Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6354

Tributi - Imposta di successione ed Invim - Cartella di pagamento conseguente a sentenza passata in giudicato - Decadenza del credito tributario - Termine decennale

 

Svolgimento del giudizio

 

L'AgenzIa delle Entrate propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 48/19 del 6 maggio 2009 con la quale la commissione tributaria regionale di Milano, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittima - in quanto non preceduta da apposito avviso di liquidazione e carente di intellegibili criteri di rideterminazione di imposte e sanzioni - la cartella esattoriale di pagamento n. 22161291 notificata a M.B. per imposta di successione ed Invim; cartella di pagamento conseguente a sentenza n. 148/20/02, passata in giudicato, con la quale la commissione tributaria provinciale di Milano aveva annullato l'originario avviso di rettifica per imposta complementare, ed ordinato all'ufficio di riliquidare il dovuto sulla base dei diversi valori immobiliari indicati.

La B., che resiste con controricorso e memoria ex art. 378 cod. proc. civ., ha formulato un motivo di ricorso incidentale in punto decadenza dell'amministrazione dall'iscrizione a ruolo dell'importo riliquidato.

 

Motivi della decisione.

 

1. Con l'unico motivo di ricorso incidentale, avente natura preliminare, la B. lamenta - ex art. 360, 1° co. n. 3 cod. proc. civ. - violazione o falsa applicazione dell'articolo 1, co.5 ter d.l. 106/05, conv. in I. 156/05; norma che, diversamente da quanto ritenuto dalla commissione tributaria regionale, non renderebbe inapplicabile all'imposta di successione ed all'Invim la decadenza dalla iscrizione a ruolo per mancato rispetto del termine di legge dalla definitività dell'accertamento o dal giudicato, così come già previsto in via generale dagli artt.17 e 25 d.P.R. 602/73. Di tal chè, nella corretta applicazione della norma di riferimento, doveva la commissione tributaria regionale rilevare l'inutile decorso, nella specie, del termine di perenzione.

La doglianza è infondata.

Come esattamente rilevato dalla commissione tributaria regionale, non è nella specie invocabile il disposto decadenziale di cui agli articoli 17 e 25 d.P.R. 602/73; sia perché limitato, successivamente all'emanazione dell'art. 23 d.lgs. 46/99, alle imposte sui redditi ed all'Iva (Cass. 12748/14), sia perché - in ogni caso - non riferibile ai casi in cui, come nella specie, la pretesa si fondi su sentenza passata in giudicato (Cass. 20153/14). Si è anche recentemente affermato, a quest'ultimo proposito, che la riscossione di un credito tributario fondato su una sentenza passata in giudicato non soggiace più ai termini di decadenza previsti per l'esecuzione degli atti amministrativi, ma al termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2953 c.c. (richiamato anche, per l'imposta di registro, dall'art. 78 d.P.R. 131/86); in quanto il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l'atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha valutato la legittimità (Cass. 21623/15).

Il termine decennale così individuato non è, nella specie, decorso.

2.1 Con il primo motivo di ricorso principale l'agenzia delle entrate lamenta falsa applicazione dell’articolo 40, terzo comma, d.lgs. 346/1990; per avere la sentenza qui impugnata ritenuto necessario un nuovo avviso di liquidazione dell'imposta nonostante che, nella specie, la cartella di pagamento in contestazione fosse già stata preceduta dalla notifica di un avviso di rettifica e liquidazione, impugnato dalla contribuente.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione dell'articolo 7 legge 212/00 e dell'articolo 3 legge 241/90; per avere la commissione tributaria regionale rilevato una carenza di motivazione nella cartella di pagamento in quanto priva dell’indicazione di pagamenti parziali o di rimborsi d'imposta, nonostante che fosse onere della contribuente eccepire l’effettiva sussistenza di tali eventi in sede di contestazione del quantum riliquidato.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli articoli 2909 codice civile e 19, terzo comma, d.lvo 546/92; per avere la sentenza qui impugnata rilevato la carenza di indicazione dei criteri di determinazione delle sanzioni e del minimo edittale di esse, con riguardo ad un atto - l'avviso di rettifica notificato nel 2001 - ormai insindacabile perché coperto dal giudicato; con conseguente violazione altresì del principio generale secondo cui ogni atto impositivo può essere impugnato solo per vizi suoi propri.

2.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria, in quanto intimamente connessi nel sindacare la valutazione offerta dalla commissione tributaria regionale del requisito della motivazione della cartella.

Essi sono fondati.

Non sono qui in discussione i principi secondo cui:

- la cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile; tale obbligo derivando dai principi di carattere generale prescritti, per ogni provvedimento amministrativo, dall'art. 3 della legge n. 241 del 1990, e recepiti, per la specifica materia tributaria, dall'art. 7 della legge n. 212 del 2000 (SU 11722/10; Cass. 26330/09 ed altre);

- ove la cartella non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l'ente impositore esercita la pretesa tributaria, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo; e contenere, quindi, tutti gli elementi indispensabili per porre il contribuente in condizione di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell'imposizione.

Ciò premesso, va osservato come proprio l'adattamento di tali principi alla peculiarità della presente fattispecie deponga per l'accoglimento delle censure; atteso che, nella specie, la cartella di cui si assume la carenza motivazionale, lungi dal costituire il primo atto impositivo, ha fatto pacificamente seguito ad una sentenza passata in giudicato sull'impugnativa dell'originario avviso di rettifica.

