Giurisprudenza - CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA REGIONE SICILIA - Ordinanza 03 febbraio 2016

Imposte e tasse - Imposta municipale unica (IMU) - Istituzione, anticipazione sperimentale dal 2012, disciplina della base imponibile e dell'aliquota. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, artt. 13, commi 11 e 17, e 48, comma 1-bis.

 

Premesso e considerato

 

1. Gli odierni ricorrenti, proprietari di fabbricati rurali e terreni agricoli iscritti al catasto terreni e fabbricati di Augusta, come tali destinatari per l'anno 2012 dell'imposta municipale unica-IMU, hanno impugnato la deliberazione 30 ottobre 2012 n. 47 del Comune di Augusta con cui è stato approvato il regolamento concernente le modalità di applicazione di detta imposta.

1.1. A fondamento della domanda di annullamento della deliberazione hanno dedotto l'illegittimità del regolamento comunale che deriverebbe dall'illegittimità costituzionale, sotto vari profili, dell'art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 che, come noto, ha anticipato l'applicazione dell'IMU, già istituita con il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, apportando modifiche significative alla disciplina originaria.

1.2. Deducono in particolare che l'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011 sarebbe incostituzionale sia perché in contrasto con l'art. 43 dello Statuto siciliano e con il principio di leale collaborazione, presupponendo l'applicazione dell'IMU in Sicilia la modifica dello Statuto attraverso l'intervento della Commissione paritetica e quindi seguendo un metodo pattizio, sia perché violerebbe la potestà legislativa esclusiva della Regione in materia di enti locali nonché l'autonomia finanziaria di questi ultimi, ai sensi dell'art. 119 Cost.

1.2.1. Sotto il primo profilo, quanto alla dedotta violazione dell'art. 43 dello Statuto, i ricorrenti richiamano il precedente della sentenza della Corte costituzionale 7 marzo 2012, n. 64, secondo cui il decreto legislativo n. 23/2011 si applica nei confronti delle regioni a statuto speciale solamente nel rispetto dei rispettivi statuti, coerentemente con la clausola di salvaguardia in tal senso già contenuta nell'art. 27 della legge di delegazione n. 42/2009.

1.2.2. Sotto il secondo profilo, i ricorrenti sottolineano la rilevanza delle modifiche apportate dall'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011 alla disciplina originaria dell'IMU, a cominciare dalla introdotta compartecipazione statale, nella misura della metà del gettito calcolato sull'aliquota dello 0,76%, previsione che lederebbe al tempo stesso la potestà esclusiva della Regione Sicilia in materia di ordinamento e controllo degli enti locali e la stessa autonomia finanziaria degli enti locali.

1.2.3. Infine sempre l'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011 violerebbe, a loro avviso, anche gli articoli 3 e 53, fondandosi su una redditività presunta e non attuale degli immobili, tanto più data la situazione del catasto in Italia, nonché gli artt. 42, 44 e 47, sull'assunto che in questo caso il prelievo tributario determinerebbe effetti sostanzialmente espropriativi, soprattutto nei riguardi della piccola proprietà, a detrimento del risparmio.

2. Con un primo parere interlocutorio dell'11 dicembre 2014 questo Consiglio ha disposto incombenti istruttori per accertare se, alla luce delle modifiche normative che all'indomani della presentazione del ricorso avevano interessato in più punti il contestato art. 13 del decreto-legge n. 201/2011 i ricorrenti avessero ancora interesse alla loro impugnazione.

2.1. Il ricordato parere interlocutorio si era reso necessario anche in ragione del giudizio di costituzionalità al tempo pendente dinanzi alla Corte, in forza del ricorso presentato dalla Regione Sicilia iscritto al n. 39 del 2012 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2012, n. 4, giudizio in quel momento prossimo ad essere discusso e in seguito definito con la sentenza del 15 luglio 2015, n. 155, sulla quale si tornerà nel prosieguo.

2.2. Con un secondo parere interlocutorio del 15.5.2015 questo Consiglio, acquisiti tramite l'Ufficio legislativo della Presidenza della Regione i chiarimenti richiesti, ha preso atto del perdurante interesse dei ricorrenti all'annullamento del regolamento qui impugnato e, nell'imminenza della discussione del ricorso n. 39/2012 presentato dalla Regione Sicilia, ha sospeso l'espressione del proprio parere sino alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale.

3. Dopo la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 155/2015, nell'adunanza del 18 novembre 2015 questo Consiglio ha nuovamente esaminato il ricorso e, con esso, la richiesta di rimessione alla Corte delle questioni di legittimità costituzionale richiamate in premessa, valutando tali questioni rilevanti e non manifestamente infondate, nei limiti e per le ragioni che di seguito saranno chiariti.

