Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 gennaio 2016, n. 1462

Tributi - Accertamento analitico-induttivo - Determinazione maggior reddito - Movimentazioni dei conti correnti bancari intestati alla società, alle socie e ad altri soggetti diversamente collegati alla società

 

Svolgimento del processo

 

C. di G.K. & C. s.n.c. e le socie, K.G. e A.M.C., propongono ricorso per cassazione, in sei motivi, avverso la sentenza n. 12/11/2007 della C.T.R. del Veneto.

La decisione impugnata, previa relativa riunione, ha respinto gli appelli delle contribuenti e parzialmente accolto quelli dell'Agenzia avverso tre distinte decisioni (sent. nn. 195/05, 202/05, 205/05) della C.T.P. di Padova. Conseguentemente, in parziale riforma delle sentenze di primo grado (che avevano circoscritto la legittimità degli avvisi alle sole riprese fondate sulle movimentazioni dei conti correnti intestati alla società), ha affermato la legittimità degli avvisi di accertamento rispettivamente notificati alle ricorrenti per ILOR ed IRPEF 1996, quanto alla parte fondata sulle movimentazioni dei conti correnti bancari intestati alla società ed alle socie, e, per converso, la loro illegittimità, quanto alla parte fondata sulle movimentazioni di conti correnti intestati ad altri soggetti, diversamente collegati alla società (in particolare: al fratello delle socie).

La decisione ha, quindi, corrispondentemente disposto la rimodulazione di reddito imponibile e sanzioni.

L'Agenzia resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso le contribuenti - deducendo "violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 32 n. 2 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, in relazione al principio di ragionevolezza ex art. 3 cost. e al principio di capacità contributiva ex art. 53 Costituzione" - sembrerebbero lamentare (v., in particolare, la pag. 24 del ricorso) il mancato riconoscimento in deduzione dei costi correlati al maggior reddito accertato, in quanto necessari alla relativa produzione.

Propongono, al riguardo, il seguente quesito di diritto: "... se il disposto normativo di cui all'art. 32 d.p.r. 600/1973, secondo cui i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell'art. 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legisl. 1995 n. 504 sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti significhi che l'eventuale maggior reddito accertato vada determinato solo ed esclusivamente sulla base di tali elementi o invece debba essere posto a base delle rettifiche e degli accertamenti sempre secondo il fondamentale canone della ragionevolezza ex art. 3 Cost. e conformemente al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.".

Il motivo va disatteso.

Esso si rivela, infatti, inammissibile sia perché corredato da quesito che - sostanzialmente risolvendosi in mera generica richiesta di pronunciamento sull'esistenza della denunziata violazione di legge, ed essendo, peraltro, inidoneo ad esprimere di per se stesso i compiuti termini della proposta censura (cfr. Cass., ss.uu., 3519/08, Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07) - non risponde alle prescrizioni dell'art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis), sia perché del tutto carente con riguardo al requisito di specificità, poiché non fornisce la benché minima descrizione dei pretesi costi né indica le modalità di calcolo del relativo ammontare.

La censura è, peraltro, infondata, non essendo onere dell'Amministrazione provare la ricorrenza dei presupposti delle componenti negative del reddito (cfr. Cass. 16461/13, 3305/09, 4218/06).

Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, le contribuenti censurano la decisione impugnata, sotto il profilo dell'omessa pronunzia e sotto quello della violazione di legge, con riguardo alla dedotta illegittimità dell'accertamento, in quanto espletato con metodo analitico-induttivo anziché con quello induttivo.

In particolare, con il secondo mezzo, le ricorrenti deducono "omessa pronuncia su motivo espressamente riproposto con l'appello incidentale: l’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3)" e formulano il seguente quesito di diritto: "se a fronte di un motivo di doglianza non riproposto compiutamente ma solamente menzionato come fatto storico nell'appello principale, ma poi compiutamente riproposto nell'appello incidentale, il Giudice possa pronunciarsi solo su quanto narrato nell 'appello principale omettendo di pronunciarsi su tutta la domanda quale ampiamente ripresentata con l'appello incidentale".

Con il terzo mezzo, le ricorrenti deducono "nullità del procedimento: omesso esame di un motivo di appello contenuto nell'appello incidentale (art. 360 n. 3)" e ripropongono il medesimo quesito di diritto in precedenza riportato.

