Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 marzo 2016, n. 6103

Accertamento fiscale - Contestazione della sola violazione formale - Mancata indicazione separata in dichiarazione dei costi black list - L’ambito del giudizio non va successivamente esteso alle ulteriori eventuali violazioni, di carattere sostanziale, circa l’effettiva operatività dei contraenti esteri e la convenienza delle operazioni

 

Svolgimento del processo

 

Con atto affidato al servizio postale per la notificazione il 21 aprile 2010, l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, in unico motivo, avverso sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria depositata il 10 marzo 2009.

La decisione è intervenuta in controversia scaturita dall'impugnazione di avviso di accertamento, con cui l’Agenzia aveva ritenuto non deducibili ai fini irpeg ed irap per l’anno di imposta 2003 - perché non separatamente indicati in dichiarazione come prescritto dall'art. 76 d.p.r. 917/1986 (vigente ratione temporis) - i costi derivati da operazioni commerciali intrattenute dalla società contribuente con fornitori fiscalmente domiciliati in (...), Paese a fiscalità privilegiata.

In riforma della sentenza di primo grado (che aveva affermato la legittimità dell'avviso di accertamento), il giudice di appello ha, negato l'indeducibilità dei costi oggetto del contrastato recupero ed applicato alla società contribuente la sanzione prevista dall'art. 8, comma 3 bis, d.lgs. n.471/97 (introdotto dell'art. 1, comma 302, l. 296/2006), commisurata, nei limiti prescritti, al dieci per cento del complessivo importo di spese e componenti negative non separatamente indicate.

Nel proposto ricorso, l'Agenzia sviluppa un unico motivo di doglianza.

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, deducendo, preliminarmente, l'inammissibilità del ricorso per tardività.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso dell'Agenzia, proposto avverso sentenza depositata il 10 marzo 2009, è stato tempestivamente affidato al servizio postale per la notificazione, il 21 aprile 2010, e, a seguito del mancato perfezionamento della procedura e della relativa rinnovazione in tempi brevi, utilmente notificato il 22 maggio 2010.

Alla luce degli esposti rilievi, il ricorso deve ritenersi tempestivamente proposto nella prospettiva di cui a Cass., ss.uu., 17352/09 (e successiva costante giurisprudenza), giacché il negativo esito della prima notificazione non può, in alcun modo ascriversi a colpa del notificante, che, incontrovertitamente, ha correttamente indicato l'indirizzo del domiciliatario, completo dell'esatto numero civico, trascurando soltanto di riportare il dato, non essenziale, dell'interno.

Il ricorso dell'Agenzia è, dunque, ammissibile.

Esso va, peraltro, disatteso.

In base alla normativa vigente sino al 31 dicembre 2006 (art. 76, commi 7 bis e 7 tre, e, poi, art. 110, commi 10 e 11, d.p.r. 917/1986), i costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. "black list") non erano deducibili in mancanza di prova in merito all'effettiva operatività delle contraenti estere ovvero della convenienza economica delle operazioni ed inoltre, "comunque", se non separatamente indicati in dichiarazione.

Con decorrenza dall'1 gennaio 2007 e con efficacia retroattiva (cfr. Cass. 21955/15, 4030/15) - ferma restando l'indeducibilità dei costi in rassegna in assenza di prova sull'effettiva operatività delle contraenti estere ovvero della convenienza economica delle operazioni - i comma 301 e 302 dell'art. 1 l. 296/2006 (il primo, attraverso la modifica della previsione dell'art. 110, commi 10 e 11, d.p.r. 917/1986; il secondo, mediante l'inserimento del comma 3 bis nell'art. 8 d.lgs. 471/1997) hanno, in combinato, degradato la separata indicazione dei costi in dichiarazione, da presupposto sostanziale di relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di sanzione amministrativa pari al dieci per cento dell'importo complessivo delle spese e componenti negative non separatamente indicate nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di € 500,00 ed un massimo di € 50.000,00.

