Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 marzo 2016, n. 6132

Tributi - Accertamento - Avviso di liquidazione Imposta complementare sulla successione

 

Svolgimento del giudizio

 

E. F. G. S. M. e F. C. propongono ricorso avverso la sentenza n. 95/01 del 23 giugno 2009 con la quale la commissione tributaria regionale di Milano ha confermato la legittimità - fatta salva la riduzione al minimo delle sanzioni applicate - dell'avviso di liquidazione n. 37869 loro notificato il 16 ottobre 2007 per l'importo complessivo di euro 2.318.930,00 a titolo di imposta complementare sulla successione di C. L. M. C. (deceduto il 24 giugno 1995). In particolare, con l'atto impugnato l’ufficio ha inteso recuperare a tassazione, quale evento sopravvenuto dotato di autonoma rilevanza dichiarativa ed impositiva, il rimborso ai ricorrenti (per euro 1.289.081,73 in data 11 giugno 2001, e per euro 915.100,00 in data 8 maggio 2003) di due finanziamenti infruttiferi eseguiti dal de cujus a due società partecipate (rispettivamente, la C. I. Srl e la A. I. Srl), e non indicati dai ricorrenti in nessuna delle dichiarazioni di successione, anche integrative, da loro presentate, e definite mediante procedure di accertamento con adesione.

Al ricorso, articolato su quattro motivi, resiste con controricorso l'agenzia delle entrate. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ.

 

Motivi della decisione.

 

Par.1.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce - ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione degli articoli 9, 1° comma, 18 1° comma lettera b), 32, 2° comma, 27, 3° comma, prima e seconda parte e 34, nonché falsa applicazione degli articoli 12, 28 6° comma e 35 d.lgs. 346/1990; per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione In oggetto per mancata dichiarazione dei crediti verso le società partecipate, nonostante che tali crediti: - fossero stati indicati al nominale nell'inventario notarile redatto, ex artt. 471, 484 e 2700 cod.civ., il 20 giugno 1996 ed allegato alla dichiarazione integrativa del 21 giugno 1996, con descrizione di "crediti infruttiferi per finanziamenti (...) che si ritengono inesigibili"-, - risultassero, in quanto debiti verso il socio in c/finanziamento, dai bilanci delle società partecipate, come allegati alla dichiarazione integrativa, ed esaminati dall'ufficio che aveva proceduto alla valutazione delle società (la cui proprietà in capo al de cujus era stata indicata fin dalla prima dichiarazione di successione) mediante ridetemi nazione del loro patrimonio netto risultante appunto dal bilancio. Ne conseguiva che i crediti in questione non rappresentavano eventi sopravvenuti suscettibili di dichiarazione integrativa, rientrando fin dall'inizio nell'attivo ereditario, così da dover essere valutati e tassati dall'ufficio come crediti infruttiferi.

In ogni caso, l'avviso di liquidazione impugnato era stato notificato (16 ottobre 2007) ben oltre il termine di decadenza (22 gennaio '99) individuabile nel biennio dal pagamento (22 gennaio '97) dell'imposta principale di successione, ex articolo 27, terzo comma, seconda parte, d.lgs. 346/1990.

Par. 1.2 II motivo è infondato in tutte le sue articolazioni.

E' del tutto pacifico in causa che i crediti di cui ai finanziamenti infruttiferi erogati dal de cujus alle due società partecipate non vennero mai inseriti nelle dichiarazioni di legge. Essi non vennero, cioè, mai denunciati nelle uniche forme ammesse dal d.lgs. 346/1990 per la dichiarazione di successione, insite nella redazione "su stampato fornito dall'ufficio del registro o conforme al modello approvato con decreto del ministro delle finanze" (art. 28.3 d.lgs. 346/1990). L’osservanza di tali modalità è prescritta espressamente "a pena di nullità", con l’avvertenza (art. 28,8) che "la dichiarazione nulla si considera omessa".

Sostengono i ricorrenti che, indipendentemente dalla mancata indicazione nelle forme prescritte, l'amministrazione finanziaria era in realtà in grado di autonomamente rilevare l'esistenza nell'attivo ereditario dei due crediti infruttiferi fin dalla prima dichiarazione e, comunque, in forza delle dichiarazioni integrative poi definite in maniera concordata. Si tratta di affermazione che correttamente il giudice di merito ha disatteso nell'esatta applicazione delle norme di cui si assume in questa sede la violazione o falsa applicazione; a partire da quelle disposizioni che definiscono la costituzione e consistenza dell'attivo ereditario (art.9 d.lgs. 346/1990); individuano tassativamente i crediti (pacificamente diversi da quelli in oggetto) in esso non ricompresi (crediti sub judice, verso lo Stato o a questo ceduti: art. 12 lett.d-e-f); dettano i criteri di valutazione dei crediti infruttiferi che concorrono alla base imponibile (art.18).

