Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 marzo 2016, n. 6015

Licenziamento per giusta causa - Dirigente - Sms con contenuto offensivo - Giustificazioni - Applicabilità del CCNL

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'Appello di Cagliari, con la sentenza n. 209 del 2012, rigettava l'appello proposto dall'ing. V.N. nei confronti del Consorzio di Bonifica del Basso Sulcis, in ordine alla sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Cagliari, in data 13 aprile 2010, e accoglieva l'appello del Consorzio dichiarando legittimo il licenziamento irrogato nei confronti del V. per giusta causa.

2. Il V. aveva lavorato come direttore generale alle dipendenza del Consorzio di Bonifica del Basso Sulcis con rapporto di lavoro regolato dalle norme contenute nel CCNL per i dirigenti dei Consorzi di Bonifica.

Con lettera del 2 agosto 2006 del Commissario straordinario gli veniva contestato di aver inviato, in due date di luglio, degli sms all'utenza privata del Commissario straordinario di contenuto offensivo (sms 13 luglio 2006: "uomo venale, ipocrita falso, cretino falso ignorante, nullatenente, ex Dc, buono a nulla, mi spiace ma lei è fottuto"; sms 29 luglio 2006: "se leggi messaggi sappi che sei un coglioncello in quaquaraquà, se non lo sapevi o lo sapevi te lo dico io").

In data 8 agosto 2006 il V. aveva offerto le proprie giustificazioni, in particolare trattandosi di sfogo fuori dalle righe perché sotto pressione.

Con lettera del 29 gennaio 2007 del Commissario straordinario era stato licenziato in tronco per giusta causa, ex art. 5 del CCNL di categoria in esito al parere favorevole espresso dalla Commissione prevista dal suddetto CCNL per i procedimenti disciplinari a carico dei dirigenti.

3. Il Tribunale di Cagliari con la suddetta sentenza del 13 aprile 2010 riteneva indiscutibile l'applicabilità del CCNL fin dall'avvio del procedimento, ma riteneva illegittimo il licenziamento in quanto il fatto non rientrava tra le giuste causa elencate nell'art. 5, dell'allegato H, del CCNL, ma era sussumibile nell'ipotesi di cui alla lettera h, dell'art. 4, dell'allegato H, del CCNL, per la quale era prevista la sospensione dal servizio fino a tre giorni.

4. Entrambe le parti proponevano appello; il datore di lavoro perché fosse accertata la legittimità del licenziamento; il lavoratore per la declaratoria di reintegra, esclusa dal Tribunale senza tener conto che l'art. 81 del CCNL garantiva la stabilità del rapporto di lavoro del dirigente.

5. La Corte d'Appello riteneva fondato l'appello del Consorzio, in quanto il fatto contestato andava ricondotto alla nozione di giusta causa ex art. 2119 cc, e rigettava l'appello del lavoratore, in quanto non vi era più spazio per la tutela reale.

6. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il lavoratore con tre motivi.

7. Resiste con controricorso il Consorzio.

 

Motivi della decisione

 

1. Preliminarmente va rilevato che nel dispositivo della sentenza di appello si legge: "accoglie l'appello proposto con ricorso 13.4.2010 dal Consorzio di bonifica del Basso Sulcis e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara illegittimo licenziamento per giusta causa intimato a V.N.".

L'espressione "illegittimo" invece di "legittimo" deriva da una semplice svista o lapsus calami. Ed infatti le odierne parti nel riportare il contenuto della decisione impugnata e nel formulare i motivi di impugnazione e le difese, si riferiscono alla intervenuta declaratoria di legittimità del licenziamento irrogato al V., da parte della Corte d'Appello, come si evince dal tenore complessivo della sentenza.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 cc, nonché del CCNL di categoria; omessa e/o contradditori motivazione, ex art. 360, n. 3 e n. 5, cpc.

