Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 aprile 2016, n. 6451

Tributi - IVA - Rivalsa su corrispettivi di appalto - Giurisdizione - Competenza del giudice ordinario

 

Considerato in fatto

 

R.R., titolare di una ditta di costruzioni, ha convenuto dinanzi al Tribunale di Asti N.B. per sentirlo condannare al pagamento di differenze di corrispettivo (opere extracapitolato e residuo prezzo) "oltre IVA" in relazione ad un contratto di appalto tra gli stessi intercorso per la realizzazione di una casa di abitazione unifamiliare. Per quanto in questa sede ancora di rilievo, il Tribunale adito ha nella specie ritenuto che l’IVA andasse calcolata considerando un’aliquota del 20% ed in proposito la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado evidenziando che l’appellante non aveva in alcun modo comprovato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota agevolata al 4%, essendosi limitato a produrre alcune fatture emesse dal R. ed una propria autocertificazione, ed inoltre che era intervenuta sentenza penale di condanna per la realizzazione dell'immobile in totale difformità dalla concessione edilizia. Per la cassazione di questa sentenza ricorre il B. con due motivi successivamente illustrati da memoria.

Il R. non ha resistito.

 

Ritenuto in diritto

 

Col primo motivo, deducendo "violazione e falsa applicazione dell’art. 16 d.p.r. n. 633 del 1972 e della tabella A, II parte, punto 39) allegata al d.p.r. n. 633 del 1972", il ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano negato che sussistessero i presupposti per applicare l’aliquota al 4% nonostante non fosse contestata la destinazione dell’immobile a prima casa ed in precedente fattura fosse stata applicata la suddetta aliquota, e si duole altresì del fatto che, anche escludendo l’applicabilità dell’aliquota agevolata, i suddetti giudici abbiano erroneamente ritenuto nella specie applicabile l’aliquota ordinaria nella misura del 20% in luogo di quella del 10%.

Col secondo motivo, deducendo difetto di giurisdizione, ultrapetizione e violazione di legge, il ricorrente si duole perché i giudici d’appello: avrebbero deciso sulla domanda di decadenza dalla fruizione dell’aliquota agevolata benché tale domanda fosse nuova in quanto formulata per la prima volta in appello e, anche non ritenendo nella specie configurabile domanda nuova, sarebbero incorsi in ultrapetizione, posto che il thema decidendum in primo grado riguardava l’individuazione dell'aliquota applicabile sulla base dei costituti processuali esistenti mentre i giudici d’appello avrebbero statuito oltre tali limiti, stabilendo la revoca e/o la decadenza dal beneficio dell’IVA agevolata a seguito di sentenza penale di condanna del B. e del direttore dei lavori per realizzazione del fabbricato in totale difformità dalla concessione edilizia; sarebbero incorsi inoltre in difetto di giurisdizione, perché il sistema vigente riserva al l’Amministrazione la revoca di un beneficio di natura fiscale e, in ipotesi di contenzioso, prevede la giurisdizione delle Commissioni Tributarie; avrebbero tratto conseguenze dalla produzione di una sentenza penale di condanna priva dell’attestazione della irrevocabilità; sarebbero incorsi in violazione dell’art 16 d.p.r. n. 633 del 1972 che disciplina al 10% e non al 20% l’aliquota ordinaria per le ipotesi contenute nella tabella A, tra le quali quelle di cui al punto 39. Il ricorrente deduce infine la carenza di interesse dell’appaltatore perché il comma 4 della nota II bis prima parte della tariffa allegata al d.p.r. n. 131 del 1986 con riguardo al versamento dell’Iva sancisce la diretta responsabilità dell’acquirente (committente), il quale sarà tenuto eventualmente a versare un importo pari alla differenza tra l’imposta calcolata con le aliquote ordinarie e quella agevolata unitamente al 30% di tale importo a titolo si sanzione.

Le censure, da esaminare congiuntamente perché connesse, sono in parte infondate e in parte inammissibili.

