Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6355

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Avviso di liquidazione - Notifica diretta al contribuente già deceduto e non agli eredi impersonalmente e collettivamente - Notifica nulla

 

Svolgimento del processo

 

La sig.ra L. R., quale coerede del sig. V. R., impugnò dinanzi alla CTP di Milano cartella di pagamento notificatale da E. S.p.A. il 24 marzo 2007, relativa ad INVIM.

L’iscrizione a ruolo del complessivo importo di € 4.373,51 traeva origine da accertamento in rettifica del valore finale di porzione immobiliare venduta nel 1989 dai coniugi signori V. R. e C. B..

Entrambi avevano impugnato l’atto impositivo con separati ricorsi, con esito favorevole, in secondo grado, dinanzi alla CTR della Lombardia per la sig.ra B., mentre il ricorso proposto dal sig. V. R. fu respinto in primo grado, con sentenza passata in giudicato per omessa impugnazione.

Di conseguenza fu emesso dall'Ufficio avviso di liquidazione nei confronti del sig. V. R. delle maggiori somme dovute e, essendone stato omesso il pagamento, seguiva l’iscrizione a ruolo dell’imposta dovuta, maggiorata da interessi e sanzioni, di cui alla succitata cartella di pagamento impugnata dalla contribuente quale coerede del sig. V. R., deceduto. La contribuente, a sostegno del ricorso, contestò in primo luogo la sussistenza di notifica dell’avviso di liquidazione, di cui l’Ufficio non aveva fornito prova, notifica da ritenersi in ogni caso nulla, perché diretta alla parte già deceduta e non agli eredi impersonalmente e collettivamente, in violazione dell’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973.

La CTP di Milano accolse il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite. La sentenza di primo grado fu oggetto di appello principale da parte dell’Ufficio e di appello incidentale da parte della contribuente, che si doleva dell’ingiustificata compensazione delle spese del giudizio.

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 51/15/09, depositata il 21 aprile 2009, rigettò entrambi gli appelli.

Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione in via principale l’Agenzia delle Entrate, affidando il ricorso a sei motivi.

La contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, cui a sua volta l’Amministrazione resiste con controricorso.

La contribuente formula anche domanda di condanna dell’Agenzia delle Entrate al risarcimento dei danni in proprio favore da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., lamentando un comportamento persecutorio dell’Amministrazione nei propri confronti.

L’intimata E. S.p.A. (ora Equitalia Polis S.p.A.) non ha svolto difese.

La ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c., allegandovi copia della sentenza di questa Corte - V sezione tributaria - 29 ottobre 2014, n. 22913, con la quale è stato rigettato analogo ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del coerede M. R..

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione denuncia "nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4" c.p.c., lamentando che la decisione impugnata avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione con la quale l’Ufficio aveva dedotto che nella fattispecie non poteva trovare applicazione il giudicato favorevole formatosi nei confronti del condebitore solidale (la sig.ra C. B.), essendo la pretesa impositiva indirizzata nei confronti dell’odierna controricorrente quale coerede dell’altro venditore V. R. formata a sua volta su giudicato nei confronti di quest’ultimo, facente stato, ex art. 2909 c.c., anche nei confronti dei suoi eredi o aventi causa.

2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate deduce "nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Costituzione, comma secondo, 101 c.p.c., 102 c.p.c., nonché 10 e 14, commi primo, secondo e terzo, D. Lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c", nella parte in cui non ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione finanziaria, in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione per vizio di notifica di cartella di pagamento, come tale atto proprio del concessionario per la riscossione.

3. Con il terzo motivo la ricorrente Amministrazione deduce ancora "nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4", lamentando il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa l’impugnata sentenza, che ha rigettato l’appello proposto dall'Ufficio sul presupposto della mancata prova della notifica dell’avviso di liquidazione, laddove le allegazioni delle parti concernevano, essenzialmente, la problematica in punto di correttezza formale (in punto d’intestazione) della cartella di pagamento.

4. Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia "insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5", non avendo chiarito la decisione impugnata perché abbia ritenuto non soddisfatta la prova in punto di avvenuta notifica dell’avviso di liquidazione, ciò anche considerando che una prova positiva riguardo a detta circostanza è desumibile "dalla documentazione acquisita al giudizio (cfr. allegati all’atto di appello dell’Ufficio)".