Il ricorrente, nel ripercorrere le previsioni del CCNL (in particolare, art. 4 e 5 dell'allegato H al CCNL), censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha sussunto la condotta oggetto della contestazione disciplinare nella nozione di giusta causa, mentre la stessa andava riferita alla previsione di cui all'art. 4, lettera h), dell'allegato H del CCNL di settore, che stabiliva una sanzione non espulsiva per la "denigrazione dell'Amministrazione consortile o dei superiori".

Assume che la fonte collettiva, a cui è rimessa la valutazione del rapporto di proporzionalità tra condotta e sanzione, evidenzia un elevato grado di specificità nella determinazione delle sanzioni, per cui le ipotesi ivi contenute non possono essere considerate meramente esemplificative. La massima sanzione è prevista solo per condotte che si connotino per la loro valenza assolutamente negativa nei confronti del Consorzio e che arrechino un grave pregiudizio patrimoniale al Consorzio.

Né poteva ritenersi che la condotta contestata non fosse ricompresa in alcun modo nella suddetta elencazione.

La stessa non riferibile, come ritenuto dal Tribunale, all’art. 5, andava riportata nell'art. 4, lettera h), "denigrazione dell'Amministrazione consortile o dei superiori".

Erroneamente, la Corte d'Appello aveva fatto applicazione dell'art. 2119 cc, ove richiama la nozione di giusta causa, nonché dell'art. 2106 cc in relazione alla proporzionalità della sanzione disciplinare, erroneamente e falsamente interpretando le norme del CCNL di categoria, espressamente applicate al rapporto di lavoro.

Ed infatti se l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenute nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa, tuttavia il datore di lavoro non può irrogare una sanzione espulsiva quando la stessa, come nella specie, costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo, in relazione ad una determinata infrazione.

2.1. Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 9223 del 2015, n. 13353 del 2011), in materia di licenziamento disciplinare, un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, qualora sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, non può formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, salvo che non si accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di - maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva.

Tale principio deve, tuttavia, essere letto tenendo presente che (Cass., n. 4060 del 2011, n. 5372 del 2004) la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore; per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.

Dunque, la mancata riconducibilità della condotta contestata alle previsioni disciplinari contrattuali, non esclude che la stessa possa essere sussunta nella giusta causa di cui all’art. 2119 cc, come ha ritenuto la Corte d'Appello con corretta e congrua motivazione.

La stessa infatti, ha riformato la sentenza di primo grado, che nell'escludere che il fatto contestato rientrasse nelle ipotesi di licenziamento elencate nell'art. 5 del CCNL, aveva ritenuto che era sussumibile nella lettera h) dell'art. 4, come denigrazione dell'amministrazione consortile o dei superiori, sanzionata con la sospensione fino a tre giorni.

Affermava la Corte d'Appello, con giudizio di merito adeguatamente motivato, che le gravi offese indirizzate al Commissario straordinario, possibili di condanna penale, non potevano confondersi con una semplice denigrazione, senza rilevanza penale punita con la più mite sanzione.

La circostanza che tale condotta non rientrasse nelle giuste cause di licenziamento di cui all'art. 5 del CCNL non assumeva rilievo, atteso che detta elencazione aveva solo carattere esemplificativo e non escludeva la sussistenza di giusta causa per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile che avesse fatto venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Nella specie, la Commissione di disciplina aveva correttamente osservato che le espressioni indirizzate dal dirigente al commissario straordinario erano di gravità estrema, nella forma, scurrili nei contenuti, aggressivi, minacciosi ingiuriosi.

Va rilevato, in proposito, che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci affermando ripetutamente (come ripercorso in Cass., n. 6498 del 2012, n. 5095 del 2011) che per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell’elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.

Il giudizio è rimesso al giudice di merito la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi (Cass., n. 21965 del 2007) al riguardo che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr., altresì, ex plurimis, Cass. n. 7948 del 2011, n. 6823 del 2004).

In tema di ambito dell'apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

A sua volta, Cass. n. 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 c.c., (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di merito - ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento - mediante riferimento alla "coscienza generale", è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e, come nella specie, contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza de! predetto giudizio rispetto agli "standards", conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 21633 del 2013).

3. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione del CCNL di categoria. Omessa e/o contraddittoria motivazione (art. 360, n. 3 e n. 5, cpc) vizio di motivazione.

Ad avviso del ricorrente, l'intero procedimento sarebbe illegittimo ed inefficace in ragione dell'obbligo di sospensione di cui all'art. 9, dell'allegato H al CCNL di categoria, che prevede: "qualora per il fatto addebitato al dirigente sia stata iniziata l'azione penale, il procedimento disciplinare non può essere proposto fino al termine di quello penale, e se già iniziato, deve essere sospeso, salve le sospensioni cautelari di cui agli articoli precedenti".

In ragione della intervenuta denuncia querela da parte del Commissario straordinario nei confronti dell'ing. V. il procedimento disciplinare non sarebbe potuto nemmeno iniziare.

La Corte d'Appello, inoltre aveva sottovalutato la autonoma ragione di invalidità del procedimento relativa alla posizione del Commissario che, soggetto passivo della condotta contestata, aveva anche condotto il procedimento disciplinare e assunto il provvedimento disciplinare finale.

Tale condotta aveva violato il generale principio di terzietà della azione disciplinare che deve applicarsi a qualunque soggetto pubblico organizzato in forma privatistica.

3.1. Il motivo non è fondato.

L'art. 9 dell'allegato H del CCNL di settore prevede "Qualora per il fatto addebitato al dirigente sia stata iniziata azione penale, il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso, salve le sospensioni cautelari di cui agli articoli precedenti".

A tale disposizione non ha contravvenuto la Corte d'Appello atteso che la stessa rilevava come la querela era stata prontamente rimessa e non era intervenuto "inizio dell'azione penale" ai sensi dell'art. 405 cpp, secondo cui il pubblico ministero esercita l'azione penale formulando l'imputazione ovvero con richiesta di rinvio a giudizio.

L'art. 1 del medesimo allegato H, a sua volta prevede che i provvedimenti disciplinari devono essere adottati dal competente organo collegiale del Consorzio, ed è poi previsto dall'art. 5 il parere vincolante di una specifica Commissione.

Pertanto, non è ravvisabile la dedotta lesione del principio di terzietà, atteso che, come affermato dalla Corte d'Appello, il Commissario straordinario si limitava ad adottare il provvedimento di licenziamento in conformità al parere vincolante espresso dalla Commissione prevista dal CCNL.

Ai sensi dell'art. 5, dell'allegato H, il licenziamento in tronco è adottato dall'Amministrazione consortile esperita la procedura dì contestazione degli addebiti, sulla base del parere di un’apposita Commissione composta da: un rappresentante del Consorzio designato dal Consorzio stesso; un rappresentante del dirigente, designato a pena di decadenza entro il termine di 15 giorni, decorrenti dalla data di ricezione della richiesta del Consorzio effettuata con lettera raccomandata a.r., dalla delegazione regionale dell'Organizzazione nazionale firmataria del presente contratto cui il dipendente sia iscritto o abbia conferito mandato; un terzo membro, con funzioni di Presidente designato dall'Assessorato regionale al lavoro della Regione ove ha sede il Consorzio ovvero, in mancanza di tale designazione, dalla Prefettura della Provincia ove ha sede il Consorzio. Nell'ipotesi di mancata designazione nei suddetti termini del rappresentante del dipendente, tale designazione è devoluta all'Organizzazione sindacale nazionale cui il dipendente sia iscritto od abbia conferito mandato, su richiesta del Consorzio e con gli stessi termini dì cui al precedente comma.

Dunque sussistono le necessarie garanzie di terzietà.

4. Il terzo motivo di ricorso verte sulle conseguenze della illegittimità del recesso e sulle relative domande ripristinatorie.

Assume il ricorrente che, ai sensi dell'art. 81 del CCNL di categoria, all'illegittimità del licenziamento consegue l'obbligo ripristinatorio del rapporto di lavoro in capo al Consorzio.

4.1. Al rigetto dei precedenti due motivi di ricorso, consegue il rigetto del presente motivo.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro tremila per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 per cento, IVA e cpa.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.