Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2016, n. 5155

Tributi - Abuso del diritto e elusione fiscale - Accertamento - Interposizione personale fittizia

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il 2 febbraio 1999 C. S.p.A. - ora C. F. S.p.A. - ha stipulato un contratto preliminare col quale si è impegnata a cedere a P. S.p.A. la totalità delle azioni di una società del "gruppo" - C. Informatica S.r.l. poi identificata come E. S.p.A. - alla quale sarebbe stata conferita la "divisione latte" di C. S.p.A., comprensiva di assets propri e di partecipazioni in società controllate del settore lattiero-caseario. Nella circostanza le società contraenti convenivano, a carico di C. S.p.A., un patto di non concorrenza a beneficio di P. S.p.A. e di società del Gruppo P. riguardo all'attività lattiero-casearia in generale e in particolare a quella della "divisione latte".

2. Lo stesso giorno 2 febbraio 1999 la società lussemburghese B. C. I., indiretta controllante C. S.p.A., ha stipulato con P. S.p.A. altro contratto col quale, facendo espresso riferimento al preliminare tra C. S.p.A. e P. S.p.A., si é impegnata, dietro corrispettivo di 58 miliardi di vecchie lire, a non svolgere per un quinquennio la stessa attività concorrenziale per le quali si è già impegnata C. S.p.A.. Indi, con altra lettera del 14 giugno 1999, il corrispettivo del patto di non concorrenza è stato elevato a 64 miliardi di lire. Ciò B. C. I. ha fatto, dietro corrispettivo di 64 miliardi di lire, in forza di mandato conferitole il 15 gennaio 1999 dalla società A. L. (con sede a Channel Island), a sua volta indiretta controllante B. C. I..

3. Il 30 aprile 1999 C. S.p.A. prima ha ottenuto dalla Banca di Roma un'apertura di linea di credito per 170 miliardi di lire e poi ha concesso alla controllante B. C. I. un finanziamento di pari importo.

4. Il primo maggio 1999 C. S.p.A. ha conferito a E. S.p.A. l'intero settore caseario costituto dalla storica divisione latte e dalle partecipazioni in Centrale del latte di Roma (75%) e Calabria Latte (56%). Il 7 luglio 1999 D. S.p.A., società designata dalla promissaria acquirente P. S.p.A., ha comprato le azioni di E. S.p.A.. Parallelamente il 6 luglio 1999 P. S.p.A. ha bonificato a B. C. I. il pagamento della prima rata di corrispettivo del patto di non concorrenza per l'importo di 32 miliardi di lire e tale importo è stato bonificato l'8 luglio 1999 a C. S.p.A. come "parziale rimborso finanziamento", cioè quello del 30 aprile 1999 (vedi sopra Par.3).

5. Il 7 luglio 1999 B. C. I. ha ceduto a C. S.p.A. il credito della seconda rata di 32 miliardi di lire, poi contabilizzata da C. S.p.A. il 13 luglio 1999 appunto come "seconda rata patto di non concorrenza", ossia, più in dettaglio, annotata nei "mastrini a ripresa di saldo" per l'importo, comprensivo d'interessi, di lire 33.248.385.778 con la causale "bonifico fornitori rata patto non concorrenza".

6. Il 15 luglio 1999 A. L. ha emesso fattura di 64 miliardi di lire nei confronti di B. C. I. e quest'ultima ha emesso fattura di 6,4 miliardi di lire nei confronti delle prima, in entrambi i casi di causa riferita al mandato del 15 gennaio 1999 (vedi sopra Par.2). Il 13 agosto 1999 il credito vantato da A. L. verso B. C. I. è stato ceduto alla società olandese C. & Partners Capital Investment NV con atto firmato per entrambe le parti da S. C..

