Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6320

Tributi - Iva - Irpeg - Irap - Avvisi di accertamento

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle entrate, nel giudizio promosso dalla spa S. con l'impugnazione di quattro avvisi di accertamento per i periodi d'imposta 2001 e 2002, i primi due ai fini dell'IRPEG e dell'IRAP, e gli altri ai fini dell'IVA, con i quali, per quanto ancora rileva, veniva negata la deducibilità di costi formalmente collegati ad un contratto di somministrazione con la capogruppo spa La R. - in forza del quale questa forniva alla prima la gamma dei prodotti del proprio assortimento -, confermava le relative riprese, dichiarando quei costi non inerenti all'attività della società contribuente.

Il giudice d'appello, premesso che i costi derivanti dal detto contratto di somministrazione non erano "stati analiticamente esposti in bilancio", che essi "devono essere imputati al conto economico in ordine alla loro connotazione ragionieristico fiscale", e che erano stati "ripresi a tassazione dall'ufficio avendoli la S. spesati nel proprio bilancio", rilevava che "tale imputazione nel conto economico risultava indebita, attesa la loro non inerenza e in ogni caso la mancanza di documentazione dei costi stessi ai sensi dell'art. 75 del tuir". ''E' da dire che il costo dei beni e dei servizi - prosegue la Commissione regionale - è costituito dalla sommatoria dei costi diretti risultanti dai documenti relativi all'acquisizione presso il fornitore e degli altri oneri accessori di diretta imputazione, cioè quelli sicuramente imputati a quel bene o servizio. Gli oneri accessori possono essere i più diversi: a titolo d'esempio, si possono citare le provvigioni e le commissioni di acquisto, le assicurazioni, i noli e i trasporti, i magazzinaggi e gli altri oneri similari. la SMA contesta la ripresa dei costi, sostenendo la spesabilità di essi nel proprio bilancio. Tale asserzione non trova accoglimento, perché non è possibile conoscere a quali costi ci si riferisca essendo essi indicati in modo generico. Per quanto riguarda i costi di trasporto addebitati a SMA, parte appellata non è stata in grado di fornire alcun dettaglio degli stessi, non possedendo la documentazione dalla quale si possa evincere in maniera analitica la composizione analitica degli stessi e quindi non è possibile provare la loro inerenza".

Nei confronti della decisione (CTR Lombardia n. 98/20/08) la spa SMA ha proposto ricorso per cassazione (rgn. 13387/09) sulla base di ventuno motivi, illustrati con successiva memoria, cui resistano con controricorso l'Agenzia delle entrate ed il Ministero dell'economia e delle finanze, ed ha inoltre presentato ricorso per revocazione per errore di fatto ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc civ., che la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto, passando all'esame dell'appello dell'ufficio, che ha rigettato.

Nei confronti della decisione di accoglimento della revocazione (CTR n. 131/19/10) l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione (rgn. 3641/11) sulla base di sette motivi, cui la spa SMA resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

 

Motivi della decisione

 

I ricorsi proposti a questa Corte, considerato il rapporto di pregiudizialità che connota i due giudizi, vanno riuniti, procedendosi, secondo l'ordine logico, anzitutto all'esame del ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza che ha revocato l'originaria decisione di secondo grado, ed ha quindi rigettato l'appello dell'ufficio.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha infatti ritenuto che la sentenza di appello della quale era richiesta la revocazione era "basata sulla asserita - ma l'asserzione è erronea - mancata esposizione analitica dei costi di magazzinaggio e sull’asserita carenza documentale dei costi stessi": asserzioni - prosegue il Giudice della revocazione - però immediatamente smentite dalla serpi ice lettura del verbale di constatazione, del quale vengono dettagliatamente indicati e riportati i luoghi oltre che, tra l'altro, da un assieme di fatture passive provenienti da la R. rinvenute dalla Guardia di finanza. Ed ha perciò ritenuto che la sentenza n. 92/20/08 della CTR della Lombardia "sia fondata sulla supposta inesistenza di un fatto (la mancata esposizione analitica dei costi sostenuti e la loro mancata documentazione) la cui verità è positivamente stabilita mediante le asseverazioni contenute nel p. v. c. del 19-12-2003. Rileva che l'errore di fatto di cui trattasi (sulla sussistenza e la tipologia delle prestazioni, sull'entità dei relativi costi, sulla completezza informativa e documentale) non sia mai stato oggetto di contestazione né diretta né indiretta fino al giudizio di primo grado. Oggetto della controversia scaturita dall'impugnazione degli avvisi di accertamento era invece soltanto la riferibilità dei costi di magazzinaggio al ciclo economico di SMA, ovvero, come ritenuto dall'Ufficio e dai verificatori, di La R.. Ritiene infine che il suddetto errore di fatto (emessa lettura del pvc ed omessa rilevazione dell'esistenza di fatture passive e loro prospetti analitici) sia stato decisivo poiché, in mancanza di esso, la decisione della causa avrebbe dovuto essere diversa per necessità logico-giuridica".