4. Deve premettersi, in punto di rilevanza, che in questa sede è impugnato un atto regolamentare del Comune di Augusta, concernente le modalità generali di applicazione dell'IMU che, in buona parte mutuate dalla fonte primaria, concernono il presupposto e la base imponibile della nuova imposta, il regime delle esenzioni e delle agevolazioni, le modalità della dichiarazione e dei versamenti, la disciplina dei rimborsi e delle compensazioni, il sistema della riscossione coattiva.

Poiché la controversia non ha ad oggetto i singoli atti applicativi, di accertamento e liquidazione, dell'imposta municipale, deve ritenersi che, sulla scorta di indirizzi giurisprudenziali del tutto consolidati (cfr. Cons. St., sez. V, n. 2942/2012; tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma, sez. II, n. 1567/2013; tribunale amministrativo regionale Puglia, Lecce, sez. II, n. 492/2007), la cognizione sul regolamento quale atto generale e presupposto adottato nell'ambito della potestà regolamentare prevista dall'art. 52 del decreto legislativo n. 446/1997, spetti al giudice amministrativo secondo il generale criterio di riparto di giurisdizione di cui agli articoli 24, 103 e 113 Cost., così come ribadito peraltro anche dall'art. 7, comma 4, della legge n. 212/2000 sullo Statuto del contribuente.

Con la precisazione che la riaffermata giurisdizione del giudice amministrativo vale a radicare, nel caso di specie, anche la cognizione di questo Consiglio in sede consultiva, nell'esame di un ricorso straordinario proposto in alternativa al ricorso (più propriamente giurisdizionale) (v. art. 7, comma 8, c.p.a.); ambito, quello del ricorso straordinario, nel quale come noto, per effetto delle modifiche apportate all'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1199/1971 dall'art. 69 della legge n. 69/2009, la sezione consultiva è ora legittimata a sollevare questioni di legittimità costituzionale, essendole riconosciuta natura di giudice a quo (v. già Corte cost., sent. n. 265/2013 e n. 73/2014).

5. Ciò posto, le questioni prospettate sono rilevanti anche ai fini della decisione nel merito della controversia, sul presupposto dell'immediata lesività dell'atto regolamentare qui impugnato (v., ex multis, tribunale amministrativo regionale Toscana, sez. I, n. 560/2014) ed essendo evidente che l'illegittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011, ove fosse dichiarata con effetti ex tunc, priverebbe della sua imprescindibile base normativa il regolamento comunale qui impugnato, di cui è chiesto l'annullamento, con l'ovvia conseguenza di impedire l'applicazione dell'IMU e, in definitiva, la sua riscossione a spese degli odierni ricorrenti.

Il che evidenzia la rilevanza, in concreto, delle questioni di legittimità costituzionale nel presente giudizio.

6. Quanto al requisito della non manifesta infondatezza, occorre esaminare in primo luogo la dedotta duplice violazione dell'art. 43 dello statuto della Regione Sicilia (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e del principio di leale collaborazione, da parte dell'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011.

6.1. Giova ricordare come al momento di istituire la «nuova» imposta municipale, con il decreto-legge n. 23/2011 in attuazione della delega di cui alla legge n. 42/2009, si fosse previsto espressamente, all'art. 14, con una norma di garanzia, che «al fine di assicurare la neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni a statuto speciale, il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall'art. 27 della citata legge n. 42 del 2009».

Di contro, invece, la clausola di salvaguardia inserita all'art. 48, comma 1-bis, del (di poco) successivo decreto-legge n. 201/2011 (con cui, attraverso l'art. 13, l'istituzione di tale imposta è stata anticipata con effetto pressochè immediato, a decorrere già dall'anno 2012, introducendo alcune significative modiche che saranno ricordate più avanti) è sicuramente più debole in quanto, pur facendo richiamo alle «norme di attuazione statutaria» per definire le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del nuovo decreto nei confronti delle regioni a statuto speciali, esordisce stabilendo che restano ferme, anche per questi enti, «le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28».

Sicché questa seconda clausola, lungi dal condizionare l'immediata applicazione dell'IMU nei confronti delle regioni a statuto speciale alla previa raggiunta intesa con tali enti, sembra piuttosto «promettere» che in un futuro indeterminato, quando le condizioni lo permetteranno, il metodo consensualistico sarà ripristinato.