7. Sulla scorta di tale ricostruzione dei fatti e dei patti, la Guardia di finanza, con verbale del 27 ottobre 2004, ha ritenuto che le operazioni sul patto di non concorrenza - poste in essere tra A. L., B. C. I., C. & Partners Capital Investment NV, C. S.p.A. e P. S.p.A. - sono state originate dal patto di non concorrenza ovverosia esclusivamente dal rapporto contrattuale tra C. S.p.A. e P. S.p.A. per la coeva cessione a questa del comparto lattiero-caseario del Gruppo C., atteso che le casse di C. S.p.A. hanno costituito il recapito finale del corrispettivo di 64 miliardi di lire rientrante nel campo di applicazione dell'IVA ai sensi dell'art. 3 DPR 633/1972, ancorché sia stato contabilizzato da C. S.p.A. per causali non soggette a imposizione sul valore aggiunto, quali la restituzione di finanziamento e la cessione di credito da parte della consociata estera B. C. I.. Ne è derivata la ripresa fiscale di € 3.305.324, oltre a interessi e sanzioni, su un maggior imponibile di € 16.526.620,77 (pari al 16 miliardi di vecchie lire) mediante avviso di accertamento di rettifica parziale notificato il 31 maggio 2005 a fronte della dichiarazione fiscale presentata nel 2000.

8. C. F. S.p.A., già C. S.p.A., ha impugnato l'atto impositivo eccependo preliminarmente la corretta instaurazione della procedura di condono fiscale, ingiustamente contestata dall'ufficio per la presenza di pendenze penali, attesa la diversità tra il soggetto attinto, la persona fisica del legale rappresentante C., e il soggetto contribuente, la persona giuridica da lui rappresentata; ha osservato inoltre che i fatti oggetto d'indagine a carico del C. riguardavano Compagnia Mobiliare Italiana S.p.A., compagine diversa dalla società contribuente. Ha aggiunto che l'amministrazione si è erroneamente arrogata il potere di riesaminare gli accordi contrattuali per riattribuire a C. S.p.A. il corrispettivo di una prestazione correlata ad un soggetto diverso e che ciò ha affatto ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di legge.

9. La C.t.p. di Roma, con sentenza del 19 settembre 2009, ha rigettato il ricorso della contribuente avendo ritenuto C. S.p.A. unico soggetto effettivo creditore della prestazione del patto di non concorrenza e inoperante il condono tombale per effetto dell'incriminazione del C. per reati fiscali. Tale decisione è stata riformata in appello dalla C.t.r. del Lazio che, con sentenza del 10 giugno 2009, ha annullato l'atto impositivo. Premessa la non operatività del condono stante la nota incriminazione del C., ha negato che la ricostruzione dei fatti operata dal fisco e condivisa dalla C.t.p. avesse i crismi delle prova indiziaria grave, precisa e concordante. Ha rilevato la mancanza d'indagini sui rapporti di finanziamento tra B. C. I. e C. S.p.A. e di riscontri circa la manipolazione elusiva e/o la alterazione di schemi contrattuali classici, la loro irragionevolezza rispetto alla normale logica di mercato e la loro finalizzazione a meri vantaggi fiscali. Di contro, "...C. F. ha dimostrato ampiamente che le presunzioni poste a fondamento delle pretesa avanzata nell'atto impositivo sono prive dei requisiti di gravità, pressione e concordanza".

10. Per la cassazione della decisione d'appello propone ricorso principale l'Agenzia delle entrate con tre motivi; C. F. S.p.A. resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidandosi a due motivi.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso principale l'Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 54 D.Iva, della sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, dell'art. 53 Cost. e dei principi in materia di abuso del diritto. Premesso che la C.t.r. ha correttamente inquadrato la contestazione fiscale nell'ambito dell'abuso del diritto, la difesa erariale osserva che il giudice di appello ha, però, focalizzato la sua attenzione sull'esistenza formale delle operazioni poste in essere e non sulla consistenza e ragione economica ad essi sottesa. Laddove, le norme di riferimento, se correttamente applicate avrebbero dovuto condurre ad evidenziare l'esclusivo scopo di risparmio fiscale.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale l'Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 54 D.Iva degli articoli 2697 e 2729 cod. civ. laddove la sentenza d'appello pare richiedere una "conoscenza necessaria, univoca e sicura", ovverosia la prova piena e diretta dell'addebito fiscale mentre il potere di accertamento è correlato a prove ancorate a indizi ancorché gravi, precisi e concordanti, da valutare globalmente.