Con il primo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ. violazione dell'art. 64 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l'amministrazione ricorrente censura la sentenza per non aver dichiarato l’inammissibilità di un ricorso per revocazione di una sentenza già impugnata con ricorso per cassazione dalla medesima parte.

Il motivo è infondato, ove si consideri che questa Corte ha chiarito come "l'art. 64, coma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui subordina l'ammissibilità della revocazione ordinaria alla non ulteriore impugnabilità della sentenza sul punto dell'accertamento in fatto, non si riferisce all'inoppugnabilità derivante dalla scadenza dei termini per l‘impugnazione, ma a quella derivante dalle preclusioni relative all'oggetto del giudizio, ovverosia, per le sentenze di secondo grado, all’impossibilità di contestare l'accertamento in fatto in sede di legittimità: è pertanto ammissibile la revocazione ordinaria avverso una sentenza della commissione tributaria regionale inoppugnabile sotto il profilo dell'accertamento in fatto, ancorché non sia ancora scaduto il termine per la proposizione del ricorso per cassazione" (Cass. n. 19522 del 2008).

Con il secondo motivo l'amministrazione assume che a fronte di una sentenza di appello fondata sulla non inerenza dei costi dedotti dalla contribuente ed inoltre sulla loro mancata esposizione analitica, impugnata con ricorso per revocazione, la Commissione regionale avrebbe violato l'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., avendo ritenuto ammissibile una domanda di revocazione fondata su un errore di fatto non decisivo, in quanto incidente sulla sola questione della esposizione analitica dei costi nella contabilità della contribuente.

Con il terzo motivo l'Agenzia delle entrate sostiene che la Commissione regionale avrebbe violato l'art. 395, n. 4, cod.proc. civ., avendo ritenuto ammissibile una domanda di revocazione fondata su un errore di fatto - la mancata esposizione analitica dei costi sostenuti e la carenza documentale dei costi stessi - vertente su un punto controverso fra le parti.

Con il quarto motivo l'Agenzia delle entrate assume che la Commissione regionale avrebbe violato l'art. 395, n. 4, cod.proc. civ. avendo ritenuto ammissibile una domanda di revocazione fondata non su un errore di percezione, immediatamente ed obiettivamente rilevabile, ma su un preteso errore relativo alla attività valutativa del giudice di merito (tesa a verificare se vi fosse stata una esposizione analitica dei costi di magazzinaggio e una idonea documentazione di tali costi).

Il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono fondati, con assorbimento dell'esame del primo motivo, e dei successivi quinto, sesto e settimo motivo, che si appuntano sulla parte rescissoria della sentenza impugnata.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "l'errore di fatto che può dar luogo alla revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n.4 cod. proc. civ. (richiamato dall‘art.391 bis cod.proc.civ.), consiste nella erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastatamente esclusa, oppure nella supposizione della inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell'asserto errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato. Siffatto genere di errore presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, una delle quali energente dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di giudizio, e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti. Tale errore deve avere il carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive, e, tanto meno, di particolari indagini ermeneutiche, e non è ravvisabile nella diversa ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali" (ex multis, Cass. n, 6388 del 1999).