5. Con il quinto motivo l’Agenzia delle Entrate deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 7, D. Lgs. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5", rilevando che, qualora non vi fosse stata prova dell’avvenuta notifica dell’avviso di liquidazione prodromico alla cartella di pagamento oggetto d’impugnazione nel presente giudizio, la CTR avrebbe dovuto comunque, nell’esercizio dei propri poteri istruttori di cui all’art. 7 del D. Lgs, n. 546/1992, ordinarne l’acquisizione d’ufficio.

6. Con analoga epigrafe l’Amministrazione ricorrente introduce l’illustrazione del sesto ed ultimo motivo, rilevando, sotto altro profilo, che l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio da parte del giudice tributario di secondo grado non avrebbe supplito ad un’inerzia probatoria dell’Amministrazione, atteso che la cartella in oggetto derivava comunque da giudicato nei confronti del dante causa della ricorrente, ciò che precludeva per quest’ultima la possibilità d’invocare il giudicato favorevole formatosi sull’impugnazione dell’originario avviso di rettifica di valore proposta dalla condebitrice solidale del sig. V. R..

7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la contribuente deduce "violazione dell’art. 91 c.p.c. falsa applicazione della medesima disposizione, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c." chiedendo, a sua volta, la riforma dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha rigettato l’appello incidentale proposto dalla contribuente al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione anche alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio, ingiustificatamente compensate tra le parti.

8. Va esaminato prioritariamente il quarto motivo, che è l’unico che censura direttamente la ratio decidendi esplicitata nella decisione impugnata.

La sentenza oggetto di ricorso per cassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, infatti - premesso che la decisione di primo grado, favorevole alla contribuente, aveva rilevato che l’Ufficio non aveva fornito prova dell’avvenuta notifica dell’avviso di liquidazione - ha a sua volta affermato che "l’Amministrazione, a sostegno delle sue affermazioni, non ha allegato né in sede di ricorso prodotto dinanzi al giudice di primo grado né successivamente la relata di notifica dell’avviso di liquidazione su cui si forma la sentenza impugnata".

8.1. Orbene, a fronte, tra l’altro, dell’esplicita contestazione di controparte che siffatta relata sia mai stata prodotta dall’Amministrazione anche nel giudizio di appello, quantunque essa fosse elencata tra i documenti allegati in appello, la ricorrente Agenzia delle Entrate, con il motivo in esame, si è limitata in maniera del tutto generica a dedurre che "una prova positiva in parte qua deriva dalla documentazione acquisita al giudizio (cfr. allegati all’atto di appello dell’Ufficio)".

È palese, quindi, la carenza di autosufficienza del motivo di ricorso sul punto che, senza riportare la trascrizione del contenuto della relativa relata, non indica neppure precisamente la sede propria del deposito del documento, che si assume avvenuto in allegato al ricorso in appello (cfr. Cass. civ. sez. VI - III ord. 24 ottobre 2014, n. 22607).

Ne consegue che l’accertamento di fatto compiuto dal giudice tributario di secondo grado, non adeguatamente censurato dall’Amministrazione nell’ambito del vizio di motivazione ex art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c., nel testo applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, ha assunto carattere definitivo.

9. Né è consentito alla Corte verificare la sussistenza del denunciato vizio di ultrapetizione di cui al terzo motivo di ricorso principale, in relazione al fatto che l’impugnazione della contribuente avverso la cartella d’impugnazione non avrebbe indicato siffatto motivo a sostegno del ricorso e che neppure le allegazioni delle parti in sede di appello avrebbero riguardato detta questione, non essendone specificato, sempre in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il relativo contenuto in ricorso.

10. Quanto sopra induce a ritenere corretta altresì la statuizione del giudice di secondo grado che, confermata la decisione di primo grado di annullamento della cartella di pagamento per difetto di notifica del prodromico avviso di liquidazione, ha ritenuto assorbita ogni ulteriore questione, ciò impedendo che possano essere ravvisati gli ulteriori vizi quali prospettati dall’Amministrazione nei restanti motivi di ricorso.

11. Quanto al motivo di ricorso incidentale, deve in primo luogo osservarsi che il presente giudizio tra le parti è pendente dal 2007 e quindi, ai fini della disciplina delle spese, è soggetto alla previsione, per quanto attiene alla compensazione delle spese di lite, dell’art. 92 2° comma c.p.c. laddove, oltre che nel caso di soccombenza reciproca, riserva al giudice la facoltà discrezionale di compensazione delle spese di lite in caso di concorrenza di "altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione", ciò nel testo quale sostituito dall’art. 2 della L. n. 263/2005 ed applicabile ratione temporis, alla presente controversia.

