Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 marzo 2016, n. 5110

Assegno ordinario di invalidità ex lege n. 222/84 - Domanda - Condizioni - Accertamento - Consulenza tecnica

 

Fatto e diritto

 

La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 14 gennaio 2016, ai sensi dell'art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c.:

"La Corte di appello di Messina, con sentenza del 9 luglio 2012, riformando la decisione del Tribunale di Patti che l'aveva accolta, rigettava la domanda proposta da L.S. ed intesa ad ottenere il riconoscimento dell'assegno ordinario di invalidità ex lege n. 222/84.

Ad avviso della Corte territoriale non ricorreva il requisito sanitario avendo accertato la espletata consulenza tecnica d'ufficio nuovamente disposta in appello un quadro morboso che non riduceva in modo permanente a meno di un terzo la capacità di lavoro dell'assicurato in attività confacenti alle sue attitudini.

Per la Cassazione di tale decisione propone ricorso il L. affidato a tre motivi.

L'INPS resiste con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222 per essersi la Corte di merito adeguata alle conclusioni della consulenza tecnica espletata in appello che aveva valutato la incidenza delle malattie da cui era affetto il ricorrente - avuto riguardo al tipo di attività, artigiano barbiere, dal lui svolta - non con riferimento alla data della domanda amministrativa (e del riconoscimento del beneficio da parte del primo giudice), bensì all'epoca dell'espletamento della CTU.

In tal modo, avendo l'assegno ordinario di invalidità durata triennale ed essendo stato riconosciuto dal Tribunale nel 2005, era cessato il 31 dicembre 2007 sicché nessun accertamento effettuato con riferimento ad epoca successiva poteva avere rilievo ai fini della decisione della controversia. Con il secondo motivo viene lamentata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 191 e 196 c.p.c. in quanto il consulente nominato in grado di appello si era discostato dal mandato ricevuto limitando la propria indagine alla ricorrenza del requisito sanitario richiesto per il riconoscimento della prestazione invocata solo all'epoca dell'espletamento della consulenza e non sin dalla data domanda amministrativa.

Con il terzo motivo viene dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere la Corte di appello negato al ricorrente il diritto all'assegno ordinario di invalidità sulla scorta di una consulenza che non conteneva alcun riferimento alla situazione clinica presente all'epoca della domanda o a quella successiva.

I tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono infondati.

Va rilevato che dalla lettura della motivazione dell'impugnata sentenza emerge che la Corte ha valutato il quadro morboso da cui il L. era affetto ed ha chiaramente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di rigettare la domanda, condividendo le conclusioni cui era pervenuta la consulenza tecnica nuovamente espletata in appello. Peraltro, è evidente che il giudice del gravame ha interpretato nel complesso la detta consulenza ed i chiarimenti resi dall'ausiliare a seguito delle note critiche dell'appellato, giungendo alla conclusione che la incidenza invalidante del quadro morboso riscontrato non era tale da comportare una riduzione della capacità lavorativa dell'assicurato a meno di un terzo, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sin dalla domanda amministrativa.

Si osserva, inoltre, che, per costante insegnamento di questa S.C., in materia di invalidità, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 1472 del 22 gennaio 2013, Cass. n. 1652 del 03/02/2012; id. n. 569 del 12/01/2011; Cass. n. 22707 del 08/11/2010; Cass. n. 9988 del 29/04/2009).

Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., n. 5.". Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Il Collegio condivide pienamente il contenuto della relazione e, quindi, rigetta il ricorso.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell'atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell'obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.