Nella specie, con riguardo al terzo motivo, il Collegio osserva che con l'appello l'Agenzia delle entrate aveva ritenuto indebita l'imputazione dei costì nel bilancio della SMA, "attesa..., in ogni caso la neo documentazione degli stessi alla stregua dell'art. 75 tuir", rilevando che in sede di verifica "la società non era stata in grado di fornire alcun dettaglio" relativo ai costi di trasporto delle merci movimentate dai magazzini della R. ai punti vendita della SMA. Perciò, "se non era possibile individuare la composizione dei costi riaddebitati alla SMA... come poteva la SMA spesare i relativi costi?... La società verificata non ha fornito alcun dettaglio con riguardo a tali costi (né di trasporto né tanto meno degli altri... e non ha documentato (rectius provato) alcunché con riguardo ai costi oggetto del recupero.... Senza nulla provare... soprattutto intorno al quantum dei costi". Il punto sul quale sarebbe dunque caduto l'errore di fatto aveva dunque costituito oggetto di controversia fra le parti, avendo l'Agenzia delle entrate contestato con l'appello che i costi fossero stati analiticamente esposti e che vi fosse documentazione idonea a provare il quantum degli stessi.

Con riguardo al quarto motivo il Collegio osserva che il giudice di appello, in ordine all'entità dei costi ed alla loro idonea documentazione, aveva compiuto una valutazione, avendo ritenuto, all'esito dell'esame degli atti, che "i costi derivanti dal contratto di somministrazione... non sono stati analiticamente esposti in bilancia., essi venivano ripresi a tassazione.. l’imputazione nel cento economico risulta indebita attesa... la mancanza di documentazione degli stessi ai sensi dell'art. 75 tuir", la contestazione della SMA "non trova accoglimento perché non è possibile conoscere a quali costi ci si riferisca essendo essi indicati in modo generico. Per quanto concerne i costì di trasporto addebitati a SMA, parte appellata non è stata in gradi di fornire alcun dettaglio degli stessi, non possedendo la documentazione dalla quale si possa evincere in maniera analitica la composizione qualitativa degli stessi e quindi non è possibile provare la loro inerenza".

Non sussistevano dunque le condizioni per la revoca della originaria decisione di appello, sicché va cassata senza rinvio la sentenza che ha pronunciato la revocazione decidendo poi il merito della causa.

Può quindi procedersi all'esame del ricorso per cassazione (rgn. 13387/09) proposto dalla spa SMA avverso l'originaria sentenza di appello, del cui contenuto si è detto supra.

La seconda delle due contestazioni mosse con gli avvisi di accertamento impugnati, in tema di competenza delle "prestazioni corporate" è stata ritirata in via di autotutela durante il giudizio dì revocazione, come si legge nella sentenza di revocazione cassata CTR Lombardia n. 131/19/10. I motivi di ricorso da ventuno a venticinque formulati nel presente giudizio, che proprio a tale contestazione sono riferiti, vanno pertanto dichiarati inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse.

Con il primo motivo si denuncia per ultrapetizione il sindacato del giudice d'appello sulla asserita inconoscibilità dei costi in discorso; con il secondo si assume la novità del motivo di appello concernente la sufficiente analiticità dei costi, mentre con il terzo ed il quarto si lamenta la indebita integrazione della motivazione in corso di causa ai fini, rispettivamente, delle imposte dirette e dell'IVA; in subordine a tali doglianze, con il quinto motivo si denuncia l'insufficiente motivazione della sentenza, mentre in ulteriore subordine ci si duole della violazione del principio dell'onere della prova; con il settimo motivo si denuncia la violazione dell'art. 2425 cod. civ.; in relazione al tema dell'effettività dei costi, con l'ottavo ed il nono motivo si denuncia, rispettivamente, extrapetizione e violazione del divieto dello jus novorum sulla questione di fatto costituita dalla completezza documentale delle scritture della SMA e sull'effettività dei costi e servizi in questione, mentre con il decimo e l'undicesimo si lamenta la indebita integrazione della motivazione ai fini, rispettivamente, delle imposte dirette e dell'IVA, ed ancora, in subordine, con il dodicesimo motivo, insufficiente motivazione; con il tredicesimo motivo si lamenta la violazione delle regole sul riparto dell'onere della prova in presenza di costi deducibili; con riguardo alle spese di trasporto, con i motivi quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo la ricorrente denuncia extrapetizione, violazione del divieto di jus novorum, e violazione del divieto di integrazione giudiziale della motivazione ai fini sia delle imposte dirette che dell'IVA, mentre con il diciottesimo motivo si denuncia la violazione del principio dell'onere della prova esteso al punto di obbligarla ad acquisire e conservare informazioni contabili relative alla sfera di terzi.

