Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6365

Società - Scioglimento del rapporto relativo al socio - Liquidazione della quota societaria - Situazione patrimoniale della società nel giorno dello scioglimento del rapporto - Incidenza degli utili o delle perdite derivanti dalle singole operazioni in corso

 

Svolgimento del processo

 

G.& G. di P.M.L. sas ha convenuto in giudizio T.P., C.A. e C.C., eredi del socio accomandatario C.R., titolare di una quota del 70% del capitale sociale, chiedendo di accertare l'ammontare della quota di liquidazione loro spettante, sulla base della situazione patrimoniale della società al momento del decesso del socio, tenuto conto che questi aveva effettuato prelevamenti di denaro per importi che dovevano essere detratti dalla quota di liquidazione, con condanna alla restituzione della differenza dovuta alla società.

Nel contraddittorio con i convenuti, i quali hanno aderito alla domanda di liquidazione della quota, il Tribunale di Rimini, istruita la causa con l'espletamento di due consulenze tecniche d'ufficio, ha determinato in € 45.304,73 il valore della quota del socio defunto spettante agli eredi, alla data di scioglimento del rapporto relativo al socio. Il percorso argomentativo del Tribunale è stato il seguente: il credito degli eredi sulla quota, il cui valore era di € 169.914,13 (pari al 70% del totale), era parzialmente compensato con il debito restitutorio del socio per i prelevamenti effettuati, il cui ammontare (di € 269.626,75) si era ridotto per l'incidenza del credito del medesimo socio per gli utili a lui spettanti (pari a € 145.017,17, corrispondenti al 70% del totale), sicché residuava un credito degli eredi nei confronti della società pari a € 45.304,73.

La Corte d'appello di Bologna, con sentenza 5 novembre 2012, per quanto ancora interessa, ha rigettato il gravame della società, condividendo integralmente il ragionamento del primo giudice.

Avverso questa sentenza G.& G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui si sono opposti T.P., C.A. e C.C..

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2289 c.c., per avere i giudici di merito valutato la situazione patrimoniale della società, ai fini della determinazione del valore della quota, inglobando correttamente il credito della società in relazione ai prelevamenti effettuati dal socio e, contraddittoriamente, ritenendo che tali prelevamenti non fossero suscettibili di integrale restituzione, ma solo per la parte eccedente il valore degli utili spettanti al socio. In altri termini, secondo la ricorrente, la Corte avrebbe dovuto determinare il valore della quota del socio in base alla situazione patrimoniale della società al momento del decesso e liquidarla in favore degli eredi soltanto dopo avere compensato il relativo debito restitutorio del socio per i prelevamenti, considerato però nella sua interezza e non limitatamente alla parte eccedente alla quota degli utili spettanti allo stesso socio.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha determinato il valore della quota del socio, spettante (astrattamente) agli eredi, in un certo importo (€ 169.914,13), non contestato, e ha valutato, come invocato dalla ricorrente, l'esistenza di un debito restitutorio dello stesso socio verso la società per i prelevamenti effettuati (€ 269.626,75). L'errore imputato alla Corte d'appello è di avere considerato il suddetto debito non per l'intero - nel qual caso, secondo la prospettazione della ricorrente, sarebbe residuato un credito (e non un debito) della società verso gli eredi {stante il maggiore importo del debito restitutorio rispetto al valore della quota da liquidare) - ma solo per la parte eccedente la quota degli utili maturati dal socio. Questa doglianza, cripticamente formulata, non evidenzia alcuna violazione del parametro normativo indicato nella rubrica del motivo. Infatti, la società ricorrente non ha contestato il diritto del socio agli utili (che nelle società di persone sorge con la sola approvazione del rendiconto, v. Cass. n. 28806/2013, senza necessità di un atto formale che ne deliberi la distribuzione), nemmeno sotto il profilo della loro inerenza ad operazioni in corso (art. 2289, terzo comma, c.c.), né ha contestato la determinazione percentuale degli stessi (è significativa la puntualizzazione contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c. secondo cui "la quaestio juris non ineriva la determinazione percentuale degli utili spettanti ai soci"). Pertanto, nell'operazione eseguita dai giudici di merito non è ravvisabile alcuna violazione del parametro normativo indicato, ma attuazione del principio secondo cui il diritto agli utili del socio recedente o deceduto (ex art. 2284 c.c.), pur essendo autonomo, è collegato al diritto alla liquidazione della quota, nel senso che questa, liquidata in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno dello scioglimento del rapporto, può essere accresciuta o diminuita in conseguenza degli utili o delle perdite derivanti dalle singole operazioni in corso (v. Cass. n. 6709/1982).

Il secondo motivo, che denuncia vizio di motivazione per avere utilizzato il credito verso il socio come cespite patrimoniale a compensazione del valore della quota del socio defunto, è inammissibile, alla luce del nuovo testo dell'art. 360 n. 5 c.p.c., applicabile alla fattispecie, trattandosi di ricorso contro sentenza depositata successivamente al giorno 11 settembre 2012 (cfr. D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, terzo comma, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134). Il vizio di motivazione è ormai denunciabile nelle sole ipotesi - che qui non ricorrono - della totale pretermissione di uno specifico fatto storico o "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", "motivazione apparente", "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" o "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa, invece, qualunque rilevanza della semplice "insufficienza" o "contraddittorietà" della motivazione (Cass. n. 13928/2015, n. 21257/2014, sez. un., n. 8053/2014).

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in € 4200,00, di cui € 4000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato, a norma dell'art. 13, comma 1 quater, dPR n. 115/2002.