3. Con il terzo motivo di ricorso principale l'Agenzia delle entrate denuncia vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria laddove la C.t.r. si limita ad affermare che "...C. F. ha dimostrato ampiamente che le presunzioni poste a fondamento delle pretesa avanzata nell'atto impositivo sono prive dei requisiti dei requisiti di gravità, pressione e concordanza" senza in alcun modo indicare gli elementi in base ai quali giunge a tale convincimento.

4. I tre motivi di ricorso principale, intimamente correlati tra loro sul piano logico e giuridico, vanno trattati congiuntamente e accolti nei sensi qui di seguito precisati. La sentenza d'appello si muove promiscuamente sui versanti dell'interposizione di persona giuridica e dell'abuso del diritto con sovrapposizione di argomenti fattuali e giuridici. Invece, spetta al giudice di merito il compito di selezionare il materiale probatorio e da esso ricavarne, con motivazione logicamente e giuridicamente corretta, l'esatta qualificazione della fattispecie fiscale.

5. Anche in tema d’IVA, l’accertamento dell'interposizione soggettiva comporta, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, il prevalere della situazione effettivamente perseguita su quella strumentalmente posta in essere, facendo ricadere sul reale titolare della situazione tributaria tutti gli effetti delle operazioni compiute dall'interposto (Cass. 27964/09). La disciplina antielusiva dell'interposizione, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l'applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d'imposta. Ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell'ambito della quale può ricomprendersi l'interposizione personale fittizia, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo mediante operazioni effettive e reali (Cass. 12788/11, 449/13, 25671/13, 21794/14).

6. L'Amministrazione F., qualora invochi, ai fini della regolare applicazione delle imposte, la simulazione relativa di un contratto stipulato dal contribuente, non è dispensata dall'onere della relativa prova, che, in quanto terzo, può fornire con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, fermo restando che la stessa deve riguardare non solo elementi di rilevanza oggettiva, ma anche dati idonei a rilevare in maniera convincente i profili negoziali di carattere soggettivo che si riflettono sugli scopi perseguiti in concreto dai contraenti (Cass. 1568/14).

7. Diversamente, integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che - tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico - ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d'imposta (Cass. 25972/14, p.9.1). La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato (Cass. 1465/09) e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull'Amministrazione F., mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l'esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate. Inoltre non è configurabile l'abuso del diritto se non sia stato provato dall’ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici (Cass. 20029/10). Dunque, il carattere abusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass., sez. un., 30055/08 e 30057/08; v. C. giust. UE nei casi 3M Italia, Halifax, Part Service), presuppone quanto meno l'esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell'obiettivo economico perseguito (Cass. 21390/12, p.3.2) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dai fisco (Cass. 4604/14).

8. Nell’intento di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, la Commissione Europea ha diramato la raccomandazione 2012/772/ UE agli Stati membri ad intervenire ogniqualvolta vi sia "una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sta stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale" (montages articiets, artificial arrengement, mecanismo artificial nelle varie versioni linguistiche). A tal fine precisa che "una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale" (p.4.4), o più esattamente di "sostanza economica" (p.4.2), e "consiste nell'eludere l'imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l'obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali", mentre "una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso" (cfr. Cass. 438/15; v. 439/15, p.8.3).

