Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 febbraio 2016, n. 3096

Contenzioso - Giurisdizione italiana - Interruzione, sospensione ed estinzione - Sospensione del giudizio - Giudizio su redditi di capitali di un socio - Causa pregiudicata - Sentenza su società per utili occulti - Causa pregiudicante - Giudice della causa pregiudicata - Obbligo di sospensione del giudizio - art. 295, c.p.c., e art. 39, D.lg. n. 546 del 1992 - Esclusione - Decisione su autorità della sentenza della causa pregiudicante - Art.337, C.P.C. - Legittimità

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza 15.12.2009 n. 70 la Commissione tributaria della regione Puglia ha rigettato l'appello dell'Ufficio di Bari della Agenzia delle Entrate e dichiarato la nullità dell'avviso di accertamento emesso, ai fini IRPEF, nei confronti di F.C. con il quale veniva rideterminato il reddito di capitale, dalla stessa conseguito nell'anno 1999, in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione, pari al 24%, in relazione ai maggiori ricavi extracontabili accertati -nello stesso anno- nei confronti della società S. a r.l.

I Giudici territoriali, ravvisata la dipendenza logica tra l'accertamento dei maggiori ricavi della società ed i maggiori redditi di partecipazione, e rilevato che l'avviso di accertamento, per lo stesso anno d'imposta 1999, opposto da S. s.r.l. in altro giudizio, era stato annullato con sentenza n. 96/10/2007 della CTR Puglia (sul presupposto del giudicato esterno formatosi sulla sentenza della CTR n. 99/9/2005 che aveva dichiarato illegittima l'attività di verifica svolta dai verbalizzanti), ritenevano venuto meno il fatto costitutivo della pretesa tributaria nei confronti del socio F.C.

Avverso la sentenza di appello ha proposto rituale ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, deducendo due motivi ai quali ha resistito la contribuente con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per violazione dell'art. 2909 c.c., in relazione all'art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., sostenendo che erroneamente la CTR aveva ritenuto vincolante la sentenza n. 96/10/2007, pubblicata in data 8.1.2008, che aveva annullato l'atto impositivo emesso per maggiori ricavi extrabilancio nei confronti di S. s.r.l., società partecipata dalla contribuente, non potendo produrre effetti vincolanti la sentenza di merito non ancora passata in giudicato, sentenza peraltro che era stata successivamente cassata con rinvio, da questa Corte, con sentenza 10.8.2010 n. 18583. Non poteva, peraltro, riconoscersi -secondo la Agenzia ricorrente- neppure efficacia vincolante al giudicato formatosi sull'altra sentenza n. 99/9/2005, in data 2.11.2005, che aveva dichiarato illegittima l'attività di accertamento, per vizi attinenti al provvedimento autorizzativo del Procuratore della Repubblica di cui all'art. 52 co2 Dpr n. 633/72 ed alla eccessiva durata delle operazioni di verifica, in quanto emessa nei confronti di altro soggetto (S. s.r.l.) e relativa a tributo ed anno d'imposta diverso (IVA 1996).

Il motivo è inammissibile.

Diversamente da quanto ipotizzato dalla Agenzia ricorrente, la CTR non ha fatto applicazione della efficacia espansiva del giudicato esterno del 2005, ma si è limitata a prendere atto che nei confronti di S. s.r.l. era stata pronunciata sentenza di merito che aveva annullato l'atto impositivo da quella impugnato, venendo in conseguenza meno i maggiori ricavi da cui derivava l'accertamento del maggiore reddito di capitale, e la pretesa IRPEF, nei confronti del socio F.C.

La CTR non ha affatto violato la regola della intangibilità del giudicato, nella specie insussistente (la sentenza di merito emessa in primo grado e favorevole a S. s.r.l. è stata gravata di appello e successivamente riformata dalla CTR), ma ha fatto ricorso alla "autorità" della sentenza emessa nell'altro giudizio, ai sensi dell'art. 337 co 2 c.p.c., valutando nel merito la correttezza delle argomentazioni logiche e giuridiche svolte nella motivazione di tale provvedimento e ritenendo pertanto di non dover sospendere il giudizio (introdotto dalla F.) in attesa della definizione del giudizio "pregiudicante" (in cui era parte S. s.r.l.).

Ne segue che se l'accertamento, compiuto dalla CTR, in ordine alla valutazione del contenuto della sentenza di merito, la cui autorità è stata apprezzata con riferimento all'oggetto della controversia, è certamente censurabile sotto il profilo del vizio logico di motivazione, tanto in relazione al nesso di pregiudizialità tra le due cause, quanto in relazione alla valutazione della correttezza delle argomentazioni svolte nella motivazione a sostegno di detta decisione, la censura dedotta con il primo motivo dalla Agenzia fiscale non coglie all'evidenza la "ratio decidendi" della sentenza di appello, e deve pertanto essere dichiarata inammissibile.