6.2. Ciò posto, se l'art. 43 dello Statuto siciliano attribuisce ad una commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione del medesimo statuto; l'art. 27 della legge n. 42/2009 declina il principio di leale collaborazione - che trova espressa menzione in Costituzione nell'art. 120 e che da tempo campeggia nella giurisprudenza costituzionale - sul terreno del coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale, individuando una pluralità di «luoghi» (da) dove assicurare detto coordinamento (la commissione tecnica paritetica di cui all'art. 4 della stessa legge n. 42/2009, la conferenza permanente per i rapporti Stato regioni, il «tavolo di confronto» di cui è fatta menzione nell'ultimo comma dell'art. 27).

Luoghi e modalità di coordinamento della finanza pubblica all'insegna di «una permanente interlocuzione», nel pieno rispetto degli sta-tu-ti speciali.

6.3. Tra il richiamo dell'art. 43 dello Statuto siciliano e quello dell'art. 27 della legge sul federalismo fiscale sembra potersi cogliere un punto di congiunzione, che è dato proprio dal principio di leale collaborazione inteso quale principio cardine di un modello di regionalismo cooperativo che la Corte costituzionale aveva elaborato ben prima della riforma del titolo V, ricavandolo dall'art. 5 (v., ad esempio, sent. n. 359/1985 e n. 19/1997) e che, nell'opinione di una parte della dottrina, si sarebbe potuto desumere, quanto al suo fondamento costituzionale, anche da alcune norme degli statuti speciali.

L'art. 43 dello statuto siciliano, quindi, come possibile fondamento del principio di leale collaborazione e, al tempo stesso, strumento attuativo di quel medesimo principio.

6.4. Sempre per quanto concerne la congiunzione tra il principio di leale collaborazione e il rispetto dello statuto, è importante richiamare il precedente della Corte costituzionale costituito dalla sentenza n. 64/2012.

Con tale sentenza, lo ricordano anche gli odierni ricorrenti nel loro atto introduttivo, la Corte, investita di una questione in parte simile avente ad oggetto sempre l'applicazione dell'imposta municipale nei confronti della regione Sicilia - lamentando quest'ultima che il decreto legislativo n. 23/2011, che introduceva la nuova imposta, sottraeva entrate tributarie spettanti alla regione a vantaggio dei comuni, così violando l'autonomia finanziaria regionale garantita dagli articoli 36 e 37 dello statuto e dalle correlate norme di attuazione - dichiarò la questione infondata sul presupposto che la nuova imposta non potesse applicarsi all'interno del territorio siciliano se prima, attraverso la nomina di un'apposita commissione paritetica e in coerenza con la clausola di salvaguardia di cui all'art. 27 della legge n. 42/2009 recante la delega in materia di federalismo fiscale, non fosse stato modificato lo Statuto regionale.

6.5. Se nel precedente appena ricordato la critica della Regione si appuntava essenzialmente sulla compartecipazione dei comuni al gettito della nuova imposta municipale propria (inizialmente) istituita a decorrere dall'anno 2014; all'indomani dell'anticipazione dell'applicazione della medesima imposta disposta, a decorrere dall'anno 2012, proprio dall'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011, la Regione Sicilia con un nuovo ricorso (il ricordato n. 39 del 2012) è tornata a lamentare la violazione degli articoli 36 e 37, nonché (questa volta anche) dell'art. 43, dello Statuto, estendendo i propri rilievi alla compartecipazione dello Stato, che determinerebbe l'ulteriore depauperamento delle proprie finanze.

6.6. Nella sentenza n. 155/2015, con cui è stato definito il citato ricorso n. 39/2012 della Regione Sicilia, la Corte costituzionale, pur riconoscendo in diversi passaggi della sua articolata motivazione la violazione dello Statuto e del metodo pattizio dell'intesa disegnato dall'art. 27 della legge n. 42/2009 (v. sub 7 passim, spec. 7.2 dove si afferma che «non risulta rispettato da parte dello Stato il metodo pattizio sotto il profilo sia procedurale che sostanziale, per effetto dell'adozione di norme, tendenzialmente dirette a sottrarre una parte delle competenze tributarie spettanti alle ricorrenti senza correlate misure riequilibratrici»), ha concluso il proprio giudizio nel senso dell'inammissibilità delle questioni concernenti gli articoli 13 e 14 del decreto-legge n. 201/2011.

Ciò sul particolare rilievo che «la mancata specificazione dei criteri attraverso cui determinare la titolarità dei nuovi tributi non consente di enucleare parametri utili per una pronuncia a rime obbligate» (v. sub 7, secondo capoverso), e che «uno scrutinio meramente formale svolto in riferimento ai parametri statutari vigenti condurrebbe a risultati non appropriati in relazione al bilanciamento tra i valori costituzionali potenzialmente antagonisti»; ma non senza rivolgere al legislatore un forte monito (v. sub 8, ultimo capoverso) affinché sia posto «immediato rimedio» alla violazione del principio di leale collaborazione e sia ripristinato il metodo dell'intesa tra Stato e Regione.