Per quanto concerne l'indicazione, fin dalla dichiarazione principale, della sussistenza nel patrimonio del de cujus delle partecipazioni in Campo Immobiliare srl ed in Astro Immobiliare srl, basterà osservare come la proprietà delle due società non potesse evidentemente equivalere sic et simpliciter alla Indicazione delle specifiche componenti patrimoniali di queste ultime, siccome comprensive delle somme ad esse attribuite dal de cujus in conto finanziamento infruttifero per l'espletamento di determinate operazioni immobiliari. Né, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, funzione corrispondente alla dichiarazione di successione potrebbe attribuirsi alla allegazione integrativa dei bilanci delle due società al fine della valutazione delle partecipazioni apprese all'attivo ereditario. Se è vero, in proposito, che l'amministrazione finanziaria ebbe modo di verificare tali bilanci, altrettanto indubbio è che ciò avvenne in vista dell’applicazione del criterio valutativo del patrimonio netto al momento dell'apertura della successione ex art.16 lett. b) d.lgs. 346/1990 (Cass. 6498/00); in base al quale, tuttavia, le operazioni di finanziamento in oggetto (quand'anche contabilmente rilevabili e rilevate) risultavano sostanzialmente ininfluenti quanto a base imponibile, trovando il debito di restituzione nei confronti del socio contropartita diretta nella liquidità da questi immessa nelle casse sociali. Sicché il rilievo, al fine della valutazione della partecipazione, del debito delle società verso il socio non attribuiva, per ciò solo, effetto dichiarativo "per equipollenza" al corrispondente credito del de cujus.

Nemmeno, la mancata dichiarazione dei crediti poteva essere supplita dall’inventario redatto ai fini dell'accettazione beneficiata dell'eredità (allegato alla dichiarazione integrativa del giugno '96), nel quale i due crediti infruttiferi verso le società erano effettivamente stati indicati all'importo nominale e con giudizio di inesigibilità. Si verteva infatti di un atto non costituente dichiarazione fiscale del contribuente, ed eventualmente rilevante ex lege solo per diversi tipizzati effetti (quali la decorrenza del termine di presentazione della dichiarazione stessa in caso di accettazione beneficiata dell'eredità, ovvero II superamento della presunzione di attività mobiliari di cui al secondo comma dell'articolo 9 d.lgs. 346/1990).

Posto dunque che - per le indicate ragioni - i crediti per finanziamenti infruttiferi in oggetto non erano stati indicati in nessuna delle dichiarazioni precedentemente presentate, il loro rimborso (casualmente emerso in occasione di verifiche eseguite nel settembre 2007 presso le due società debitrici) rilevava in effetti quale evento sopravvenuto suscettibile di determinare l'applicazione dell'imposta in misura superiore (articolo 28, sesto comma, d.lgs. 346/1990); con conseguente obbligo per gli eredi di presentazione di dichiarazione integrativa nel termine di cui all'articolo 31 secondo comma lett. e) d.lgs. cit..

Da ciò consegue l'infondatezza della censura (riproposta, sotto diverso aspetto, anche nel quarto motivo di ricorso) pure sotto il profilo della dedotta decadenza dell'amministrazione finanziaria, dovendosi in proposito considerare che, in ragione del sopravvenire del rimborso: - l'attività di liquidazione della maggiore imposta prendeva effetto non già dall'originaria dichiarazione, né dal pagamento dell'imposta principale (art.27, terzo co., d.lgs.346/90) ma dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione ex art.28, 6° co.cit. (art.27, quarto co.); - considerata quest'ultima decorrenza, il termine (quinquennale) di decadenza doveva ritenersi prorogato di due anni ex articolo 11 legge 289/02 attesa la riconducibilità del rimborso all'estinzione di crediti che dovevano essere comunque fatti oggetto di dichiarazione antecedente all'entrata in vigore di quest'ultima disciplina; allorquando, per tale specifica sopravvenienza, non era ancora stato notificato avviso di rettifica o liquidazione della maggiore imposta (sicché il carattere sopravvenuto del rimborso non elideva la violazione dichiarativa iniziale, rendendola tamquam non esset); in forza della proroga biennale del quinquennio ex artt.27 4° co. e 11 citt., il termine di decadenza risulta dunque qui rispettato (notificazione dell'avviso di liquidazione in data 16 ottobre '07) con riferimento anche al rimborso più risalente, effettuato dalla Campo Immobiliare srl l’11 giugno 01.

