Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 marzo 2016, n. 5724

Tributi - IVA - Liquidazione di gruppo - Compensazione infragruppo di eccedenze di credito IVA - Mancata prestazione della garanzia - Sanzione per omesso versamento

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza 334/29/14, depositata il 17.2.2014 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della toscana (di seguito, breviter, CTR) , accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 146/03/09 della Commissione tributaria provinciale di Firenze (di seguito, breviter, CTP) che aveva accolto i ricorsi proposti dalla K. s.r.l., in concordato preventivo e liquidazione, quale soggetto controllante un gruppo di imprese, avverso due avvisi di recupero delle eccedenze di credito IVA infragruppo, utilizzate in compensazione dalla predetta società nei periodi di imposta 2007 e 2008, che l'Ufficio, a seguito di un controllo effettuato sulle dichiarazioni IVA degli anni 2008 e 2009, ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, aveva emesso per aver riscontrato la mancata prestazione, da parte della società controllante, delle garanzie previste dal combinato disposto dal d.p.r. 633 del 1972, art. 38 bis, comma 2, e dal d.m. Finanze 13.12.1979, n. 11065, art. 6. Con i medesimi provvedimenti l'Ufficio irrogava anche le sanzioni per omesso versamento dell'imposta ai sensi del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

Il giudice d'appello, rilevato, in fatto, che la società capogruppo aveva operato la compensazione dell'IVA, con somme a debito trasferite nell'ambito delle liquidazioni periodiche di gruppo, senza il rilascio della prescritta garanzia, sosteneva, in diritto:

- che l'impossibilità di evincere direttamente dalla dichiarazione IVA il mancato rilascio della prescritta garanzia, determinava la necessità di procedere a controllo sostanziale, e non formale, della dichiarazione e che, pertanto, non era legittimo provvedere alla diretta iscrizione a ruolo delle eccedenze di credito IVA;

- che la controversia andava risolta in forza del principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 8034 del 2013, in base al quale dal carattere obbligatorio della prestazione di garanzia nell'ambito della liquidazione IVA dì gruppo, discendeva, per il caso di sua omissione, la legittimità dell'irrogazione della sanzione stabilita per il mancato versamento dell'imposta;

- che, non essendo scaduto il termine per la rettifica delle dichiarazioni IVA presentata dalla società contribuente, perché la suddetta garanzia non era mai stata prestata e l'imposta era stata assolta soltanto durante il contenzioso, aveva errato il giudice di primo grado nel ritenere che la pretesa dell'Amministrazione finanziaria, originariamente legittima, fosse divenuta infondata in conseguenza della ritenuta inesigibilità sopravvenuta delle somme portate dai titoli impugnati.

Sulla base di tali argomentazioni, dichiarava legittimi gli avvisi di recupero delle eccedenze di credito IVA infragruppo notificate alla ricorrente e compensava le spese processuali.

2. La K. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.

3. L'Agenzia resiste con controricorso.

4. Soltanto in data 8 gennaio 2016 e, quindi, tardivamente, è pervenuta nella cancelleria di questa Corte memoria difensiva della ricorrente.

 

Considerato in diritto

 

1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 73, 3° comma, d.p.r. n. 633 del 1972, 6 d.m. 13.12.1979 e 13 d.lgs. n. 471 del 1997 in relazione all'art. 360 n. 3. c.p.c.

Sotto un primo profilo, muovendo dal presupposto che il quadro normativo delineato dal Legislatore per disciplinare il sistema di recupero delle "eccedenze di credito" nei rapporti interni tra società controllante e società controllata, attraverso il d.m. 13 dicembre 1979, emanato in base all'art. 73, ultimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consentiva il recupero anticipato delle eccedenze di credito IVA verificatesi nei rapporti interni tra società controllate e controllante, mediante compensazione tra le poste di debito e credito, assistita però da idonea garanzia da prestarsi - entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale - mediante cauzione o fideiussione, la ricorrente sostiene che l'obbligo imposto dal citato d.m., art. 6, comma 3, di versare l'importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate, in caso di mancata prestazione di una delle predette garanzie, perseguendo soltanto una finalità cautelativa dell'interesse erariale al corretto utilizzo dei crediti in ambito di consolidato IVA, non poteva essere confuso ed equiparato all'obbligo di versamento dell'imposta dovuta sulla base della dichiarazione e in mancanza di compensazione. Infatti, nel primo caso, secondo la ricorrente, si determinerebbe la violazione di un obbligo di garanzia, mentre nel secondo caso quella di un obbligazione tributaria, con la conseguenza che l'applicazione alla prima ipotesi (violazione dell'obbligo di garanzia) delle sanzioni di cui al d.lgs. 472 del 1997 previste, invece, per la seconda ipotesi (omesso o ritardato versamento dell'imposta), violerebbe i principi, di legalità, uguaglianza e proporzionalità, che informano l'intero apparato sanzionatorio tributario (così a pag. 15 del ricorso).

Sotto un secondo profilo, la ricorrente, a sostegno del motivo in esame, ha richiamato la pronuncia di questa Corte (sent. n. 21515 del 2010) che, muovendo proprio dalla funzione di garanzia per il fisco svolta dalla prestazione della cauzione o dal pagamento dell'importo corrispondente alle eccedenze di credito, aveva ritenuto che la pretesa fiscale, a seguito del fatto sopravvenuto ravvisabile nel consolidamento del credito richiesto in compensazione dalla società per effetto dell'intervenuta decadenza dell'Amministrazione finanziaria dal potere accertativo, (per decorso dei termini di cui all'art. 57 d.p.r. n. 633 del 1972), benché originariamente legittima, aveva perso qualsiasi giustificazione giuridica ed era, ( quindi, inesigibile, ovviamente anche con riferimento alle sanzioni applicate.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Il regime agevolativo, di natura opzionale, della compensazione dei debiti e crediti IVA sorti in un determinato periodo di imposta in capo a società legate tra loro da rapporti di controllo, introdotto dal d.p.r. n. 633 del 1972, art. 73, ultimo comma, combinato con il d.m. Finanze 13 dicembre 1979 n. 11056, consiste nella facoltà attribuita alla società controllante di determinare l'imposta da versare o il credito del gruppo tenendo conto dei debiti e dei crediti derivanti dalle liquidazioni di tutte le società partecipanti e da queste trasferite al gruppo. In pratica, oltre all'ordinaria modalità di rimborso delle "eccedenze di credito", i gruppi societari possono ricorrere alla compensazione, totale o parziale, con i debiti di imposta risultanti a carico della società controllata o della società controllante (Cass. n. 28692 del 2005). Attraverso il richiamo recettizio delle disposizioni del 2° comma dell'art. 38-bis, d.p.r. n. 633/72 (vigente ratione temporis), operato dal citato decreto ministeriale (art. 6, 3° comma, prima parte) il sistema di recupero delle eccedenze di credito infragruppo si completa con l'imposizione alla società il cui credito sia stato estinto in sede di dichiarazione annuale, della prestazione di una garanzia diretta a tutelare l’Amministrazione Finanziaria in ipotesi di inesatta definizione del rapporto fiscale. Oltre alla cauzione (in titoli di Stato o garantiti dallo Stato) ed alla fideiussione (rilasciata da un'azienda o istituto di credito) o polizza fideiussoria (rilasciata da istituto o impresa di assicurazione), la sopra indicata disposizione prevede, esclusivamente per i "gruppi di società", che "la garanzia può essere prestata mediante diretta assunzione da parte della società capogruppo o controllante ... della obbligazione di integrale restituzione della somma da rimborsare, comprensiva dei relativi interessi". L'ultima parte del 3° comma dell'art. 6 del d.m. del 1979 disciplina, poi, l'ipotesi patologica - rilevante nel caso qui vagliato - della mancata prestazione di una di dette garanzie, stabilendo che "l'importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate deve essere versato all'ufficio entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale".

Tale disposizione non introduce né una terza forma di garanzia per l'Erario (peraltro sovrapponibile al già previsto pagamento c.d. sostitutivo dell'importo corrispondente alle eccedenze di credito), né una "sanzione" per l'omessa prestazione dì una delle garanzie espressamente indicate dal citato art. 38 bis (cauzione o fideiussione), costituendo, invece, il versamento cui è tenuta la società "null'altro che l'adempimento dell'obbligazione fiscale incombente sul gruppo" (così in motivazione Cass. sent. n. 4843 del 2015); in pratica, quella cui sarebbe stata tenuta la società nell'ipotesi in cui non avesse fatto ricorso al procedimento di utilizzo del credito infragruppo.

1.3. L'orientamento di questa Corte è consolidato nel ritenere che l’indebita compensazione equivale ad un mancato pagamento dell'imposta, stante il carattere obbligatorio della prestazione di garanzia, senza la quale la fattispecie compensativa non si realizza (cfr., da ultimo, Cass. n. 4844 del 2015, nonché Cass. n. 28692/2005, n. 6835/2009, n. 8034/2013, n. 27200/2013, n. 4843/2015 già citata e n. 15060 del 2014, secondo cui in questi casi "non essendosi prodotto l'effetto della compensazione resta efficace l'obbligo di versamento dell'imposta").  Tale orientamento merita  di essere confermato essendo del tutto condivisibile; così come condivisibile è la conseguenza che dette pronunce hanno fatto discendere da tale inadempimento e, cioè, applicabilità delle sanzioni previste dall'art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997.

E' pur vero che l'inapplicabilità della sanzione, prevista per l'omesso versamento dell'imposta risultante dalla dichiarazione annuale, alle ipotesi dì mancato versamento della cauzione o del sostitutivo pagamento delle eccedenza di credito, è stata predicata da due pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 21515 del 2010 e, precedentemente, Cass. n. 2868 del 2005), alla prima della quale ha pure fatto riferimento la ricorrente per sostenere la sopravvenuta inesigibilità della pretesa impositiva e sanzionatoria dell'Amministrazione  finanziaria per intervenuta decadenza del potere accertativo, una volta decorsi i termini di cui all'art. 57 d.p.r. n. 633 del 1972. Esaltando la funzione di garanzia, per il fisco, sia della prestazione della cauzione che dell'alternativo pagamento dell'importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate, la Corte di cassazione in dette pronunce ha escluso l'applicazione analogica delle sanzioni previste per il caso di omesso versamento, totale o parziale, dell'imposta risultante dalla dichiarazione annuale, al caso di mancata prestazione della garanzia, per insussistenza della "eadem ratio" e, soprattutto, per rispetto del principio di stretta legalità (Cass. n. 28689 citata).

Trattasi di argomentazione che questo Collegio non condivide perché, così come efficacemente spiegato nella più recente pronuncia n. 15060 del 2014, "dalla natura cautelare della prestazione di cauzione, o del sostitutivo pagamento delle eccedenze, non discende l'inapplicabilità delle sanzioni per il caso di omesso versamento dell'imposta perché, fermo restando la natura dei detti adempimenti, in mancanza di essi, come precisato da Cass. n. 8034 del 2013, non ha luogo la fattispecie compensativa. Non essendosi prodotto l'effetto della compensazione resta efficace l'obbligo di versamento dell'imposta. L'applicazione della sanzione si collega dunque all'inadempimento dì quest'ultimo obbligo, e non all'omessa prestazione della cauzione o all'omissione del pagamento sostitutivo". Ed allora non vi è neanche motivo di ipotizzare l'inesigibilità della pretesa impositiva sopravvenuta al definitivo consolidamento delle poste debitorie e creditorie a seguito di intervenuta decadenza dell'Amministrazione finanziaria dal potere accertativo, perché tale fatto sopravvenuto può elidere la funzione di garanzia riconosciuta alla prestazione di cauzione o dell'alternativo pagamento delle eccedenza di credito (come ritenuto dalla giurisprudenza minoritaria di cui si è detto sopra) ma non il già verificatosi inadempimento dell'obbligazione tributaria. In questo caso la società contribuente potrà richiedere con le ordinarie modalità e nei tempi di decadenza previsti, il rimborso del credito per il quale la procedura di compensazione non si era perfezionata.

1.4. Infine, deve annotarsi che il riferimento fatto dalla ricorrente, seppur in maniera assai larvata, a profili di contrarietà della sanzione ex art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997, applicata in ipotesi come quella in esame, ai principi costituzionali e a quelli generali del diritto europeo, tra cui quello di proporzionalità, oltre ad essere del tutto privo di fondamento, é assolutamente generico. Invero, la ricorrente non spiega quali siano i profili di incostituzionalità o di contrarietà della disposizione ai principi generali del diritto dell'Unione, e non consente a questa Corte di verificare il rispetto del principio di proporzionalità applicato al caso concreto, non avendo indicato l'entità della sanzione inflitta. In ogni caso, la misura prevista dalla disposizione censurata ("pari al trenta per cento dì ogni importo non versato"), rapportata alla natura dell'infrazione sanzionata, non sembra in alcun modo ledere il citato principio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 nonché degli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all'art. 360 n. 3, c.p.c., si duole della negata possibilità di definizione agevolata della sanzione inflittale con gli atti di recupero emessi dall'Agenzia delle entrate ai sensi della legge n. 311 del 2004, art. 1, comma 421.

2.1. Il motivo è infondato in quanto l'art. 17, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 esclude espressamente l'applicazione della "definizione agevolata prevista nel comma 2 e nell'articolo 16, comma 3" per le sanzioni inflitte per omesso pagamento dei tributi, che è proprio il caso di specie. Né è applicabile, come sostenuto dalla ricorrente in udienza, l'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 462 del 1997, che consente al contribuente di ottenere la riduzione della sanzione dì un terzo, laddove provveda al pagamento entro trenta giorni dalla comunicazione dell'invito al pagamento, non risultando che la società contribuente abbia provveduto al pagamento nel suddetto termine, bensì nel corso del giudizio (come si legge nella parte in fatto della sentenza impugnata).

3. In applicazione della regola della soccombenza la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate come in dispositivo ai sensi del d.m. 55/2014. In forza del disposto di cui all'art. 13, co. 1 bis e quater, d.p.r. 115/2002, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in 18,000,00 euro per compensi, oltre spese prenotate a debito. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.