Con il secondo motivo la Agenzia delle Entrate impugna la sentenza di appello per vizio di nullità processuale ex art. 360 co 1 n. 4 c.p.c. in quanto la CTR, dopo aver ravvisato il nesso di pregiudialità tra la causa avente ad oggetto l'accertamento dei ricavi occulti prodotti da SUPERFAN s.r.l. e la causa avente ad oggetto l'accertamento dei maggiori redditi di capitale in capo al socio F.C., ha omesso di sospendere il giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. , non accogliendo al richiesta istruttoria formulata dall'Ufficio.

Il motivo è infondato.

Occorre infatti distinguere la sospensione "necessaria" prevista dall’art. 295 c.p.c., dalla sospensione "discrezionale" del processo prevista dall'art. 337 co 2 c.p.c., dovendo escludersi che, in presenza della situazione processuale descritta, il Giudice di appello avrebbe dovuto disporre -come afferma la Agenzia fiscale- la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del giudizio relativo alla causa pregiudicata, non ricorrendo nel caso di specie i presupposti di legge. Questa Corte, infatti, risolvendo il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine alla linea di demarcazione della operatività dell'art. 295 c.p.c. e dell'art. 337 c.p.c. ha definitivamente chiarito che l'ambito di applicazione della prima norma va circoscritta alla ipotesi in cui in nessuna delle due cause legate da nesso di pregiudizialità necessaria sia stata ancora pronunciata una sentenza di merito, anche se non definitiva. Le ragioni poste a sostegno della soluzione interpretativa adottata dalle Sezioni Unite (cfr. Corte cass. SSUU 19.6.2012 n. 10027; id. SSUU 30.11.2012 n. 21348, cui si sono conformate le sezioni semplici: Corte cass. VI-II sez. ord. 5.11.2012 n. 18968; id. VI-III sez. 9.1.2013 n. 375; id. VIIII 19.9.2013 n. 21505) fanno perno sul disfavore con il quale il Legislatore processuale, abolendo la pregiudizialità penale automatica ed introducendo la sindacabilità mediante regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c. dei provvedimenti di sospensione adottati ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (modifiche introdotte con la legge n. 353/1990), ha riguardato il fenomeno del temporaneo arresto del processo, disfavore che ha trovato ulteriore conferma nel novellato art. 111 Cost. che stabilisce il principio della ragionevole durata del processo. Tali ragioni trovano inoltre fondamento ed aggancio normativi:

a) nella diversa situazione giuridica che sorge tra le parti in causa in conseguenza della pronuncia di una sentenza di merito -anche se non ancora irrevocabile-, essendo in grado tale provvedimento -in relazione alla sua differente natura di condanna, costitutiva, o di accertamento - di fornire una nuova regolamentazione del rapporto controverso, mediante la sua immediata esecutività provvisoria (artt. 282, 337 co 1 c.p.c.), ovvero di fornire il necessario presupposto logico-giuridico mediante la "autorità" che, per l'appunto, tale sentenza può rivestire nell'ambito di un altro giudizio, legato al primo da nesso di pregiudizialità (art. 337co2 c.p.c.), tanto perchè detto provvedimento è "il risultato di un accertamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di conformità a diritto";

b) nel potere processuale rimesso al Giudice della impugnazione, ex art. 283 c.p.c., di incidere sulla nuova situazione giuridica creata dalla sentenza di prime cure, disponendo la "sospensione della efficacia esecutiva o la esecuzione" di quella, e corrispondentemente nel potere riservato al Giudice della causa pregiudicata di valutare il grado di "autorità" della sentenza, nel caso in cui questa sia stata impugnata nel giudizio relativo alla causa pregiudicante (eventualmente "sospendendo la causa", in attesa della definizione del giudizio di impugnazione, nell'esercizio del potere discrezionale rimessogli dall'art. 337 co 2 c.p.c.), valutazione da compiersi "sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere".

E' stato puntualmente osservato, al riguardo, come la esigenza derivante dal nesso di dipendenza tra le fattispecie oggetto delle due cause, pregiudicante e pregiudicata, di evitare pronunce contrastanti con inutile spreco di attività giurisdizionale, e che induce pertanto ad attendere l'esito della causa che dovrà fornire il "criterio guida" all'altra, non ha più ragion d'essere dopo che è intervenuta una decisione di merito, atteso che "quando nel processo sulla causa pregiudicante la decisione è sopravvenuta, quello sulla causa pregiudicata è in grado di riprendere il suo corso, perché ormai il sistema giudiziario è in grado di pervenire al giudizio sulla causa pregiudicata fondandolo sull'accertamento che sulla questione comune alle due cause si è potuto raggiungere nell'altro processo tra le stesse parti, attraverso l'esercizio della giurisdizione".

Il secondo motivo è dunque infondato.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e l'Agenzia delle Entrate condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

- Rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 800,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge.