Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 marzo 2016, n. 5984

Tributi - IVA - Recupero imposta detratta sugli acquisti - Interposizione fittizia di fornitori comunitari - Configurazione - Omessa tenuta della contabilità, omesso versamento dell'IVA addebitata in fattura, mancanza di una struttura commerciale

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti di BM E. s.r.l. vennero emessi due avvisi di accertamento, rispettivamente per l'anno 1999 e l'anno 2000, con disconoscimento del diritto alla detrazione dell'IVA in quanto relativa ad operazione soggettivamente inesistente. Gli atti impositivi erano preceduti da p.v.c. secondo cui la contribuente aveva acquistato componenti elettronici da fornitori comunitari interponendo fittiziamente, in funzione di cartiera, la società B. I. E., alla quale nel medesimo p.v.c. si contestava il mancato adempimento degli obblighi di tenuta della contabilità e di versamento dell'IVA addebitata ai clienti, nonché la mancanza di una struttura commerciale. I ricorsi proposti dalla contribuente, previa riunione, furono accolti dalla CTP. L'appello dell'Ufficio venne accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sulla base della seguente motivazione.

Va premesso, secondo l'esposizione del giudice tributario, che: le fatture indicate nei fogli del p.v.c. dal 24 al 31 sono state emesse anche ad un prezzo inferiore rispetto a quello di introduzione e acquisto in Italia; la rivenditrice B. non ha eseguito il pagamento dell'IVA riscossa e non ha avuto in Italia una stabile organizzazione amministrativo/operativa; la società contribuente ha provveduto in proprio al trasporto nella propria sede della merce, come da dichiarazione resa dal rappresentante in Italia di una società italiana dipendente dalla società danese fornitrice, il quale ha pure precisato che l'ordinativo era stato effettuato dal legale rappresentante della società contribuente. Osserva quindi la CTR che la merce era stata in parte prelevata dalla contribuente da un deposito ove era stata spedita da una delle società comunitarie fornitrici, e per altra parte spedita direttamente alla stessa contribuente da altra fornitrice comunitaria. In assenza di prova contraria a tali risultanze, prosegue la CTR, "resta immutato e accreditabile il delineato quadro di traballante attendibilità della intera documentazione contabile esposto e documentato nel p.v. dalia Guardia di Finanza a deperimento della legittimità della detrazione IVA operata dalla società appellata...In tale delineato contesto di sostanziale e formale intreccio di relazioni intrattenute tra il fornitore comunitario, la ditta B. prima cessionaria/rivenditrice, la seconda cessionaria/rivenditrice società appellata e gli agenti italiani delle aziende comunitarie fornitrici, intreccio emergente dalla circostanziata e articolata rappresentazione e documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza e dal trasporto delta merce acquistata effettuato anche con mezzi propri della società appellata anziché con quelli della cedente ditta B. o per suo conto da altri, intreccio non specificatamente denegato dalla parte appellata, appare reale e non immaginario che la predetta ditta B. abbia svolto un preponderante ruolo di sostanziale interposizione, assimilabile a quello di rappresentante ma non di rivenditore della merce di provenienza comunitaria come quello apparente dai documenti di trasporto e dalle fatture prò forma emesse, annotate e trasmesse via fax intestato alla società appellata, senza alcuna dettagliata confutazione in merito a quest'ultima".

Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR ha tralasciato di considerare quanto dimostrato dalla contribuente circa l'operatività della società B. e ha omesso di spiegare sia in che modo le circostanze indicate nei p.v.c. fossero idonee a dimostrare il coinvolgimento consapevole della contribuente nella frode, sia in che modo le modalità di trasporto fossero idonee a dimostrare l'esistenza di un accordo fraudolento. Aggiunge, quanto all'affermazione del giudice di merito secondo cui la contribuente non avrebbe "specificatamente denegato" l'intreccio, che fin dal ricorso introduttivo è stato affermato che non vi è alcuna prova di accordo fra la contribuente medesima e la società B.. Osserva quindi che la CTR non ha considerato gli argomenti dedotti dalla ricorrente, ed in particolare che: le operazioni erano documentate; i margini applicati ai prodotti acquistati dalla società B. erano in linea con quelli praticati su altri acquisiti; l'invio di fax da parte dei fornitori comunitari aveva lo scopo di informare la contribuente dell'avvenuto perfezionamento dell'operazione; le dichiarazioni rese dai due agenti delle ditte comunitarie erano irrilevanti, non riferendosi al fatto che la ricorrente fosse una delle artefici della presunta frode, e contraddittorie.

Il motivo è inammissibile. La ricorrente ha affermato di avere dimostrato l'operatività della società B. ma non ha indicato, in violazione del principio di autosufficienza, le concrete circostanze alla base dell'assunto, né la sede processuale della deduzione, in modo da consentire la valutazione della decisività di quanto dedotto con il motivo. Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

La CTR ha valutato come rilevante ai fini della prova dell'inesistenza soggettiva dell'operazione la circostanza della consegna della merce, per trasporto diretto dal fornitore estero alla contribuente o per prelievo diretto da parte di quest'ultima presso deposito ove era stata inviata dal fornitore estero. Il giudice di merito ha fondato quindi in misura rilevante il proprio convincimento sull'efficacia presuntiva di tale circostanza. L'omissione di spiegazione circa la rilevanza probatoria di tale circostanza, denunciata con il ricorso, appare in realtà costituire divergenza di valutazione nel merito della risultanza processuale, posto che viene in rilievo non il procedimento logico (il giudice di merito ha evidentemente tratto dal fatto noto delle modalità di consegna della merce il fatto ignoto alla base della imposizione tributaria), ma l'esito del procedimento. Stessa divergenza di merito ha la portata dell'affermazione secondo cui non correttamente la CTR ha riconosciuto che la contribuente non avrebbe "specificatamente denegato" l'intreccio fra fornitrice estera, rivenditore e contribuente.