Essendo, peraltro, la presente controversia soggetta ancora, ratione temporis, all’applicazione dell’art. 366 bis c.p.c., si deve rilevare l’inconferenza (cfr. Cass. civ. sez. unite 21 giugno 2007, n. 14385; Cass. civ. sez. IlI 25 luglio 2008, n. 20454) del conclusivo quesito di diritto ("Dica la Corte se le spese di lite sostenute dalla sig.ra L. R. nel procedimento di Primo Grado, debbano essere poste a carico dell’Agenzia delle Entrate, quale parte soccombente in tale procedimento, in conformità con quanto l’art. 91, 1° comma, c.p.c."), laddove, sotto la specie della violazione di norma di diritto, si assume la violazione dell’art. 91 c.p.c., la qualcosa varrebbe ad escludere di per sé, in ipotesi di soccombenza, la possibilità per il giudice di disporre la compensazione che trova la sua fonte normativa nel secondo comma dell’art. 92 c.p.c., nel testo quale applicabile alla presente controversia; mentre, con riferimento al vizio di motivazione, evocato nel riferimento, cumulativo, al parametro di cui all’art. 360, 1° comma n. 5 c.p.c., manca il c.d. momento funzionale di sintesi (cfr., tra le molte, Cass. civ. sez. unite 1° ottobre 2007, n.20603).

Il motivo deve quindi ritenersi inammissibile, così come il ricorso incidentale unicamente su di esso basato.

12. Del pari va dichiarata inammissibile la domanda della contribuente di risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., da intendersi come proposta in relazione al primo comma del citato articolo, non trovando applicazione, ratione temporis, al presente giudizio il 3° comma dell’art. 96 c.p.c. al quale, peraltro, solo con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c. la controricorrente ha fatto riferimento, né potendo qualificarsi la domanda nel senso che la contribuente abbia inteso sollecitare l’esercizio del potere, anche officioso, della Corte a provvedere ai sensi dell’art. 385, 4° comma c.p.c., norma viceversa., in astratto, applicabile, ratione temporis, al presente giudizio.

Esso, infatti, è iniziato in primo grado nel 2007 ed il ricorso principale per cassazione, avverso la sentenza della CTR depositata il 21 aprile 2009 , è stato proposto nel 2010.

12.1. Ciò premesso - ed osservato che, secondo la migliore esegesi, l’art. 385 4° comma c.p.c., richiede, al pari di quanto sancito dall’art. 96 1° comma c.p.c. la sussistenza dell’elemento soggettivo di avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave e che quest’ultima non è ravvisabile, come ricordato anche dalla recentissima Cass. civ. sez. VI - III ord. 10 febbraio 2016, n. 2684, in relazione alla mera infondatezza in iure delle tesi prospettate in sede di legittimità - nel caso di specie deve escludersi, in relazione alla stessa prospettazione della domanda, che la ricorrente incidentale si sia doluta della manifesta infondatezza del ricorso per cassazione di cui l’Amministrazione finanziaria doveva essere consapevole, sì da poter essere sussunta nel succitato art. 385, 4° comma c.p.c.

La domanda è stata, infatti, collegata dalla stessa contribuente al comportamento "persecutorio" che avrebbe assunto l’Ufficio nei suoi confronti con la vicenda processuale in questione, sin dal momento, quindi, in cui essa ha avuto origine.

Questa Corte (cfr. Cass. civ. sez. lav. 2 aprile 2003, n. 5087; Cass. civ sez. II 17 marzo 1999, 2389) ha già affermato il principio, cui va assicurata in questa sede ulteriore continuità, secondo cui la domanda di risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata ex art. 96 (1° comma) c.p.c. è proponibile per la prima volta in sede di legittimità solo ove si tratti di danni che si riconnettono esclusivamente al giudizio di cassazione, caso che non ricorre pertanto, alla stregua di quanto sopra osservato, nella fattispecie in esame.

La disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza in punto di rigetto del ricorso principale dell’Amministrazione, che ha causato l’ulteriore protrarsi di un giudizio altrimenti già da tempo esaurito.

Nulla va statuito quanto alle spese nei confronti del concessionario della riscossione, non costituitosi.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale e la domanda della controricorrente di condanna dell’Amministrazione finanziaria al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione in favore della contribuente R. L. delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1.400,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.