Non si è, pertanto, nella situazione in cui il contribuente apprende, per la prima volta con la cartella, dei presupposti fondanti la pretesa tributaria; vero essendo, al contrario, che tali presupposti erano già ampiamente noti alla B. perché da lei confutati nella suddetta impugnativa e, infine, accertati con sentenza passata in giudicato (citata sentenza della commissione tributaria provinciale n. 148/20/02). Ne deriva che, con la cartella in oggetto, non si faceva più questione della sussistenza e dei presupposti della pretesa tributaria, ormai definitivamente acclarati nella pienezza del contraddittorio con la contribuente. Sicché, come detto, è proprio in applicazione dei suddetti principi generali che deve qui rilevarsi l'errore del quale è affetta la sentenza della commissione tributaria regionale, la quale ha sostanzialmente equiparato la cartella in oggetto, ai fini dell'onere di motivazione, ad un atto impositivo primario, non preceduto da uno specifico avviso di liquidazione.

Non varrebbe obiettare, con la controricorrente, che si verteva nella specie di un giudicato non del tutto dirimente né esaustivo, in quanto affermativo della pretesa tributaria ma, al tempo stesso, implicante la necessità della sua rideterminazione quantitativa sulla scorta dei criteri estimativi immobiliari indicati in sentenza.

Ciò perché - come può desumersi dalla stessa decisione qui impugnata - la carenza della quale la cartella doveva considerarsi affetta non riguardava la motivazione sui presupposti della pretesa, ormai definitivamente acclarati - e, come detto, noti alla contribuente assai prima della notificazione della cartella stessa - bensì il mero conteggio del dovuto quanto ad imposta, sanzioni ed accessori. Tanto è vero che la stessa commissione tributaria regionale ha ritenuto, con ciò palesando che si verteva proprio di mera ricostruzione aritmetica del dovuto e non di accertare il presupposto dell'imposizione, di operare essa stessa dei nuovi conteggi; salvo poi rilevarne la mancata riconciliazione (per Invim ed imposta di successione) con quelli dedotti in cartella.

Questo aspetto - essenzialmente volto al dato contabile e non a quello propriamente impositivo - non doveva però indurre alla conferma della decisione di annullamento della cartella per vizio di motivazione; quanto piuttosto suscitare nell’ambito del contraddittorio di causa (se del caso, anche a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio) l’emersione di eventuali errori materiali o di calcolo, e la sostituzione del conteggio eventualmente errato con quello esatto. Aspetto, quest'ultimo, non involgente, da un lato, lo stretto profilo motivazionale della cartella, la cui derivazione dal giudicato era pacifica; ed invece attuativo, dall’altro, dei connotati tipici del giudizio tributario in termini di "impugnazione-merito".

Questo aspetto denota, segnatamente, la fondatezza del primo motivo di ricorso. Parimenti fondati sono però anche il secondo ed il quarto motivo, i quali rafforzano quanto finora osservato, ponendo in evidenza come - a detta della stessa commissione tributaria regionale - si ponesse nella specie essenzialmente l’esigenza di "rifare i calcoli". Operazione in esito alla quale erano derivati "risultati divergenti rispetto a quelli esposti nella cartella", senza peraltro che ciò deponesse per la necessità nella specie di un apposito avviso di liquidazione, prescritto dall'articolo 40 d.lgs. 346/90 cit. in ipotesi di riscossione frazionata in pendenza di giudizio e, dunque, in situazione differente dalla presente.

Va d'altra parte ancora osservato come, nell'effettuare i nuovi conteggi, la stessa commissione tributaria regionale abbia rilevato d'ufficio la mancata indicazione nella cartella di riscossioni parziali ovvero di rimborsi; vale a dire, di eventi che non risultavano essersi verificati in concreto e di cui, pertanto, la cartella (ma nemmeno un ipotetico nuovo avviso di liquidazione) non poteva né doveva dare conto sul piano motivazionale.

In definitiva, non è condivisibile l'affermazione con la quale la CTR ha disatteso la tesi sostenuta dall'ufficio "circa la possibilità di controllare la correttezza della liquidazione eseguita per mezzo della cartella, sostituendo i valori decisi dal giudice in sentenza a quelli accertati dall'ufficio con avviso"; tesi che invece correttamente inquadrava la fattispecie nell'ambito dell’errore di calcolo, e non dell'assenza di motivazione della cartella.

Analogamente è a dire per le sanzioni, i cui criteri determinativi generali (salvo verificare anche in tal caso l'esatto conteggio del dovuto in cartella) dovevano irrevocabilmente desumersi dal giudicato.

L'accoglimento dei tre motivi di ricorso che precedono ha effetto assorbente del terzo motivo di ricorso, recante asserita contraddittorietà - ex art. 360, 1° co. n. 5 cod. proc. civ. - della sentenza qui impugnata.

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso incidentale e l’accoglimento di quello principale. La sentenza impugnata dovrà dunque essere cassata in relazione ai motivi accolti; con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Milano. Quest'ultima, esclusa l'invalidità della cartella, dovrà procedere al riconteggio del dovuto sulla base del giudicato (CTP Milano 148/20/02) alla quale la cartella stessa ha fatto seguito e riferimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso incidentale;

- in accoglimento del ricorso principale, cassa e rinvia ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Milano, anche per le spese.