Par. 2.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione degli articoli 16, 1° comma, lett b) e 18, 1° comma lettera b) d.lgs. 346/1990, nonché dell'articolo 3, 1° comma e 4° comma, decreto legislativo 218/97; per non avere la commissione tributaria regionale considerato che in data 19 febbraio 1998 era intervenuto atto dì accertamento con adesione relativo alle dichiarazioni del 23 febbraio e del 21 giugno 1996, con conseguente preclusione, ex articolo 3 cit., di un nuovo accertamento integrativo da parte dell'ufficio per crediti che dovevano ritenersi regolarmente inclusi già nelle dichiarazioni così definite.

Par. 2.2 La doglianza è infondata, in ragione del fatto che - sul presupposto, testé riscontrato, della mancata dichiarazione dei crediti e della natura di evento imponibile sopravvenuto attribuibile al loro rimborso - le definizioni concordate in oggetto non poterono concernere altresì l'omissione contestata con l'avviso di liquidazione n.37869 qui impugnato. Va infatti considerato che tali definizioni riguardarono la maggiore imposizione sulle poste dichiarate (anche in sede di plurime successive integrazioni), non potendo esplicare effetto alcuno su quelle, quali i crediti infruttiferi in oggetto, mai dichiarate; e la cui sussistenza ed Imponibilità emerse con il loro rimborso. Anche in tal caso, in definitiva, non ricorre la dedotta violazione o falsa applicazione normativa, atteso che - per regola generale ex articolo 3, 1° co. d.lgs. 218/97 - la definizione degli accertamenti nelle imposte indirette ha effetto per i tributi dovuti "relativamente ai beni e ai diritti indicati in ciascun atto, denuncia o dichiarazione che ha formato oggetto di imposizione". Fa dunque qui difetto il presupposto dell'invocato effetto preclusivo di ulteriori accertamenti a seguito di adesione; essendo finanche inconcepibile che quest'ultima possa formarsi e risultare efficace in relazione a cespiti, ovvero a "beni e diritti", mal emersi né considerati come imponibili in sede di attuale o potenziale contenzioso.

Nemmeno, potrebbe fondatamente sostenersi che la definizione mediante adesione sarebbe invece qui ostativa in quanto relativa a crediti presi sì in considerazione dall'amministrazione finanziaria, ma da quest'ultima ritenuti non tassabili perché inesigibili. Una siffatta argomentazione non terrebbe infatti conto della circostanza che, ex art. 12 cit., i crediti diversi da quelli tassativamente indicati nella norma dovevano essere inclusi nell'attivo ereditario ancorché inesigibili; e che essi non lo furono (se non a titolo di rimborso) non perché all’epoca ritenuti inesigibili dall'ufficio, ma semplicemente perché mai dichiarati. In altri termini, in tanto potrebbe fondatamente sostenersi l'avvenuta definizione, mediante adesione, della vicenda impositiva in oggetto, in quanto i crediti infruttiferi fossero stati dichiarati.

Par. 3.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione degli articoli 6, 2° comma, e 10, comma, legge 212/00; per avere la commissione tributaria regionale erroneamente escluso la violazione da parte dell'ufficio dei doveri ad esso derivanti dalla normativa in oggetto (i cui principi generali, in quanto immanenti nell'ordinamento, dovevano trovare applicazione anche prima della sua emanazione), quanto segnatamente a: - omesso invito ai contribuenti a completare le proprie dichiarazioni, ove ritenute incomplete perché prive delle indicazioni dei crediti in questione (già noti all'ufficio, In quanto risultanti dall'inventario e dai bilanci sociali);

- omessa informazione, in sede di accertamento con adesione, della possibilità che i due crediti potessero essere considerati sopravvenienze successorie autonomamente imponibili, con relative sanzioni; - omessa notificazione di avvisi di rettifica per l'incompletezza delle dichiarazioni, nel qual caso essi contribuenti avrebbero valutato di instaurare il contenzioso, in luogo di definire con adesione l’intera posizione.

Par. 3.2 La censura non può trovare accoglimento.

