Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE MILANO - Sentenza 04 febbraio 2016, n. 1067

Tributi - TARSU - Cartella di pagamento non precedetua dalla notifica di un avviso di accertamento - Nulla

 

Con ricorso depositato il 12 dicembre 2013, la ricorrente società (...) impugnava la cartella di pagamento e il relativo ruolo in epigrafe, notificati in data 9 agosto 2013, eccependone la nullità, illegittimità, l’erroneità delle richieste ivi contenute nonché i presupposti del potere impositivo del Comune. In primis, eccepiva l’illegittimità della cartella per mancanza della notifica dell’avviso di accertamento, quale atto necessario e prodromico all’emissione della cartella. Infatti continuava la ricorrente, nessun avviso di accertamento o di liquidazione del tributo era pervenuto e, stante l’illegittimità derivante da questo, ne sottolineava l’ulteriore illegittimità, per via dell’impossibilità del destinatario della cartella, di potersi difendere. In via subordinata rilevava la possibilità per la ricorrente di procedere ad impugnare tale cartella, dato che la stessa, costituiva il primo atto con cui il contribuente veniva a conoscenza della volontà dell’amministrazione.

Eccepiva poi, illegittimità della cartella e del relativo ruolo per scarsa chiarezza e carenza di motivazione, in quanto la stessa riportava solamente la seguente dicitura: 2.238 XXXX E 2,290000 via (...). Per via di questa dicitura la ricorrente evidenziava come, era impossibile, comprendere i criteri di determinazione del tributo. Aggiungeva poi, che non era suo compito cimentarsi in una ricostruzione dell’operato dell’amministrazione e che, il contenuto della cartella, al pari di un avviso di accertamento, deve avere un contenuto intellegibile al fine di porre il contribuente nella condizione di verificare l’assenza di abusi o violazioni. Citava a riguardo della giurisprudenza conforme.

Eccepiva poi l’illegittimità del tributo per via di quanto segue. Citava il c.d. Ronchi (D.lgs. 22/97), nello specifico l’art. 49 che prevedeva la soppressione della TARSU, sostituita dalla TIA, con decorrenza dal gennaio 1999, ma che, a seguito di numerosi e copiosi interventi di rinvio e modifiche, la Tarsu è rimasta applicabile fino al 2009, data in cui vi è stata l’ultimo proroga espressa con la finanziaria per il 2007. Dunque, continua la ricorrente, per l’anno 2012 (qui in contestazione) tale proroga espressa era mancata, sancendo di fatto, la decadenza del citato regime transitorio. Eccepiva dunque, la mancanza del presupposto applicativo secondo il quale, tale tributo doveva essere applicato e continuava evidenziando l’incostituzionalità dell’art. 14, comma 7, del D.lgs. 23/11, che prevedeva l’applicabilità dei regolamenti comunali previgenti - sancendo la debenza di un tributo, sulla base di un regolamento comunale - fino ad un nuovo intervento legislativo. Invocava per tale motivo, la dichiarazione di illegittimità del regolamento comunale di (...) con il quale lo stesso, dal 2010, riscuoteva illegittimamente tale tributo.

Eccepiva poi, la mancanza del presupposto per l’applicabilità del tributo per vari motivi tra cui:

Il fatto che nella zona del Comune ove insisteva l’attività produttiva, non risultava attivato nessun servizio di rimozione dei rifiuti e che, ogni azienda o insediamento produttivo insistente in quella zona, provvedeva autonomamente allo smaltimento. Richiamava a sé l’affermazione del Comune, fatta in pendenza di giudizio per anni pregressi, che se il servizio non era istituito il contribuente ha diritto ad una diminuzione del tributo nell’ordine del 40 %.

Eccepiva poi che, per la corretta determinazione della riduzione di cui sopra, si doveva prima addivenire alla corretta determinazione dell’importo globale dovuto che, a sua volta, richiedeva la corretta determinazione della superficie tassabile. Ebbene, continuava la ricorrente, il Comune era caduto in errore anche per ciò che concerne tale ultimo aspetto. Richiamava a sé le superfici denunciate in data 8 febbraio 2002 e la relativa modifica del 2004, indicando come il Comune avesse, indiscriminatamente contemplato ed assoggettato a tassazione, tutta la superficie a disposizione della società, pari a mq. 2.238,1. Spiegava che i residui della lavorazione, quando non recuperati per il riuso, venivano smaltiti dalla società stessa, secondo le indicazioni di legge. Aggiungeva poi che il comune era a piena conoscenza dell’attività svolta dalla ricorrente e delle modalità con cui la stessa procedeva a smaltire i rifiuti. Aggiungeva altresì, che il Comune non aveva assimilato i rifiuti, quali quelli prodotti dalla società ricorrente, a quelli solidi urbani e, pertanto, le superfici produttive di tali rifiuti non erano tassabili. Citava l’art. 39 del regolamento comunale che sanciva la non tassabilità delle aree produttive di rifiuti speciali e non assimilati a quelli solidi urbani. In tale senso richiamava a sé copiosa giurisprudenza e dottrina. Precisava poi che, secondo il Ministero delle Finanze (Circ. 268/E/95 e 407E/96), nella nozione di superfici operative tassabili non rientrano anche le aree adibite a deposito/uffici della lavorazione principale. Dunque, a dire della ricorrente, non rientravano nella superficie tassabile né i depositi e gli uffici, né il deposito o magazzino. Anche nel caso in cui si dichiarasse tassabile tale superficie la ricorrente, evidenziava come, i rifiuti prodotti da tale aree, erano smaltiti dalla società terza, incaricata della pulizia di tali aree, come specificato nella denuncia sopra richiamata. Eccepiva ancora e riferendosi sempre al regolamento comunale (art. 38, doc. 2) che, la superficie tassabile era commisurata alla superficie calpestabile. A tal fine la società lamentava il fatto che il Comune avesse considerato calpestabile ogni metro quadro, omettendo di considerare quanto esposto nella denuncia ovvero che, gran parte della superficie è occupata da macchinari e deposito di bobine e materiale utile alla produzione che, di per sé impedisce, il calpestamento. Aggiungeva poi che, la contribuente aveva fornito, in modo tempestivo e spontaneo, tutti gli elementi richiesti dalla normativa e che il Comune non li aveva contestati, ignorandoli, semplicemente, in toto. Concludeva portando all’attenzione il fatto che la CTP adita e per gli anni che vanno dal 2002 al 2009, ha sempre riconosciuto alla società ricorrente una superficie tassabile pari al 40 % della totale. Chiariva che aveva proceduto a pagare quanto richiesto nella cartella, in quanto titolo esecutivo, ma che tale comportamento non definiva acquiescenza con il Comune. Chiedeva la dichiarazione di nullità della cartella e del relativo ruolo o la rideterminazione del dovuto secondo quanto esposto in narrativa, nonché il rimborso di quanto versato.