Venendo alle circostanze che la CTR avrebbe omesso di valutare, va evidenziato che il motivo non coglie la ratio decidendi per quanto concerne il carattere documentato delle operazioni, posto che il giudice tributario ha riconosciuto l'esistenza di una formale fatturazione (quanto ad altra eventuale documentazione, il motivo in violazione del principio di autosufficienza non specifica quale documentazione sia in questione, né la sede processuale della relativa deduzione). Circa i margini applicati sui prodotti dalla rivenditrice, il motivo introduce una circostanza di fatto che è stata invece diversamente apprezzata dal giudice di merito, il quale ha evidenziato che le fatture indicate nei fogli del p.v.c. dal 24 al 31 sono state emesse anche ad un prezzo inferiore rispetto a quello di introduzione e acquisto in Italia. La censura implicherebbe sul punto un'indagine di merito preclusa nella presente sede di legittimità. Anche con riferimento alle dichiarazioni rese dai due agenti delle ditte comunitarie la ricorrente oppone una propria valutazione di merito a quella della CTR, non sindacabile per quanto concerne l'apprezzamento di congruenza probatoria delle dichiarazioni in questione. Infine, quanto all'affermazione secondo cui l'invio di fax da parte dei fornitori comunitari aveva lo scopo di informare la contribuente dell'avvenuto perfezionamento dell'operazione, la ricorrente non ha dedotto se ed in quali termini la circostanza sia in grado di invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr. fra le tante Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092).

Con il secondo motivo si denuncia omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che il riconoscimento nella sentenza impugnata della circostanza che il regime di neutralità IVA "non svincola l'acquirente della merce di provenienza comunitaria dall’obbligo di pagare l'IVA che riscuote all'atto della rivendita della stessa merce nello stesso paese di destinazione della medesima" riguarda non la contribuente ma la società fornitrice, a conferma del fatto che il vantaggio dall'omesso versamento dell'IVA è da ricondurre solo alla fornitrice e non alla contribuente cessionaria.

Il motivo è inammissibile. La censura si concentra su un passaggio motivazionale che non costituisce ratio decidendi e resta pertanto priva di decisività ai fini del sindacato in ordine alla motivazione della decisione impugnata.

Con il terzo motivo si denuncia e falsa applicazione degli artt. 19 d.p.r. n. 633/1972 e 2697 c.c. ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che la conclusione della CTR nel senso che la contribuente ha intrattenuto un rapporto di scambio direttamente con i fornitori comunitari e che fittizio è stato il rapporto intercorso con la società B., da cui l'illiceità della detrazione IVA, contrasta con la disposizione secondo cui è detraibile l'imposta assolta, a meno che non risulti la partecipazione consapevole alla frode ed il conseguimento di un vantaggio fiscale.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, 21, comma 7, d.p.r. n. 633/1972, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che, una volta che il contribuente abbia assolto l'imposta, spetta il diritto alla detrazione, in mancanza della prova della partecipazione consapevole alla frode e del conseguimento di un vantaggio fiscale.

I motivi terzo e quarto sono infondati. Secondo la ricorrente la negazione della detrazione dell'IVA assolta è subordinata alla duplice condizione della partecipazione consapevole del contribuente alla frode ed alla presenza di un vantaggio fiscale. L'affermazione è errata sul piano giuridico. Ha affermato il giudice comunitario (Corte giust. 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e 142/11) che va negato il beneficio del diritto a detrazione dell'IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. Per la corte comunitaria è legittimo "esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione fiscale", ma la diligenza esigibile dall’operatore dipende essenzialmente dalle circostanze della fattispecie. Così "qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità". A questi principi si è attenuta questa Corte, affermando che, qualora l'amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva - per l'esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall'amministrazione - in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23560). E' poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l'ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti (Cass. 24 settembre 2014, n. 20059).

Fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell'IVA non è dunque soltanto la consapevolezza dell'iscrizione dell'operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un'evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l'operatore, sulla base della diligenza esigibile dall'operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell'esistenza dell'evasione. Non è richiesta in definitiva la consapevolezza della collocazione dell'operazione all'interno di un meccanismo fraudolento, ma è sufficiente che, sulla base della diligenza esigibile dall'accorto operatore in relazione alle circostanze, il contribuente dovesse comunque conoscere del contesto illecito dell'operazione.

Una volta poi che risulti sia l'integrazione della fattispecie di operazione soggettivamente inesistente che la conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente del carattere fraudolento dell'operazione, si ha perfezionamento del fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell'IVA, senza che il contribuente possa opporre la mancanza di un vantaggio fiscale da parte sua. Il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo non spetta perché, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell'impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l'evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti (Cass. 16 maggio 2012, n. 7672; 22 marzo 2006, n. 6378).

Con il quinto motivo si denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. Espone la ricorrente che all'esito del ricevimento del p.v.c. aveva presentato le proprie osservazioni difensive e che negli avvisi di accertamento tali osservazioni non erano state valutate. Lamenta che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare su tale eccezione.

Il motivo è inammissibile. In violazione del principio di autosufficienza la ricorrente non ha specificatamente indicato se la questione oggetto del motivo di censura sia stata specificatamente riproposta in appello ai sensi dell'art. 56 d.leg. n. 546/1992, indicazione tanto più necessaria in quanto in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta indicata fra le questioni ed eccezioni sollevate con le controdeduzioni in appello anche l'eccezione menzionata nel motivo di censura. Va rammentato che affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un'eccezione autonomamente apprezzabili e, dall'altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell'autosufficienza, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (Cass. 4 marzo 2013, n. 5344).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 13.338,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.