Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 aprile 2016, n. 6516

Ricalcolo dell’indennità di anzianità - Base di calcolo del trattamento di fine rapporto - Fondi di previdenza complementare - Presupposti

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.

2. D.V.R. ed altri, con ricorso per cassazione, chiedono l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Roma che ha rigettato il gravame avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere il ricalcolo dell’indennità di anzianità dovuta al 31/5/1982 e del TFR dovuto successivamente a tale data, mediante inclusione degli accantonamenti accreditati sul conto di previdenza dei lavoratori.

3. La B.N.L. s.p.a. ha resistito con controricorso.

4. La questione proposta è stata decisa dalla Sezione lavoro ed, in seguito, dalla sesta sezione civile-lavoro, con sentenze e ordinanze con le quali si è affermato il seguente principio di diritto: «I versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare non hanno natura retribuiva, né hanno avuta in passato, trattandosi di esborsi non legati da nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa ed esonerati dalla contribuzione AGO, con assoggettamento a contributo di solidarietà, ai sensi della disposizione retroattiva del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, convertito nella L. n. 166 del 1991. Ne consegue che gli accreditamenti per la previdenza integrativa non concorrono a determinare la base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell'indennità di anzianità».

5. Tale principio di diritto è stato affermato, con un mutamento dell’originario orientamento giurisprudenziale, dalla sentenza 5 giugno 2012, n. 9016, e ribadito, in seguito, sebbene non senza contrasti, determinatisi specificamente con riferimento ai versamenti effettuati nel periodo precedente la riforma della previdenza integrativa, operata con il d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

6. Per eliminare possibili dubbi interpretativi, e considerata la massima importanza della questione, sono state investite le Sezioni unite della Corte.

7. Con una pluralità di sentenze (cfr., per tutte: Cass., sez. un., n. 5159 del 2015), le Sezioni unite hanno fissato il seguente principio di diritto: «Con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare, hanno, a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell'ambito dello stesso soggetto datore di lavoro, natura previdenziale e non retribuiva. Non sussistono pertanto i presupposti per l'inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro» (così Cass., SU, 5159/2015 cit.).

8. In applicazione di questo principio (ribadito in numerose successive decisioni e, da ultimo, da Cass., sezione sesta-L, n. 9810/2015 ed altre coeve), il ricorso deve essere rigettato.

9. I dubbi giurisprudenziali che hanno portato, prima ad una modifica dell’orientamento originario della giurisprudenza della Sezione semplice, poi alla rimessione alle Sezioni unite, consigliano la compensazione delle spese del giudizio.

10. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

11. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

12. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; spese compensate. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.