Con il diciannovesimo ed il ventesimo motivo del ricorso la ricorrente assume che "l'esito sostanziale delle valutazioni della CTR, così come quello del p.v.c. e degli avvisi di accertamento si pane in contrasto con il requisito legale dell'inerenza ex art. 75, comma 5, tuir - e così per la nozione legale di detraibilità ai fini IVA -, da ritenersi pienamente rispettato in presenza di un assetto organizzativo quale è quello che si è dato il Gruppo R. in relazione a determinate attività di somministrazione e magazzinaggio.

Dall'esame di tali due motivi il Collegio ritiene sia logico muoversi, anche alla luce dell'art. 111 Cost., in quanto involgenti il punto centrale dell'inerenza dei costi nell'assetto dei rapporti fra la società capogruppo la R. e la controllata SMA in forza del contratto di somministrazione stipulato fra tali soggetti il 9 novembre 1998 - costituente parte del p.v.c. e con esso riprodotto nel ricorso alle pagg. 99 e seguenti, e richiamato nella sentenza impugnata ("avvisi di accertamento emessi sulla base" di un rilievo contenuto nel verbale di constatazione: "costi formalmente collegati ad un contratto di somministrazione. La ripresa riguarda i costi derivanti da un contratto di somministrazione stipulato fra la SMA e la R. con cui questa forniva alla SMA la gamma dei prodotti del suo assortimento" - avente efficacia per gli anni dal 1998 al 2003. Su tale tema questa Corte ha svolto, con le sentenze n. 10319 e 10320 del 2015, considerazioni che si ritiene debbano condividersi nei termini che seguono.

Il giudice d'appello che aveva confermato l'annullamento degli avvisi di accertamento impugnati dalla spa SMA era stato «assolto dall'addebito di aver violato o falsamente applicato, con riguardo al contratto del novembre 1998 che regolava i rapporti fra La R. e la spa SMA, i canoni ermeneutici fissati dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ. per aver ritenuto, secondo la prospettazione della ricorrente, che nella attività - svolta dalla prima contro compenso, "determinato sulla base dei costi effettivamente sostenuti", corrisposto dalla seconda - "di ricevimento, stoccaggio e trasporto dei prodotti in colli agli esercizi gestiti direttamente dalla somministrataria" (di cui al punto 9 del contratto) non fossero comprese le prestazioni, e più in generale i costi, analiticamente indicati nel motivo (e trascritti supra), afferenti alla gestione in senso ampio dei prodotti acquistati da La R. per la SMA, sino alla loro consegna ai punti vendita di quest'ultima.

La ricostruzione del rapporto operata nella sentenza, infatti, per un verso coglie "la comune intenzione delle parti" (art. 1362, cod. civ.), manifestata nel contratto denominato "di somministrazione", della capogruppo La R. da una parte, e dalla SMAFIN srl poi SMA, nonché dalle "altre società del gruppo", dall'altra, intenzione costituita dal mettere in comune "una serie di funzioni operative e di servizi di carattere generale e di utilizzare a questo fine le strutture esistenti presso La R.", la quale "era obbligata ad eseguire prestazioni periodiche e continuative di servizi nei confronti della SMAFIN in cambio di un prezzo".

Per altro verso, le clausole dell'accordo sono interpretate le une per mezzo delle altre, "attribuendosi a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto" (art. 1363 cod. civ.): "è evidente - osserva in giudice d'appello - che la ricorrente, pur disponendo di suoi magazzini, abbia la convenienza ad appoggiarsi anche ai magazzini centralizzati di cui La R. si accollava l'onere della gestione logistica".