Con il quarto mezzo, i ricorrenti deducono "violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 39, comma 2, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, dell'art. 3 cost. e dell'art. 53 cost. (art. 360. n. 3, c.p.c.)" e formulano il seguente quesito di diritto: "se a fronte di una contabilità a giudizio dell’Ufficio completamente inattendibile la determinazione del maggior reddito debba avvenire a mezzo di un accertamento analitico ex art. 39, comma primo, soprattutto quando i risultati sono abnormi, al di fuori della logica economica riferibile alla società, non appaganti sul piano logico e quindi violano anche il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., o se debba avvenire a mezzo di un accertamento induttivo ex art. 39, comma secondo, del DPR 1973 n. 600, con ogni conseguente determinazione".

Il quarto motivo, in disparte profili d'inammissibilità con riguardo all'idoneità del quesito di diritto proposto ed alla compiuta specificità della censura, è infondato.

Invero - per consolidata giurisprudenza di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi (cfr., tra le altre, Cass. 13430/12 e 19258/05) - in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il contribuente non ha interesse a contestare l'emissione nei suoi confronti, da parte degli Uffici finanziari, di un accertamento analitico, invece che di un accertamento induttivo o sintetico, posto che l'eventuale adozione di questo implicherebbe per lui minori garanzie di quelle correlabili all'accertamento analitico.

L'infondatezza del quarto motivo ed il suo conseguente rigetto comporta, nella prospettiva dell'applicazione del criterio di cui a Cass., ss.uu. 9936/14 e 26242/14 l'assorbimento del secondo e del terzo motivo.

Con il quinto mezzo, le ricorrenti - deducendo "omessa instaurazione del contraddittorio di cui all’art. 32, primo comma, n. 2, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (art. 360 n. 3 c.p.c.)" - lamentano l'illegittimità degli accertamenti per difetto di contraddittorio, essendo questo, in concreto stato indebitamente delegato alla G.d.F.. Formulano il seguente quesito di diritto: "se sia legittimo l'accertamento di pretesi ricavi desunti dall'esame dei conti correnti bancari in caso di contraddittorio svolto solo da soggetti diversi dall'Agenzia delle Entrate sulle singole movimentazioni dei conti correnti bancari con conseguente delega dell'attività di accertamento a soggetto non legittimato".

La censura si rivela inammissibile sia per la violazione dell'art. 366 bis c.p.c., per ragioni del tutto analoghe a quelle esposte a proposito della valutazione del primo motivo di ricorso, sia perché, implicando denunzia di violazione di legge, presuppone inammissibilmente una situazione di fatto (assenza di contraddittorio) incompatibile con quanto risultante dalla decisione impugnata, che (a pag. 9) dà atto della circostanza (non contrastata in ricorso) dell'avvenuto svolgimento di contraddittorio amministrativo in sede di accertamento con adesione.

Con il sesto mezzo, i ricorrenti - deducendo "omesso rilascio dell'autorizzazione alla trasmissione all'Agenzia delle Entrate della ricorrente, oltre che dell'autorizzazione all'utilizzo a fini fiscali, della documentazione bancaria acquisita nel corso di indagine di p.g. condotta nei confronti di altro soggetto: art. 33, terzo comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (art. 360 n. 3 c.p.c.)" - sembra lamentare che l'autorizzazione dell'A.G. alla G.d.F. circa l'utilizzo a fini fiscali di atti del procedimento penale non basti a legittimare l'accertamento, essendo necessaria ulteriore autorizzazione nei diretti confronti dell'Agenzia locale.

Formulano il seguente quesito di diritto: "... se sia legittima la trasmissione della documentazione bancaria acquisita nel corso di indagine di P.G. a carico di un diverso soggetto, all'Agenzia Entrate competente per un soggetto invece estraneo all'indagine di P.G., in presenza di un'autorizzazione dell'A.G. all'utilizzo a fini fiscali, ma in assenza di autorizzazione dell’A.G. alla trasmissione all'Agenzia Entrate".

In disparte l'inadeguatezza del quesito, la doglianza si rivela infondata.

Deve, invero, osservarsi che l'autorizzazione dell'A.G. è garanzia ai soli fini del procedimento penale (cfr.: Cass. 11203/07, 7947/09, 27149/11) e che, peraltro, dal testo dell'art. 33 d.p.r. 600/1973, emerge inequivocabilmente che l'autorizzazione dell'A.G. alla G.d.F. all'utilizzo ai fini fiscali di dati rilevati nel corso dell'indagine penale, è anche autorizzazione alla trasmissione di detti dati all'Agenzia delle Entrate.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, liquidate in complessive € 7.000,00 oltre spese prenotate a debito.