primo periodo, citato testo unico delle imposte sui redditi»), occorre dall'altro pur sempre coordinare tale disciplina con le norme e i principi che regolano l'accertamento e il processo tributario, tra i quali pregnante importanza riveste in particolare, ai fini in esame, quello che non consente l'introduzione nel giudizio di merito di profili di fatto e ragioni giuridiche che non siano state espressamente e chiaramente contestati nell'avviso impugnato.

È noto infatti che, nel giudizio tributario, l'oggetto del dibattito processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall'Ufficio nell'atto impositivo impugnato e, dall'altro, dagli specifici motivi d'impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo, non essendo pertanto consentito all’amministrazione introdurre nel corso del giudizio, tanto meno in grado d'appello, ragioni di fatto o giuridiche che, seppur astrattamente idonee a supportare la pretesa fiscale, siano tuttavia nuovi e diversi da quelli specificamente contestati nell'avviso impugnato (v. ex aliis Sez. 5, n. 25909 del 29/10/2008, Rv. 605428; Sez. 5, n. 10779 del 11/05/2007, Rv. 597732; Sez. 5, n. 22010 del 13/10/2006, Rv. 593679).

Tanto più tale principio assume rilievo nella materia trattata, nella quale l'importanza e l'indefettibilità di una specifica contestazione della mancanza dei requisiti sostanziali di deducibilità dei costi c.d. black list si ricava univocamente dalla previsione di cui al comma 11 dell'art. 110 T.U.I.R.che non solo non consente di prescindere da tale contestazione ma anzi prevede che la stessa debba essere preceduta dalla notifica all'interessato di «un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo fa possibilità di fornire, neI termine di 90 giorni, le prove predette», con l'obbligo di specificamente motivare nell'avviso di accertamento l'eventuale valutazione di inidoneità di quelle offerte in risposta dal contribuente.

Deriva dal necessario coordinamento di detto principio con la sopra citata norma transitoria di cui all'art. 1, comma 303, legge n. 296 del 2006 che, in difetto di specifica contestazione nell'avviso di accertamento della mancanza dei requisiti sostanziali di deducibilità dei costi in questione, la loro sussistenza deve ritenersi (per l'appunto) non contestata e, per ciò stesso, non richiesta la sua prova positiva a carico del contribuente, ai fini della applicabilità retroattiva della nuova disciplina sanzionatoria nel complesso ad esso più favorevole.

5. In accoglimento del (solo) primo motivo di ricorso la sentenza della C.T.R. va pertanto cassata; non essendo poi necessari ulteriori accertamenti di fatto e trattandosi di sanzione univocamente determinata nel suo ammontare per legge, in misura proporzionale (10%) all'ammontare dei costi, con un limite minimo di € 500 ed uno massimo di € 50.000, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con l'irrogazione della sanzione di € 50.000, limite massimo che nel caso viene in rilievo atteso il più elevato importo cui condurrebbe l'applicazione della percentuale del 10% dei costi non dichiarati (pari come detto ad € 2.130.179,87).

In considerazione della complessità delle questioni trattate e delle oscillazioni giurisprudenziali inizialmente registratesi in materia si reputa equo compensare le spese dell'intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara dovuta dalla società contribuente la sanzione proporzionale di € 50.000; compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.