7. Questo Consiglio è consapevole dell'uso in notevole misura discrezionale, da parte della Corte, delle decisioni, processuali e di merito.

7.1. E' del resto noto come le decisioni di inammissibilità non siano previste da alcuna specifica disposizione, derivando la loro esistenza da una prassi consolidata della Corte (a partire dalla sentenza n. 108/1957) che, nell'opinione di autorevole dottrina, troverebbe il suo fondamento nella «natura delle cose».

La formula «inammissibilità», che nel tempo ha finito per assorbire buona parte delle altre tipologie di decisioni processuali, si articola peraltro in due grandi sottogruppi. Vi sono, da un lato, inammissibilità pronunciate con riferimento a questioni irritualmente o non correttamente prospettate, cui è possibile porre rimedio emendando i difetti formali riscontrati (tipico è l'esempio dell'ordinanza del giudice a quo non sufficientemente motivata in punto di rilevanza o di non manifesta infondatezza); e, dall'altro, inammissibilità riferite invece a violazioni non rimediabili delle regole che disciplinano il processo costituzionale.

In questo secondo caso si è osservato come la pronuncia che dichiara l'inammissibilità possa per certi aspetti equivalere ad una pronuncia di rigetto ed, anzi, determinare un effetto persino più radicale, come quando, ad esempio, sia invocato il limite di cui all'art. 28 della legge n. 87/1953.

7.2. Nel caso della sentenza n. 155/2015 l'inammissibilità sembrerebbe motivata essenzialmente in ragione del fatto che diversi sono i modi astrattamente idonei ad eliminare la violazione riscontrata (del metodo pattizio, posto a salvaguardia dell'autonomia delle regioni speciali) e che la scelta fra di essi compete al legislatore.

Se così è, siamo vicini ad un'ipotesi di «incostituzionalità accertata ma non dichiarata», cui si lega nel caso di specie, come già ricordato, un forte monito rivolto al legislatore. Il che non costituisce una novità e può preludere, ove il vizio non sia eliminato dal legislatore, perdurando nella sua inerzia, ad una decisione di diverso segno, nel senso del successivo accoglimento della questione, in ipotesi modulandone gli effetti nel tempo (il pensiero corre, inter alia, alle sentenze di «accoglimento datato» o alle sentenze «additive di meccanismo»).

7.3. Nella vicenda in esame non consta che lo Stato abbia avviato misure volte a dare seguito al monito racchiuso nella sentenza n. 155/2015 e, sebbene il tema della fiscalità locale e della tassazione sui beni immobili resti al centro della discussione politica e parlamentare, non risulta che sia stata avviata alcuna «interlocuzione» con le regioni speciali per porre rimedio alla lesione inflitta al principio e al metodo di leale collaborazione sul terreno del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; né è agevolmente prevedibile che, in un contesto divenuto sempre meno favorevole al disegno del federalismo fiscale e alle istanze autonomistiche, ciò possa avvenire un tempi ragionevoli.

7.4. Si è quindi dell'avviso che l'incostituzionalità accertata (ma non dichiarata) dalla Corte nella ricordata sentenza n. 155/2015 - quanto al profilo del procedimento legislativo sinora seguito, in violazione del principio consensuale che regola la materia - sia destinata a consolidarsi con il passare del tempo e a divenire sempre più acuta e progressiva, fino a sfociare in una sorta di «incostituzionalità di sistema», se solo consideriamo come dall'applicazione dell'IMU siano trascorsi all'incirca quattro anni, senza che il metodo pattizio sia stato ripristinato.

In particolare, proprio il tempo trascorso rende sempre meno giustificabile, neppure in nome del bisogno impellente di fronteggiare le esigenze dell'equilibrio di bilancio, una deroga così vistosa al modello consensualistico.

Per queste ragioni, la questione prospettata dai ricorrenti ed avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011 - per violazione dell'art. 43 dello Statuto Siciliano e del principio costituzionale della leale collaborazione che regola i rapporti tra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria, che trova nell'art. 27 della legge n. 42/2009 il suo svolgimento - appare non manifestamente infondata e va quindi rimessa alla Corte.

