Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 marzo 2016, n. 6012

Licenziamento - Dipendente del supermercato - Uso improprio della fidelity card - Regolamento aziendale - Sproporzione della sanzione espulsiva

 

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da (...) diretta all'accertamento dell'illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole dalla società (...) s.p.a. per aver indebitamente utilizzato la sua tessera (...), in una lunga serie di acquisti effettuati da terzi, illecitamente cumulando su tale tessera un numero di punti utili a conseguire i vantaggi economici previsti dalle disposizioni aziendali.

Avverso tale pronuncia proponeva appello la (...). Resisteva la società.

Con sentenza depositata il 22 novembre 2012, la Corte d'appello di Roma, accoglieva l'appello e per l'effetto dichiarava l'illegittimità del licenziamento (...) in data 15.1.09, ordinando alla società la reintegra della lavoratrice nel suo posto di lavoro, con i provvedimenti conseguenti ex art. 18 L. n. 300\1970, condannando in particolare la società al pagamento, a titolo di risarcimento dei danno, di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società (...) s.p.a., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste la (...) con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., 2119 c.c., oltre ad omesso esame circa fatti emergenti dalla risultanze istruttorie decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, ed a inesistente motivazione (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata aveva erroneamente ricostruito i fatti di causa, anche sulla base di una riduttiva lettura della contestazione disciplinare da cui emergeva che alla (...) era stato contestato l'uso improprio della fidelity card alla stessa assegnata, in quanto in essa avrebbe accumulato punti relativamente a 17 acquisti effettuati da terzi in otto giorni di lavoro, nonostante che l'uso della carta fosse strettamente personale, beneficiando di tre buoni spesa per complessivi €.60,00 che la stessa aveva poi utilizzato; che tali dati emergevano dagli scontrini fiscali e da altri documenti; la sentenza impugnata non aveva poi considerato che la (...) aveva un orario part-time per soli tre giorni alla settimana; che essa era stata assente per malattia solo dal 16 maggio al 7 giugno 2008; che la (...) era a conoscenza dei regolamento relativo all'uso della card, non solo perché affisso nei locali aziendali, ma perché più volte spiegato ai dipendenti dai responsabili. Riporta in ordine a tali fatti ampi brani delle deposizioni testimoniali raccolte.

2- Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 217 e 221 c.c.n.I. del settore terziario; motivazione palesemente inesistente, omesso esame circa fatti emergenti dalla risultanze istruttorie decisivi per il giudizio ed aggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).

Lamenta che la Corte di merito aveva posto a base della decisione fatti non emergenti dall'istruttoria espletata (quali il limitato numero di operazioni, lo stato di salute della (...), la non piena consapevolezza dell'uso improprio della carta aziendale; il suo utilizzo poco dopo il lancio della carta), ovvero in contrasto con essa, ed in particolare con le deposizioni testimoniali, di cui riporta ampi brani.

3.- I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi stante la loro connessione, sono inammissibili, oltre che per non avere la ricorrente prodotto i documenti invocati ed i verbali delle deposizioni testimoniali citate, nonché il c.c.n.I. nel suo testo integrale (ma solo le norme invocate, in contrasto col consolidato orientamento di questa Corte, Cass. 2 luglio 2009 n. 15495, Cass. n. 3894\10, Cass. n. 6732\10, Cass. sez. un. n. 20075\10, Cass. ord. n. 11614\10, Cass. n. 7891\11, Cass. n. 23972 del 2011; Cass. n. 19643\12), per le ragioni che seguono.

3.1- Deve premettersi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394.

E' evidente che nella specie è censurata l'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che infatti la società ricorrente cita frequentemente a sostegno del suo assunto, risolvendosi così in un vizio motivo.

Deve poi rimarcarsi che non può ritenersi correttamente denunciato un vizio di violazione di legge, bensì sempre un vizio motivo, allorquando la censura inerente l'erronea ricognizione e valutazione della fattispecie concreta da parte del giudice di merito sia denunciata sub violazione dell’art. 115 e\o 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 15205\14).

Deve dunque rimarcarsi che "..Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Osserva la Suprema Corte che nella riformulazione dell'art. 360, n. 5 c.p.c. è scomparso ogni riferimento letterale alla "motivazione" della sentenza impugnata e, accanto a) vizio di omissione (seppur cambiato d'ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

La ratio legis è chiaramente espressa dai lavori parlamentari, laddove si afferma che la riformulazione della norma in esame è finalizzata ad evitare l'abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza dei vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall'art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione".

3.2- Il ricorso, composto di 64 pagine, oltre a contenere continue commistioni tra elementi di fatto e di diritto; plurimi riferimenti a deposizioni testimoniali di cui non sono prodotti i relativi verbali, ed a lettere e documenti parimenti non prodotti (cfr. sul punto, Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915; Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569), chiede nella sostanza un inammissibile riesame complessivo, nel merito, dell'intera vicenda, peraltro sovente limitandosi a riportare diversi brani di deposizioni testimoniali, affidando così a questa S.C. il compito di selezionare le parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716).

Deve comunque decisivamente rimarcarsi che la Corte di merito ha indubbiamente esaminato il fatto storico in contestazione: la commissione di irregolarità nell'uso della carta promozionale aziendale (...). Quanto alla gravità della condotta e la sua idoneità a legittimare il licenziamento, questioni di merito e di accertamento dei fatti (Cass. n. 8293\12, Cass. n. 7948\11, n. 1788\11, n. 144\08) oggi sottratte al sindacato di legittimità in base al novellato n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c., la Corte di merito ha ritenuto che i fatti contestati si erano svolti in un limitato periodo di tempo (luglio-agosto 2008), per un limitato numero di operazioni, ed a causa della non esatta conoscenza del regolamento aziendale che disciplinava le modalità di utilizzo della tessera; che l'uso irregolare di quest'ultima era avvenuto nell’imminenza del "lancio" promozionale delle tessere e dunque nei primi momenti di utilizzo delle tessere medesime; ha pertanto ritenuto i comportamenti contestati censurabili, ma non così gravi da legittimare la massima sanzione del licenziamento.

3.3- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 100,00 per esborsi, €. 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. (...)

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso - principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.