Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 marzo 2016, n. 5344

Irregolarità della somministrazione - Onere probatorio - Indennità ex art. 32 co. 5 L. 183/2010

Fatto e diritto

 

La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 24 febbraio 2016 - cui è stata differita d'ufficio da quella del 28.1.2016, ai sensi dell'art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

"Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano, per quel che rileva nel presente giudizio, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava le società appellanti a risarcire il danno in favore di R. G. nella misura limitata all’indennità ex art. 32 co. 5 I. 183/2010 pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge dalla scadenza al saldo; per il resto, confermava la decisione di primo grado, che aveva ritenuto la irregolarità della somministrazione ex art. 27 d. Igs. 276/2003 e dichiarato che tra il lavoratore e Postel Print s.p.a., successivamente per effetto della cessione di ramo di azienda decorrente da I 4.7.2007, Postel s.p.a., era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 12.7.2006 e, ritenuta l'illegittimità della estromissione intimata al ricorrente con effetto dal 13.7.2007, aveva condannato Postel s.p.a. all'immediata riammissione del predetto nel posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto, da corrispondere dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva reintegra, nonché alla corresponsione dei contributi di legge.

Rilevava la Corte che doveva essere respinta l’eccezione preliminare di nullità del ricorso ex art. 414 c.p.c., sotto il profilo della omessa individuazione del petitum e della causa petendi e che, con specifico riferimento alla questione della omessa produzione del contratto collettivo, pur facendo carico l’onere di relativa produzione alla parte che ne invocava l'applicazione, nella specie il mancato assolvimento dello stesso non determinava conseguenze sul piano decisorio, posto che la parte resistente non ne aveva contestata l'esistenza ed il contenuto e che il ricorrente non aveva posto a fondamento della domanda il regolamento contenuto nello stesso.

Quanto alla causa del contratto di somministrazione intercorso tra le parti, individuata nelle ‘ragioni di carattere organizzativo relative alle esigenze di lavoro aggiuntivo", osservava che l'onere probatorio non era stato assolto, posto che sia i capi di prova per testi, sia la documentazione avevano riguardo ad un periodo antecedente a quello in cui si era verificata la esigenza dedotta in contratto. Peraltro - osservava il giudice del gravame - la facoltà di ammettere o meno le istanze istruttorie rientrava nella discrezionalità del giudicante, laddove, ove con la doglianza intendesse contrapporsi alla ricostruzione della fattispecie un diverso convincimento soggettivo della parte, senza che la stessa evidenziasse possibili vizi del percorso formativo del convincimento del giudice, la stessa doveva ritenersi inammissibile.

In ogni caso rilevava che la prova testimoniale aveva ad oggetto circostanze in relazione alle quali era stata già allegata documentazione, onde, essendo la stessa confermativa dei dati documentali, nulla di più poteva aggiungersi al quadro probatorio.

Per la cassazione di tale decisione ricorrono le società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il R..

Con il primo motivo, viene dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., rilevandosi che non era stata valuta la mancata contestazione avversaria in ordine alla documentazione allegata alla memoria difensiva di primo grado, sicché il giudice era tenuto a tenere conto dei fatti rilevabili dalla detta documentazione .

Con il secondo motivo, viene denunziata violazione degli artt. 156, 1 comma, e 414 c.p.c., osservandosi che l’onere della specifica indicazione del petitum e della causa petendi avrebbe presupposto l’indicazione e soprattutto l’allegazione del contratto collettivo ritenuto applicabile nella fattispecie, del quale non poteva pretendersi la diretta conoscenza da parte del giudice e la applicazione da parte del predetto di norme negoziali, traducendosi detta mancata indicazione in nullità del ricorso, quale conseguenza di uno specifico fatto costitutivo della domanda e cioè di un imprescindibile momento della causa petendi.

Con il terzo motivo, le ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. 183/2010, assumendo che non erano state allegate dal lavoratore circostanze relative alla propria condizione lavorativa, in particolare con riguardo a rapporti lavorativi intrattenuti successivamente alla cessazione del rapporto con altri datori di lavoro. Viene pertanto richiesta la determinazione dell’indennità forfetizzata nella misura minima di legge. Rilevano, infine, che gli accessori su tale indennità erano stati fatti decorrere erroneamente dalla data di cessazione del rapporto e non data della sentenza che disponeva la costituzione del rapporto dì lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore.

Il primo motivo risulta formulato in maniera generica ed è inidoneo a specificare in che termini l’asserita violazione dell’art. 115 c.p.c. abbia inciso in termini di decisività sul contenuto della pronunzia, atteso che la mancata contestazione di allegazioni contenute in ricorso in ogni caso non avrebbe potuto mutare l’esito del giudizio della Corte, riferito alla mancanza di attinenza temporale della documentazione e dei fatti oggetto di prova testimoniale con le esigenze dedotte come causale del contratto di somministrazione.

