Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 marzo 2016, n. 5976

Tributi - Accertamento in base ai parametri - Rideterminazione del reddito imponibile - Mancata considerazione della documentazione opposta dalla contribuente - Illegittimità dell’accertamento

Svolgimento del processo

S.A. propose ricorso avverso avviso di accertamento per l'anno d'imposta 1999, con cui era stato rideterminato il reddito in base ai parametri di cui al DPCM 29 gennaio 1996. La CTP accolse il ricorso. L'appello dell'Ufficio fu rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania sulla base della seguente motivazione.

"L'Ufficio ha applicato i parametri attribuibili con riferimento alle specifiche caratteristiche dell'attività svolta, ma non ha tenuto in alcun conto quanto evidenziato e documentato dalla contribuente....  La ricostruzione del reddito accertato non può prescindere dall'esame obiettivo dell'attività economica svolta dalla contribuente, con la conseguenza che i dati ottenuti attraverso l'applicazione dei parametri devono essere rapportati con le scritture contabili, con l'attività effettivamente svolta, con le caratteristiche dell'attività professionale, tenendo presente che il fine ultimo dell'accertamento è quello di quantificare, nella realtà, la capacità contributiva del soggetto. A tal fine appare predisposta la possibilità di contrastare la presunzione legale opposta dall'amministrazione con qualunque atto, fatto o circostanza idoneo a confutare la pretesa tributaria. L'atto impositivo deve contenere una valutazione che evidenzi i momenti ricognitivi e logico-deduttivi essenziali che hanno determinato la sua emanazione anche in relazione alla documentazione esibita dalla contribuente relativamente agli incarichi espletati ed alle dichiarazioni dei redditi effettuate".

Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la contribuente.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 184, I. n. 549/94, del DPCM 29 gennaio 1996 e degli artt. 39 d.p.r. n. 600/1973 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, l'avviso di accertamento fondato solo sul richiamo ai parametri presuntivi, senza considerazione dell'obiettiva situazione economica del contribuente, è legittimo e che l'onere della prova incombe non sull'Ufficio, ipotizzando la non idoneità e sufficienza dei parametri, ma sul contribuente, che deve provare l'inidoneità dei parametri a rappresentare la sua effettiva condizione reddituale.

Con il secondo motivo si denuncia motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Espone la ricorrente che nella motivazione dell'avviso di accertamento era stata evidenziata la mancata presentazione della contribuente al contraddittorio con l'Ufficio e che nell'atto di appello si era sottolineato che la contribuente non aveva illustrato le ragioni per le quali il suo reddito non si sarebbe incrementato proporzionalmente ai costi sostenuti. Osserva quindi la ricorrente che la CTR non ha esaminato i seguenti punti: l'avviso di accertamento aveva richiamato i parametri presuntivi, nulla avendo dedotto la contribuente invitata in sede di contraddittorio; la mera deduzione di costi aggiuntivi non dimostra un detrimento dei redditi rispetto a quelli rettificati dall'Ufficio.

Stante il suo carattere pregiudiziale, va esaminato dapprima il secondo motivo, attinente al vizio motivazionale. Il motivo è inammissibile. In violazione del principio di autosufficienza la ricorrente non ha specificatamente indicato se, ed in quale sede processuale, abbia dedotto innanzi alla CTR la circostanza della mancata presentazione della contribuente al contraddittorio con l'Ufficio. Sul punto è stato richiamato nel motivo il contenuto dell'avviso di accertamento, ma quanto al contenuto dell'atto di appello non vi sono richiami alla circostanza della mancata presentazione al contraddittorio. Circa la deduzione dei costi aggiuntivi, che avrebbero avuto incidenza negativa sul reddito nell'ottica della contribuente, il quesito di fatto ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., cui deve farsi riferimento per l'identificazione della censura, si esprime nei termini di "mancata prova resa in sede giudiziale dell'incidenza negativa sul reddito". In tali termini però la censura rifluisce in divergenza rispetto alle conclusioni del giudice di merito, e non rimane critica del procedimento logico seguito. L'esame del profilo della congruità probatoria delle deduzioni processuali è precluso nella presente sede di legittimità.

Passando al primo motivo, anche esso è inammissibile. La decisione impugnata si fonda su due rationes decidendi: 1) i parametri devono essere rapportati all'effettiva situazione economica; 2) l'Ufficio non ha tenuto conto di quanto documentato dalla contribuente. Con il motivo in esame si censura la prima ratio decidendi, ma l'impugnazione, così limitata, è priva di decisività in quanto lascia in vigore l'altra ratio decidendi, sufficiente a fondare la decisione. Una volta infatti riconosciuto il principio di diritto dell'autosufficienza del parametro, quale presunzione semplice, ai fini della legittimità dell'atto impositivo, resterebbe la ragione di illegittimità, affermata dalla CTR, della mancata considerazione della documentazione opposta dalla contribuente (trattasi peraltro della ratio decidendi censurata con il primo motivo, afferente al vizio motivazionale, che risulta inammissibile per quanto sopra osservato).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 1.467,50 per compenso, oltre euro 200,00 per esborsi e gli oneri di legge.