In forza del contratto, "la SMAFIN si assicurava così - rileva ancora la Commissione regionale - la facoltà di accedere all'assortimento di prodotti messo a disposizione da La R., compresa la fornitura costante continuativa e periodica di merci e di servizi logistici relativi alle merci, con garanzia di regolarità delle prestazioni, la convenienza e la stabilità dei prezzi di fornitura delle merci stesse".

Il Collegio, una volta ricordato di passaggio che quando l'attività di fare è strumentale rispetto alla prestazione di cose, come avviene nella specie, si resta nell'ambito della somministrazione, mentre se è prevalente il lavoro prestato, si ha appalto (Cass. n. 12546 del 2003), ritiene che il giudice d'appello ha correttamente inteso che i servizi logistici relativi alle merci fossero appunto quelli, e tutti quelli, funzionali alla fornitura costante continuativa e periodica delle merci destinate alla SMA, dall'acquisto alla consegna ad opera de La R..

Le ragioni della scelta delle parti, dichiaranti in apertura del contratto (integralmente riprodotto nel ricorso dell’amministrazione), risiedono d’altronde nel carattere dei soggetti componenti il gruppo di società e nel conseguente assetto dato ai relativi rapporti commerciali. La società madre, che dispone di vasta e completa conoscenza della distribuzione nazionale e che per sfruttare il potenziale del mercato opera con differenti tipologie "sotto appositi e diversi marchi e segni distintivi propri, fra cui il marchio SMA", dispone, "in virtù della diffusione nazionale della propria rete di vendita, di servizi centralizzati per un ordinato e tempestivo rifornimento delle merci in assortimento e per la loro rotazione... e di centri di distribuzione delle merci, dotati di propria organizzazione ed utilizzati per il ricevimento, lo stoccaggio ed il trasporto dei prodotti fino agli esercizi commerciali gestiti direttamente dagli affiliati" (così le premesse nel contratto).

... è appena il caso di ricordare che "in tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all'impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili" (Cass. n. 16826 del 2007), e che "il concetto di inerenza è, invero, nozione di origine economica, legata all'idea del reddito come entità calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione, che, nel campo fiscale, si traduce in un risparmio di imposta e in relazione alla cui sussistenza, ove si abbia riguardo a spese intrinsecamente necessarie alla produzione del reddito dell’impresa, non incombe alcun onere della prova in capo al contribuente" (Cass. n. 6548 del 2012).

Ciò posto, se "rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio d'impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo non proporzionato ai ricavi o all'oggetto dell’impresa" (tra le altre, Cass. n. 8072 del 2010, n. 9036 del 2013), un siffatto sindacato non sembra possa spingersi, come postulato dall'amministrazione ricorrente, sino alla "verifica oggettiva circa la necessità, o quantomeno circa la opportunità (sia pure secondo una valutazione condotta con riguardo all'epoca della stipula del contratto) di tali costi rispetto all'oggetto dell'attività". E tanto perché il controllo attingerebbe altrimenti a valutazioni di strategia commerciale riservate all'imprenditore.

Nella specie ciò comporterebbe infatti un sindacato in ordine all'assetto organizzativo ed economico inverato, con il contratto più volte menzionato, dalla contribuente, società figlia nell'ambito del gruppo, assetto dato - per utilizzare la definizione offerta in una difesa della stessa SMA "dall'accentramento ne La R. della intera funzione logistica di gestione dei depositi in varie aree del Paese, nel perseguimento di intuibili economie di scala".

I motivi diciannovesimo e ventesimo devono essere pertanto accolti, assorbito l'esame dei motivi dal primo al diciottesimo, e dichiarata l'inammissibilità dei motivi dal ventunesimo al venticinquesimo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi come accolti, e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia perché proceda ad un nuovo esame alla luce dei principi enunciati.

Le spese del primo giudizio vanno compensate fra le parti, in ragione del carattere assunto dalla controversia.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso rgn. 3641/11, e cassa la sentenza impugnata senza rinvio.

Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Accoglie il diciannovesimo ed il ventesimo motivo del ricorso rgn 13387/09, assorbito l'esame dei motivi dal primo al diciottesimo, e dichiara l'inammissibilità dei motivi dal ventunesimo al venticinquesimo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi come accolti e rinvia, anche per le spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.