9. Nella stessa direzione (v. ult. cit. p.8.4) si è mosso anche il legislatore nazionale (L. 11 marzo 2014, n.23, art.5) che, nel delegare al Governo l’attuazione della disciplina dell'abuso del diritto e dell'elusione fiscale, coordinandola con la citata raccomandazione dell'UE, indica tra i principi e i criteri direttivi quelli di: "definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta" (v. Cass., sez. un., 30055/08 e 30057/08; v. C. giust. UE, 3M Italia)', "garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale" (v. CGUE Part Service); "considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell'operazione abusiva" (rectius "scopo essenziale", C. giust. UE, Halifax e Part Service)-, "escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali" (v. Cass. 8772/08 e 10257/08); "stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione (v. Cass. 21390/12), ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente" (v. Cass. 4604/14 e 1372/11) e, in tema di prova, richiama l’attenzione circa le "...modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato" (v. Cass. 1465/09 e 17955/13).

10. Di tali principi è attuazione il neo-introdotto art. 10-bis dello Statuto del contribuente, laddove stabilisce che "configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti" (comma 1) e che "si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali [...] b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario", precisando che "sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato" (comma 2). Indi chiarisce che, "ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale" (comma 4), "non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente" (comma 3). Le disposizioni dell'art. 10-bis cit., pur non applicandosi "ratione temporis" nella specie (art. 1, co.5, D.Lgs. 128/2015), rilevano in chiave interpretativa nel definire una linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell'ordinamento tributario dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie (per un recente disamina v, Cass. pen. 40272/15).

11. Nella specie, è evidente che P. S.p.A., nell'acquisire la divisione lattiero casearia di C. S.p.A,, si sia voluta assicurare che le società facenti capo al C., dominus del Gruppo, si astenessero dall'esercitare attività economiche interferenti con i propri piani aziendali. In tal senso si esprimono le difese di C. F. S.p.A. nel giudizio di merito richiamate nel controricorso (pag. 42, nota 8). Ciò spiegherebbe la ragione per la quale, già nel contratto preliminare del 2 febbraio 1999, si sia convenuto, a carico di C. S.p.A., un patto di non concorrenza a beneficio di P. S.p.A. e di società del Gruppo P. riguardo all'attività lattiero-casearia in generale e in particolare a quella della "divisione latte". Ciò che resta inspiegabile alla luce della sentenza d'appello, perché per nulla indagato, è la ragione per la quel tale patto non sia confluito nel contratto definitivo del 7 luglio 1999 col quale D. S.p.A., società designata dalla promissaria acquirente P. S.p.A., ha comprato le azioni di E. S.p.A., conferitaria dal primo maggio 1999 dell'intero settore settore caseario di C. S.p.A. costituto dalia storica divisione latte e dalle partecipazioni in Centrale del latte di Roma e Calabria Latte. C. F. S.p.A., sin dalle difese di merito sostiene che "l'esistenza di patti di non concorrenza [...] di multilivello [...] non deve affatto apparire singolare, poiché è il naturale risultato [...] di un mercato moderno ispirato alla globalizzazione" (controric. pag. 42, nota 8). Però la C.t.r. non ha esaminato nel dettaglio il rilievo e si è limitata ad affermare che "...C. F. ha dimostrato ampiamente che le presunzioni poste a fondamento della pretesa avanzata nell'atto impositivo sono prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza". Il che denota l'estrinsecarsi della motivazione della sentenza in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi. Peraltro, anche a voler ritenere recepito il contenuto dimostrativo delle difese della contribuente, il giudice d'appello non dà conto della ragione per la quale un accordo tra le società esponenziali dei due gruppi, la C. S.p.A. e la P. S.p.A., non fosse tale da garantire la parte acquirente da pratiche anti-concorrenziali.

12. In particolare non si comprende il ruolo reale rivestito dalla società lussemburghese B. C. I., indirettamente controllata dalla mandante estera A. L. e controllante indiretta di C. S.p.A., e il suo legame, tramite A. L., con la società olandese C. & Partners Capital Investment NV, destinataria finale del credito negoziato il 13 agosto 1999.