In data 6 marzo 2014 il concessionario per la riscossione si costituiva in giudizio eccependo in primis, la carenza di legittimazione passiva della stessa. Dava atto che - con i due distinti pagamenti del 7 ottobre 2013 e del 19 dicembre 2013, operati a saldo della cartella da parte dell’odierno ricorrente - si era avuta piena ricognizione del debito e che, quindi, spettava al ricorrente provare che tali importi non erano dovuti. Per quanto sopra chiedeva il rigetto del ricorso.

Presente all’udienza il difensore abilitato della società che ha insistito nelle proprie richieste ed eccezioni. Assente il funzionario del concessionario.

La Sezione giudicante così decide. L’odierna contestazione verte sulla cartella esattoriale che è stata notificata alla società, riportante a ruolo il pagamento della tassa smaltimento e tributo provinciale, anno 2012, di complessivi € 5.894,00.

Aspetto procedurale

A giudizio di questo Giudice, la cartella doveva essere preceduta dalla notifica alla società dell’avviso di accertamento, quale atto prodromico all’atto qui impugnato. La cartella è un mezzo di pagamento delle imposte e tributi vari, ma il documento che fa sorgere l’obbligazione tributaria, se non è disposto diversamente dalla legge, é l’avviso di accertamento. Infatti, per avviso di accertamento si intende quel documento emesso dall’ente impositore, dell’amministrazione pubblica, quale strumento che porta a conoscenza del contribuente la pretesa tributaria, Ed è poi con il pagamento della cartella esattoriale che si estinguere l’obbligazione tributaria stessa. Nel caso de quo, l’avviso di accertamento non è stato notificato e, pertanto, tale omissione non ha messo in condizioni il contribuente di conoscere, per filo per segno la base imponibile su cui veniva a costituirsi la tassa stessa. Ed è per questo che il ricorso viene accolto in quanto, con la sola cartella esattoriale emessa, il Comune non ha permesso all’odierna società di conoscere i conteggi e la metratura utilizzata per calcolare la relativa tassa. L’ufficio tributi del Comune avrebbe dovuto segnalare la superficie in modo dettagliato (ufficio, laboratorio, aree di parcheggio, servizi, depositi e magazzini, spogliatoi, aree scoperte operative e quant’altro di utile) per quantificare la tassa di smaltimento da pretendere dalla ricorrente stessa.

Il tutto con specifico richiamo alla misurazione indicata dalla società nella denunzia di inizio attività, a suo tempo presentata, ovvero ad altra denunzia di variazione dati, eventualmente prodotta in caso di modifica di estensione iniziale, avvenuta successivamente. La pseudo indicazione di dati, così stringata, che appare sulla cartella esattoriale qui impugnata non può sostituire la motivazione che l’ufficio avrebbe dovuto stendere con la redazione dell’avviso di accertamento. Nel caso de quo, più che di motivazione si dovrebbe parlare di indicazione e specificazione di metrature varie che devono essere assoggettate a tassazione secondo le tariffe attribuite a ogni categoria o sottocategorie espressamente indicate dal regolamento comunale, esistente nel territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato, o comunque reso in via continuativa. L’ufficio non avendo seguito tale strada, ed avendo emesso subito la cartella esattoriale, non ha ottemperato neppure al proprio regolamento comunale per l’applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, allegato in copia fotostatica al ricorso stesso, laddove all’art. 57 del medesimo (pag. 20) allegato al fascicolo processuale, così afferma: "Riscossione - Per la riscossione del tributo ed addizionali, degli accessori e delle sanzioni, trova applicazione l’art. 72 del D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507. Detto articolo, così recita: L’importo del tributo ed addizionali, degli accessori e delle sanzioni, liquidate sulla base dei ruoli dell’anno precedente delle denunce presentate e degli accertamenti notificati, nei termini di cui all’art. 71...". Ebbene, la legge stabilisce che deve essere emesso l’avviso di accertamento e, come ben si vede, l’ufficio non è stato rispettoso del proprio regolamento. Con l’emissione della sola cartella esattoriale il Comune ha agito in modo difforme da quanto dallo stesso statuito. Sono queste le ragioni per le quali il ricorso viene accolto ed annullata in toto la cartella qui impugnata. Le spese di lite seguono la soccombenza per il Comune, come da dispositivo.

Merito

La parte di merito viene assorbita dall’aspetto procedurale sopra trattato.

Il Collegio giudicante.

 

P.Q.M.

 

Annulla la cartella esattoriale impugnata e condanna il Comune alle spese liquidate in € 1.000,00 oltre esborsi e accessori di legge.