In retroattiva applicazione dell'indicato ius superveniens, il giudice di appello -riformando la sentenza di primo grado - ha negato l'indeducibilità dei costi oggetto del contrastato recupero e ritenuto applicabile alla società contribuente, in sostituzione, la sanzione prevista dall’art. 8, comma 3 bis, d.lgs. n.471/97 (introdotto dell'art. 1, comma 302, l. 296/2006), nella misura di legge sopra indicata.

Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia censura la decisione per vizio di motivazione, in merito alla circostanza che le imprese di (...), con le quali la società contribuente aveva avuto rapporti, fossero realmente operative e che gli acquisti presso di esse compiuti presentassero effettiva convenienza economica rispetto a quelli realizzabili sul mercato nazionale.

La doglianza si rivela, in primo luogo, inammissibile. Con essa, infatti, l'Agenzia, ancorché denunciando carenza di motivazione, richiede, sostanzialmente, a questa Corte, un inammissibile diverso apprezzamento delle risultanze processuali, rispetto a quello legittimamente effettuato dal giudice del merito, circa l'esaustività della documentazione allegata dalla società contribuente a riprova dell'operatività delle contraenti estere e della convenienza delle operazioni (v. la parte finale della motivazione della sentenza impugnata; così tendendo a rimettere in discussione l'accertamento in fatto della sentenza impugnata, che, espresso con motivazione coerente in sé e con le risultanze processuali, si sottrae al sindacato di legittimità.

Ciò, in quanto, in tale ambito, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 25608/13, 22901/05, 15693/04, 11936/03).

Posto che dalla sentenza impugnata, così come, del resto, dallo stesso ricorso (v. pag. 1, in fine), emerge che la contestazione contenuta nell'avviso di accertamento oggetto della controversia era esclusivamente incentrata sul profilo formale della mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione (senza alcun riferimento alla sostanziale elusività delle correlative operazioni), non può, d'altro canto, trascurarsi di considerare come la ricorrenza delle circostanze (effettiva operatività della contraente estera e della convenienza dell'operazione), in relazione alla quale l'Agenzia ricorrente lamenta l'insufficiente motivazione della decisione impugnata, assumendo connaturalmente rilievo in rapporto al solo profilo sostanziale della violazione, si rivela estranea allo specifico thema decidendum e, dunque, inconferente.

Al riguardo, merita rammentare che è regola fondamentale del diritto tributario quella secondo cui le ragioni poste a base dell'atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario, che (anche se con sue specifiche caratteristiche) è, pur sempre, giudizio d'impugnazione d'atto; sicché l'ufficio finanziario, restandone le contestazioni adducibili in sede contenziosa circoscritte dalla motivazione dell'avviso di accertamento, non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse o modificare, nel corso del giudizio, quelle definite dalla motivazione suddetta (v., tra le altre, Cass. 9810/14, 13305/09, 26458/08, 20398/05, 17762/02). E va considerato che dall'esposta premessa discende che - in presenza di avviso di accertamento contemplante la sola violazione formale della mancata indicazione separata dei costi derivanti dalle operazioni con imprese non residenti in territori con regime fiscale agevolato, l'ambito del giudizio non può estendersi alle ulteriori violazioni, di carattere sostanziale, sulle quali soltanto interferiscono l’operatività dei contraenti esteri e l'effettività delle operazioni.

Né tale criterio, anche per le fondamentali funzioni di garanzia che, sul piano del diritto di difesa del contribuente, la motivazione dell’atto impositivo assolve nell'ambito dell'ordinamento tributario - può ritenersi derogato dalla previsione dell'art. 1, comma 303, l. 296/2006, laddove subordina l'applicazione retroattiva della disposizione del precedente comma 302 alla prova di cui all'art. 110 comma 11, primo periodo, d.p.r. 917/1986; previsione che d'altro canto, per parte sua, intende solo ribadire che la degradazione da presupposto d’indeducibilità a violazione amministrativamente sanzionata, attuata dalla disciplina sopravvenuta, riguarda solo il profilo formale della violazione, consistente nella mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone il rigetto del ricorso.

Per la natura della controversia, la sua soluzione in base a norma sopravvenuta e le correlative pregresse incertezze interpretative.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; compensa le spese.