13. Resta, inoltre, inesplorato il dato obiettivo, la cui significatività non risulta adeguatamente considerata dal giudice di merito, del patto di non concorrenza che B. C. I., indiretta controllante C. S.p.A, e mandataria di A. L., ha stipulato con P. S.p.A., facendo espresso riferimento al preliminare stipulato lo stesso giorno tra C. S.p.A. e P. S.p.A., con la quale questa si é impegnata, dietro corrispettivo, a non svolgere per un quinquennio attività concorrenziale nello stesso settore.

14. Ciò si correla con altri dati storici: a) la circostanza che il 6 luglio 1999 P. S.p.A. ha bonificato a B. C. I. il pagamento della prima rata di corrispettivo del patto di non concorrenza per l'importo di 32 miliardi di lire; b) il fatto che tale importo è stato bonificato l'8 luglio 1999 a C. S.p.A. come "parziale rimborso finanziamento"; c) l'ulteriore circostanza che il 7 luglio 1999 B. C. I. ha ceduto a C. S.p.A. il credito della seconda rata di 32 miliardi di lire, poi contabilizzata da C. S.p.A. il 13 luglio 1999 appunto come "seconda rata patto di non concorrenza", ossia, più in dettaglio, annotata nei "mastrini a ripresa di saldo" per l'importo, comprensivo d'interessi, di dire 33.248.385.778 con la causale "bonifico fornitori rata patto non concorrenza".

15. In sostanza, C. S.p.A., cioè l'originario contraente del patto di non concorrenza con P. S.p.A., è stato anche il recapito finale dei relativi corrispettivi triangolati da B. C. I. mandataria di A. L., all'esito una serie di costruzioni negoziali di cui l'interposizione fittizia ovvero, sotto diversi profili giuridici (da correlare, se del caso, alla fattispecie concreta), l'artificiosità (montages artificiels) non sono state indagate affatto dal giudice di merito e anzi trascurate anche nei loro fondamenti normativi e probatori.

16. In effetti è C. S.p.A. ad essersi concretamente privata di un settore strategico, quello lattiero-caseario e, dunque, solo con riferimento a C. S.p.A. potrebbe ragionevolmente postularsi una condotta concorrenziale da prevenire con clausola che inibisca l'uso di know-how, esperienza, etc. in detto settore. Di contro, B. C. I. e A. L., quali meri soggetti esteri di una filiera di controllo indiretto rilevante solo in termini di corporate govemance, non palesano caratteristiche tali da renderle potenzialmente concorrenti di P. S.p.A. e del suo Gruppo. Il tema d'indagine risulta del tutto trascurato dal giudice di merito, così come risulta trascurato il rilievo che la sequenza di passaggi riduce l'esposizione di B. C. I. verso C. S.p.A. da 170 a 106 miliardi di lire e le garantisce un provvista di 64 miliardi di lire da far confluire al netto per 57,6 miliardi di lire a A. L., il tutto con atti che vedono sempre protagonista S. C..

17. Sul piano delle ricadute fiscali il patto di non concorrenza costituisce una tipica obbligazione di non fare, disciplinata dall'art. 2596 cod. civ., e il cui corrispettivo è soggetto a imposizione sul valore aggiunto quale prestazione di servizi imponibile ai sensi dell'art.3, comma 1, del decreto IVA. Un patto come quello in esame, cioè l’impegno di non fare concorrenza, risponde al principio dell'imposizione generale sul consumo, atteso che con l'impegno assunto si fornisce, dietro corrispettivo, un vantaggio sul mercato che può considerarsi come un elemento costitutivo del costo dell'attività del beneficiario nel circuito commerciale. Ciò rileva ai fini dell'art. 2 della prima direttiva e degli artt. 6, n. l, e 11, sub A), n.l, lett. a), della sesta direttiva (v. C. giust. UE nei casi Mohr e Landboden; cfr. più in generale Cass. 18764/14). Diversamente le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro non sono considerate cessioni di beni imponibili ai sensi dell'art. 2, comma 3 - lett. a), del decreto IVA. Ed è appena il caso di ricordare che i rapporti tra soggetto passivo italiano che ottiene una prestazione da un soggetto passivo comunitario sono regolati in regime di "reverse charge" con perfetta neutralità d'imposta. Dunque, è evidente il vantaggio fiscale derivante dal commutare un'obbligazione diretta di non fare dietro corrispettivo in una costruzione che comporta operazioni intracomunitarie di non fare fiscalmente neutrali, da un lato, e operazioni in denaro o crediti di denaro non imponibili, dall'altro.