Indipendentemente dal problema della immanenza ordinamentale dei principi poi esplicitati nello "Statuto del contribuente" e, dunque, della loro applicabilità anche alle situazioni antecedenti alta sua entrata in vigore, è qui dirimente osservare come le condotte violative addebitate all’amministrazione finanziaria (essenzialmente in termini di mancata informativa e di mancato invito, in sede tanto di verifica delle dichiarazioni quanto di definizione concordata) presuppongono anch'esse una circostanza fattuale non sostenibile (come tale ravvisata dai giudici di merito); e cioè che essa dovesse rilevare e prendere contezza dei crediti in questione, ancorché mai dichiarati, ed emersi solo casualmente in occasione di successive verifiche operate a diverso fine, e nei confronti di soggetti diversi dai coeredi. Senonché, vertendosi non già di cespiti dell'attivo ereditario indicati in dichiarazione in maniera semplicemente sommaria ovvero in assenza di un adeguato apparato documentale, bensì - per le già dette ragioni - di attività patrimoniali del tutto omesse, non può qui darsi rilievo al profilo soggettivo della colpa dell'amministrazione, e nemmeno a quelli di tutela della buona fede nel rapporto con il contribuente, e di trasparenza amministrativa. Ciò perché la mancata dichiarazione dei crediti in questione - in una con la già richiamata circostanza per cui questi ultimi non vennero tassati non perché inesigibili, ma proprio perché non rilevabili dalla dichiarazione - non si prestava ad inviti collaborativi di mero completamento ed implementazione della documentazione afferente una dichiarazione semplicemente incompleta.

Vero è che i ricorrenti hanno addotto in giudizio la buona fede sempre palesata nei proprio comportamento nei confronti del fisco; attestata anche dalla presentazione di successive dichiarazioni integrative, talvolta concernenti anche attività patrimoniali (società esterosedenti) che ben difficilmente sarebbero state altrimenti raggiunte da imposizione; essi hanno inoltre evidenziato come le tormentate vicende dichiarative afferenti l'imposta di successione in oggetto siano state pesantemente condizionate dalle precarie condizioni di salute della G. S. M..

E tuttavia, queste circostanze non negano né possono giustificare il comportamento oggettivo insito nella reiterata omissione dichiarativa, la quale - quand'anche dettata dall'erroneo convincimento di non tassabilità dei crediti in quanto descritti (in inventario) come inesigibili - è stata dal giudice di merito ritenuta particolarmente rilevante nell'escludere la violazione dei principi di comportamento posti dalla I. 212/00 a carico dell'ufficio (oltre che dello stesso contribuente); là dove gli argomenti di attenuazione della responsabilità hanno comunque trovato accoglimento, sempre in sede di merito, nella riduzione al minimo delle sanzioni.

Vale la pena di ancora osservare come, esclusa la dedotta violazione normativa, la materia introdotta dalla presente censura non si presti ad una rivisitazione nel merito delle valutazioni cosi offerte dalla commissione tributaria regionale; trattandosi di aspetti esulanti dal vaglio di legittimità, ove assistiti da una motivazione la cui sufficienza e congruità non è stata del resto posta in dubbio - mediante la formulazione di uno specifico motivo ex art. 360, 1° co. n. 5 cod.proc.civ. - nemmeno dai ricorrenti.

Par. 4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione dell'articolo 27, 4° comma, d.lgs. 346/1990 ed erronea applicazione dell'articolo 11 legge 289/02, in relazione al rimborso dell'importo di euro 1.289.082,00 operato dalla Campo Immobiliare srl l'11 giugno 2001; per avere la commissione tributaria regionale omesso di rilevare la decadenza dell’ufficio dal potere di accertamento posto che, nella pur denegata ottica della sopravvenienza di attivo imponibile, l'avviso di liquidazione era stato notificato (16 ottobre 2007) oltre cinque anni dal termine di scadenza della dichiarazione integrativa omessa (11 dicembre 2001); non essendo nella specie applicabile la proroga biennale di cui all'articolo 11 legge 289/02, prevista per il solo caso di presentazione dell'istanza di concordato, non consentita nell'ipotesi di omessa dichiarazione integrativa.

Vale, in sede di rigetto del presente motivo, quanto già osservato supra, Par. 1.2 in ordine alla insussistenza della decadenza, sotto tutti I profili dedotti.

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

- Rigetta il ricorso;

- condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 9.000,00, oltre spese prenotate a debito.