7.5. Facendo salvo lo stesso parametro, la stessa questione deve peraltro essere estesa, quanto all'oggetto, anche al ricordato art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge n. 201/2011, laddove consente l'immediata applicazione dell'IMU alle regioni ad autonomia speciale, senza prevedere un termine stringente e certo per l'approvazione di norme di attuazione statutaria e, quindi, per il ripristino del metodo pattizio.

8. Oltre e in aggiunta ai dubbi legati al procedimento legislativo sinora seguito, un'ulteriore questione si pone con riferimento al profilo più sostanziale relativo alla tutela dell'autonomia finanziaria della Regione Sicilia.

Il che rende necessario approfondire, sebbene in sintesi, il tipo di intervento realizzato dal legislatore statale, attraverso l'istituzione e poi la concreta applicazione dell'IMU.

8.1. Se in origine, con il decreto legislativo n. 23/2011, come già ricordato, l'istituzione dell'IMU era stata accompagnata dalla previsione di una serie di garanzie a tutela delle autonomie regionali speciali (v. articoli 8 e 14), in modo da assicurare la neutralità finanziaria dell'intervento; nell'anticiparne l'applicazione sin dal 2012, con il decreto-legge n. 201/2011, si è riservato allo Stato la quota di imposta pari alla metà del gettito realizzato con l'applicazione dell'aliquota base (v. art. 13, comma 11, in seguito modificato e poi abrogato ma solo a decorrere dal 2013). A questa riserva esplicita in favore dello Stato - hanno osservato i commentatori più attenti - si deve aggiungere una seconda riserva, per così dire implicita, riscontrabile nel meccanismo previsto dall'art. 13, comma 17 e che si realizza attraverso la riduzione dei trasferimenti erariali dovuti ai comuni.

8.2 Il combinato disposto delle due riserve (che si sommano al gettito attribuito ai comuni), riferite ad un'imposta che ad onta del lessico impiegato conserva natura erariale, parrebbe contrastare con gli articoli 36 dello Statuto della Regione siciliana e 2 delle norme di attuazione in materia finanziaria (il decreto del Presidente della Repubblica n. 1074/1965) laddove sottrae alla Regione l'integrale gettito dell'IMU riscosso nell'ambito del suo territorio, senza che ricorrano congiuntamente le tre condizioni che sole possono giustificare, ai sensi del medesimo art. 2, l'eccezionale riserva allo Stato di entrate tributarie erariali riscosse sul suo territorio.

8.3. In particolare, delle condizioni contemplate nell'art. 2 sembrano difettare il carattere di novità dell'imposta, per quanto concerne la parte devoluta ai comuni, per i quali anche senza la riforma del 2011 una simile entrata non sarebbe mancata, sebbene attraverso lo Schema della vecchia ICI; come anche il vincolo di destinazione del maggior gettito in favore dello Stato, sul rilievo che la clausola contenuta nell'art. 48 del decreto-legge n. 201/2011, che fa riferimento ai vincoli europei di bilancio e all'eccezionalità della situazione economica internazionale, non sia sufficientemente specifica (v., sulla nozione di «entrata nuova» e per un precedente in cui una destinazione simile è stata reputata generica, rispettivamente, Corte cost., sentenza n. 145/2014 e n. 241/2012).

Per queste ragioni, questo Consiglio ritiene di sollevare, d'ufficio, anche una seconda questione avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011, per violazione anche dell'art. 36 dello Statuto della Regione Sicilia e dell'art. 2 delle norme di attuazione, reputandola non manifestamente infondata.

9. Alla luce delle considerazioni che precedono, l'emissione del parere va sospesa in attesa della definizione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, disponendosi la rimessione della duplice questione alla Corte costituzionale.

Ogni altra statuizione in rito e nel merito è riservata all'esito del procedimento davanti alla Corte costituzionale.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa a sezioni riunite, non definitivamente pronunciando, sul ricorso straordinario in oggetto, visti gli articoli 134 Cost., 1 della l. cost. n. 1/1948, 23 e ss. della legge n. 87/1953 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1199/1971:

1) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge n. 201/2011, nella sua interezza e con particolare riferimento ai commi 11 e 17, nonché dell'art. 48, comma 1-bis, del medesimo decreto, in riferimento agli articoli 36 e 43 dello Statuto della Regione Sicilia, all'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1074/1965 recante norme di attuazione in materia finanziaria, e al principio costituzionale di leale collaborazione, ai sensi e nei termini di cui in motivazione;

2) dispone la sospensione del richiesto parere sul ricorso straordinario in oggetto, ordinando l'immediata trasmissione degli atti e della presente ordinanza alla Corte costituzionale.

Dispone altresì che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere dei deputati e del Senato della Repubblica.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 06 aprile 2016, n. 14