La domanda di accertamento dell’IVA non è nuova né in proposito il giudice ha pronunciato extrapetita, posto che nell’atto introduttivo si chiedeva il pagamento di somme dovute in forza del contratto d’appalto intercorso tra le parti "oltre Iva" e si chiedeva pertanto al giudice di porre a carico della parte anche l’IVA, la quale, per poter essere posta a carico della parte, andava dunque accertata dal medesimo giudice nel suo ammontare alla stregua della normativa vigente e degli elementi acquisiti agli atti. Né può ritenersi, come pretenderebbe il ricorrente, che il giudice, andando oltre la richiesta della parte ed oltre i limiti della propria giurisdizione, abbia proceduto ad una sorta di "revoca" del beneficio dell’aliquota agevolata al 4%, posto che la revoca -presuppone l’avvenuto riconoscimento di un diritto: nella specie vi è stato semplicemente l’accertamento dell’Iva dovuta, così come richiesto dalla parte, effettuato in via incidentale dal giudice che, sulla base degli elementi acquisiti agli atti, ha ritenuto applicabile l’aliquota ordinaria non ravvisando la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota agevolata. In tali termini deve pertanto escludersi anche il denunciato difetto di giurisdizione, posto che, secondo la giurisprudenza di queste sezioni unite, la controversia promossa dall'appaltatore della costruzione di un immobile nei confronti del committente per rivalsa dell'I.V.A. sui corrispettivi di appalto ha natura esclusivamente privatistica, senza alcun profilo o riflesso tributario, ancorché sorga questione circa la corrispondenza tra le somme concretamente versate a titolo di imposta e quelle effettivamente dovute in relazione alle aliquote in concreto applicabili, atteso che la statuizione al riguardo non investe il rapporto tra contribuente ed amministrazione finanziaria, ma si risolve in un accertamento incidentale nell'ambito del rapporto privatistico fra soggetto attivo e soggetto passivo della rivalsa, nel quale l'obbligazione "ex lege" del committente si aggiunge all’ammontare del corrispettivo e rimane soggetta al relativo regime civilistico (v. tra le altre su n. 18577 del 2004).

Deve altresì escludersi il denunciato difetto di interesse ad agire dell’appaltatore alla luce di quanto sopra esposto nonché della univoca giurisprudenza di queste sezioni unite, secondo la quale l’appaltatore è l'unico soggetto obbligato al versamento dell'imposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria e può pertanto esigerla dal committente nella misura effettivamente dovuta (v. su n. 8032 del 2013, nonché su n. 4871 del 2010, secondo la quale, con riguardo ad appalto avente ad oggetto la costruzione di un edificio, ove insorga controversia tra l'appaltatore e il committente in ordine all'aliquota IVA -agevolata o meno- da applicare, l'appaltatore, che è l'unico soggetto obbligato al versamento dell'imposta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, non deve avere riguardo solo all'iniziale provvedimento di concessione edificatoria, ma anche alle successive vicende, sicché, ove il committente gli abbia in concreto richiesto di realizzare un fabbricato in totale difformità rispetto alla concessione - che, come tale, non può più beneficiare dell'aliquota IVA agevolata al 4%, ai sensi dell'art. 16 del d.P.R. n. 633 del 1972- l'appaltatore può esigere dal committente il versamento dell'imposta nella misura effettivamente dovuta).

Per quanto concerne la ritenuta inapplicabilità nella specie dell'aliquota agevolata al 4%, i giudici d’appello hanno fondato la relativa decisione su due rationes decidendi concorrenti: non aver l’appellante in alcun modo provato la sussistenza dei presupposti del beneficio in questione per essersi limitato a produrre alcune fatture emesse dal R. ed una propria autocertificazione; essere intervenuta sentenza penale di condanna a carico del committente e del direttore dei lavori per la realizzazione dell’immobile in totale difformità dalla concessione edilizia.

Il ricorrente ha censurato la prima delle suddette rationes decidendi per aver i giudici d’appello espresso un giudizio di irrilevanza del materiale probatorio fornito (fatture e autocertificazione) omettendo di evidenziare quali presupposti avrebbero potuto essere ritenuti rilevanti e lasciando presumere di ritenere necessario un provvedimento autorizzativo non previsto dalla legge.

In tali termini la censura è in parte infondata e in parte inammissibile, posto che, a differenza di quanto sembrerebbe suggerire parte ricorrente, i giudici d’appello non hanno in alcun modo affermato che per ritenere l’applicabilità dell'aliquota al 4% fosse necessaria la produzione di un provvedimento autorizzatorio -non previsto dalla legge- ma si sono limitati ad esprimere un giudizio di merito circa l’insufficienza del materiale probatorio esaminato, onde il convincimento espresso in proposito dal giudice avrebbe dovuto eventualmente essere censurato per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis) e non per violazione di legge.

La censura relativa alla seconda ratio decidendi (concernente la mancanza di attestazione di irrevocabilità della sentenza penale di cui sopra) deve ritenersi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, posto che, anche se tale censura fosse fondata, la decisione impugnata resterebbe pur sempre sorretta dall’altra ratio decidendi che, giusta quanto sopra esposto, non è stata ammissibilmente censurata in questa sede.

Quanto infine alla dedotta violazione di legge per avere i giudici d’appello ritenuto applicabile l’aliquota ordinaria nella misura del 20% e non in quella del 10% prevista dalla tabella A punto 39 richiamata dall’art. 16 d.p.r. n. 633 del 1972, la censura è inammissibile per non avere il ricorrente neppure allegato (tanto meno in maniera autosufficiente) la sussistenza in atti della prova di tutti i presupposti previsti dalle disposizioni invocate ai fini dell’applicabilità dell’aliquota nella misura del 10%.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.