18. Va, infine, ricordato che per la corretta applicazione dell'art. 2729 cod. civ., invocato dalla difesa erariale, occorre che il giudice di merito valuti nel dettaglio i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza degli elementi offerti in giudizio. La scorretta valutazione di essi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cass. 9760/15 e 19894/05; conf. Cass., sez. un., 8054/14). Infatti, compete alla Corte, nell'esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se lo schema normativo definito dall'art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicato a livello di proclamazione astratta, lo sia anche sotto il profilo dell'applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 17535/08). Se è sicuramente devoluta al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi neppure al controllo in sede di legittimità, ai sensi del pure invocato art. 360 n. 3 cod. proc. civ., se, violando i succitati criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice abbia negato valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso (Cass. 17183/15).

19. Il procedimento che, riguardo alla prova per presunzioni, si sarebbe dovuto seguire nella specie, si articola in due momenti (Cass., sez. un., 584/08). Prima il giudice d'appello avrebbe dovuto valutare analitica- mente ognuno degli elementi indiziari (sopra indicati) per scartare quelli eventualmente privi d'intrinseca rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, hanno i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentano una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria. Poi, il giudice d'appello avrebbe dovuto procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire quella valida prova presuntiva, che, considerando atomistica- mente uno o alcuni indizi, forse non potrebbe dirsi raggiunta con certezza. È, pertanto, viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità la decisione in esame nella quale il giudice d'appello si è limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non siano in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento (ult. cit.).

20. Con II ricorso incidentale condizionato C. F. S.p.A. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.8, comma 10, lett. b), della legge 289/2002 dovendosi tale disposizione, contrariamente all'assunto del giudice d'appello, interpretare nel senso che la clausola ivi contemplata - di esclusione dell'applicabilità del condono - può operare soltanto qualora sia la società contribuente ad avere avuto formale conoscenza, entro la data di presentazione delle dichiarazione integrativa, dell'azione penale promossa contro il legale rappresentante per reati tributari (motivo 1), per di più specificamente connessi all'esercizio di tale carica sociale (motivo 2).

21. Il ricorso incidentale condizionato va respinto. L’art. 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui consente la definizione in via agevolata delle violazioni in materia di IVA, va disapplicato perché in contrasto con gli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della sesta direttiva, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio 2008, in causa C-132/06 (Cass. 13505/12; conf. Cass, sez. un., 3674/10; v. Cass. 2915/13 e 22250/11). La disposizione deve essere disapplicata a prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, quale, nella specie, il carattere "chiuso" del giudizio di cassazione (Cass. 20435/14), il che assorbe i motivi di ricorso avanzati dalla contribuente.

22. Tirando le fila sparse del discorso sin qui condotto, una volta accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale, la sentenza d'appello deve essere cassata con rinvio, anche per le spese, al giudice competente che, in diversa composizione, dovrà procedere a nuovo esame con preciso e motivato inquadramento legale della pretesa impositiva - quale interposizione soggettiva (Par. 5,6) ovvero come abuso del diritto (Par. 7) - e con dettagliata ricostruzione della vicenda tenuto conto sia degli elementi di fatto sopra indicati (Par. 11 e seg.), sia dei principi di diritto in tema di prova per presunzioni sopra enunciati (Par. 18, 19).

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza d'appello e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.