Non si riportano, poi, le allegazioni richiamate a fondamento del motivo, che avrebbero dovuto giustificare, in assenza di contestazione, una valutazione difforme dei fatti di causa.

Il secondo motivo risulta formulato in modo inconferente rispetto al decisum, che ha puntualizzato in modo assorbente sia che non era stato contestato da parte resistente il contenuto del contratto collettivo, del quale non era stata negata l'esistenza, sia che non rilevava ai fini di causa alcun contratto collettivo, posto che le ragioni della somministrazione non avevano riguardo a previsioni collettive. Peraltro, in dispregio del principio di autosufficienza, non risultano riportati i passaggi della memoria difensiva che avrebbero dovuto supportare la critica espressa al riguardo, in particolare con riferimento all’applicabilità del contratto collettivo asserita mente invocato ai fini della decisione (cfr., tra le altre, Cass. 7.7.2008 n. 18584, secondo cui soltanto nell'ipotesi in cui la controparte non abbia contestato l'esistenza e il contenuto del contratto invocato, ma si sia limitata a contestarne l'applicabilità, sussiste, per il giudice, il potere-dovere, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., di acquisire d'ufficio, attraverso consulenza tecnica, il contratto collettivo di cut l'attore, pur eventualmente non indicando gli estremi, abbia tuttavia fornito idonei elementi di identificazione).

Con riferimento al terzo motivo, la ritenuta omessa valutazione dei criteri di cui all’art. 8 I. 604/66 non supporta validamente una censura riferita a valutazioni discrezionali del giudicante, che peraltro, sebbene in maniera succinta, ha fatto corretta applicazione proprio dei detti criteri, nella determinazione dell’indennità forfetizzata, liquidata in una misura ricompresa tra il minimo ed il massimo previsti dalla norma. Peraltro, la rilevanza di un eventuale impiego del lavoratore presso altri datori di lavoro si pone in termini diversi da quelli in cui la circostanza assumeva rilievo per la detrazione dell'aliunde perceptum, in quanto, come affermato da questa Corte (Cass., n. 3056 del 2012 e da numerose altre successive), lo "ius superveniens" costituito dalla L. n. 183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, configura, alla luce dell'interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale "ex lege" a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l'importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall'intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l'eventuale "aliunde perceptum"), trattandosi di indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva" per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto "intermedio", (dalla scadenza del termine alla sentenza dì conversione).

Per il resto, si osserva che l'indennità di cui all’art. 32 I. 183/2010 deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex art. 429, comma 3, cod. proc. civ. giacché, come più volte affermato da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi ai rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati ex art. 18 legge n. 300 del 1970, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l'indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., Cass. 8 aprile 2002 n. 5024).

Va, peraltro, precisato che dalla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa. Il motivo è pertanto fondato sotto il profilo della decorrenza degli accessori sulla detta indennità e, potendo la causa essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, gli stessi vanno riconosciuti con decorrenza dalla sentenza che dispone la conversione del rapporto, e non da quella di scadenza del termine nullo.

In conclusione, ritenuta la fondatezza del ricorso ex art. 375, primo comma, n. 5 c.p.c., solo in relazione alla censura sulla decorrenza degli accessori, si propone l'accoglimento del ricorso in parte qua, con cassazione della sentenza impugnata in relazione a tale censura e contestuale decisione nel merito, ed il rigetto di ogni altro motivo di impugnazione".

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Il contro ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sull’accoglimento della censura di cui al terzo motivo sulla decorrenza degli accessori, e sul rigetto degli altri, rilevando che le osservazioni di cui alla memoria depositata confortano tale giudizio.

Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può decidersi nel merito con la condanna della società Poste Italiane alla corresponsione di rivalutazione monetaria ed interessi legali sull'indennità ex art. 32 I. 183/2010 a decorrere dalla sentenza di conversione del rapporto.

Le spese dei precedenti gradi di merito vanno confermate, in relazione alla modesta incidenza riformatoria della presente decisione, laddove le spese del presente giudizio di legittimità, vanno poste nella misura di 4/5 dell’intero - liquidato in dispositivo - a carico della società, per la prevalente soccombenza, disponendone l'attribuzione in favore dell'avv. S. G., dichiaratosi antistatario, con compensazione del residuo 1/5.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’inapplicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, atteso il parziale accoglimento del ricorso costituisce, che costituisce motivo di esonero da! relativo versamento per i ricorrenti.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo per quanto di ragione, rigettati gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, determina la decorrenza degli accessori sull’indennità ex art. 32, co. V, I. 183/2010, a far data dalla sentenza che dispone la conversione del rapporto. Condanna le società ricorrenti al pagamento dei 4/5 delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate per l’intero in euro 100,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%, con attribuzione all’avv. S. G.. Compensa tra le parti il residuo1/5.

Conferma le statuizioni sulle spese dei gradi di merito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. 115/2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma Ibis dello stesso art. 13.