Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 marzo 2016, n. 10974

Reati tributari - Evasione IVA - Emissione fatture per operazioni inesistenti - Acquisto di carburanti in esenzione - Utilizzo di società di comodo - Persona fisica responsabile - Misura cautelare degli arresti domiciliari - Individuazione amministratore di fatto - Utilizzo del timbro sociale - Non sufficiente - Annullamento della misura cautelare

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 21 agosto 2015 il Tribunale di Ancona ha respinto l'istanza di riesame presentata da G. N., indagato per i reati di cui agli artt. 416 e 640 cod. pen. e 8 d.lgs. 74/2000, nei confronti della ordinanza del 24 luglio 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Macerata, applicativa nei suoi confronti della misura cautelare degli arresti domiciliari.

Il Tribunale, richiamando la ricostruzione dei fatti ascritti a tutti gli indagati contenuta nella ordinanza impugnata (nella quale si dava atto della esistenza di una articolata organizzazione volta ad approvvigionarsi di ingenti quantitativi di carburanti in regime di esenzione i.v.a., utilizzando dichiarazioni di società di comodo attestanti falsamente la qualità di esportatore abituale, per poi cedere tali carburanti per il consumo sul territorio nazionale, emettendo fatture per operazioni inesistenti e procurandosi un profitto ingiusto in danno dello Stato), ha evidenziato l'esistenza di gravi indizi nei confronti del N. (ritenuto soggetto di spicco nella organizzazione, dedito in prima persona alla creazione di una fitta rete di società di comodo ed al procacciamento di nuovi clienti finali cui cedere le partite di carburante acquistate in regime di esenzione i.v.a.), desumibili dalle intercettazioni telefoniche e dalla veste di amministratore di fatto del N. della N. (simulata acquirente di carburanti in regime di esenzione i.v.a.).

L'ordinanza impugnata ha poi disatteso la censura dell'indagato relativa alla mancanza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari, evidenziando la condivisione da parte del Giudice per le indagini preliminari della richiesta del Pubblico Ministero e le autonome considerazioni dallo stesso svolte, e sottolineato l'attualità del pericolo di recidivanza, in considerazione della sistematicità delle azioni commesse e programmate, del numero dei soggetti coinvolti, dell'ammontare delle somme fraudolentemente sottratte allo Stato e della recente manifestazione dell'intenzione proseguire l'attività.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, mediante il suo difensore, affidato a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo ha lamentato violazione di legge processuale e sostanziale e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, in relazione ai quali il Tribunale si era limitato ad evidenziare due conversazioni telefoniche già indicate nella ordinanza applicativa, nelle quali il ricorrente si era limitato a discutere di accordi volti a sottoscrivere disgiuntamente atti in nome della società, di forniture di carburanti e di contratti da concludere con l'Eni.

2.2. Con il secondo motivo ha denunciato violazione di legge sostanziale e carenza motivazionale in relazione alla ritenuta partecipazione alla associazione delittuosa, per la mancata evidenziazione di indizi circa la conoscenza tra tutti i presunti compartecipi ed il loro contatto diretto e continuativo, essendo emerso che il ricorrente aveva avuto rapporti solamente con il Cinti, peraltro solo di natura contrattuale, stante l'attività di mediatore svolta dal N..

2.3. Con il terzo motivo ha prospettato ulteriore violazione di legge sostanziale e processuale e carenza di motivazione, per l'assenza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari, avendo il primo giudice solamente ripreso gli argomenti posti a fondamento della richiesta avanzata dal Pubblico Ministero.

2.4. Con il quarto motivo ha ulteriormente denunciato violazione di legge in relazione alla mancanza di valutazione della attualità delle esigenze cautelari e del pericolo di recidivanza, desunte prevalentemente dalla gravità dei fatti e del titolo di reato.

2.5. Con il quinto motivo ha lamentato violazione di legge processuale per l'omessa notificazione al difensore di fiducia del provvedimento di fissazione

dell'udienza di discussione della istanza di riesame, eccepita nel corso di tale udienza, giacché il decreto di fissazione di tale udienza era stato notificato al ricorrente in proprio e, quale latitante, presso il domicilio eletto, presso lo studio del difensore di fiducia, ma non anche a quest'ultimo, con la conseguente verificazione di una nullità di ordine generale, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., determinante anche nullità della ordinanza impugnata e l'inefficacia della misura.

 

Considerato in diritto

 

Il vizio procedurale denunciato dal ricorrente non sussiste, ma l'ordinanza impugnata deve essere annullata a causa della insufficienza della motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente alla associazione a delinquere e per la mancanza della autonoma valutazione delle esigenze cautelari.

1. Il denunciato vizio procedurale, conseguente alla omessa notificazione al difensore dell'indagato dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione innanzi al Tribunale di Ancona (essendo detto avviso stato notificato solamente al ricorrente personalmente ed al suo domicilio eletto, ma non anche al suo difensore), risulta sanato dalla comparizione del difensore del N. in tale udienza.

Dal verbale dell'udienza di discussione innanzi al Tribunale, cui questa Corte ha accesso in relazione all'error in procedendo denunziato dal ricorrente, giacché con riguardo a tale censura la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all'esame diretto degli atti processuali (Sez. U, Sentenza n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 1, Sentenza n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304; Sez. 4, Sentenza n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568), risulta che il difensore dell'indagato (che aveva ricevuto l'avviso della fissazione dell'udienza quale domiciliatario e dunque era a conoscenza, sia pure solo in conseguenza di tale veste, dell'incombente fissato per detta udienza) comparve in tale udienza, svolgendo anche difese nel merito in relazione al ricorso presentato nell'interesse del N., senza richiedere la concessione di alcun termine a difesa, con la conseguente sanatoria della nullità ora denunciata, in virtù del raggiungimento dello scopo dell'avviso omesso, secondo quanto previsto dall'art. 184 cod. proc. pen.

Tale norma contempla una sanatoria di ordine generale per il caso di nullità di citazioni o avvisi o delle relative comunicazioni o notificazioni, conseguente alla comparizione della parte od alla sua rinuncia, con l'ulteriore regola di cui al comma 2, in forza della quale, nella ipotesi di nullità di un avviso di udienza, alla parte la quale ugualmente compaia al solo fine di rilevare l'irregolarità, l'ordinamento processuale riconosce il solo diritto di ottenere a richiesta, nel caso di specie omessa, un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni (Sez. 1, n. 46260 del 18/11/2008, Teklehaimanot, Rv. 242064; Sez. 2A, 5.5.2004, n. 25948, Rv. 229717).

Poiché, come evidenziato, il difensore del ricorrente, comparve all'udienza di discussione innanzi al Tribunale e svolse difese nel merito, senza richiedere alcun termine a difesa, la nullità denunciata dal ricorrente risulta essersi sanata, ex art. 184 cod. proc. pen., con la conseguente insussistenza del vizio denunciato mediante il quinto motivo di ricorso.

2. Fondati risultano invece il primo ed il secondo motivo di ricorso, mediante i quali è stata denuncia carenza di motivazione in ordine alla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato associativo contestato al ricorrente.

A fronte delle censure del ricorrente (proprio in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di partecipazione del N. alla associazione volta alla commissione di un numero indeterminato di truffe in danno dello Stato e violazioni tributarie), il Tribunale di Ancona ha richiamato il contenuto di due conversazioni con altro indagato (Giuseppe Cinti), una relativa all'utilizzo di un timbro della società N. e l'altra relativa ad una futura e non meglio precisata collaborazione continuativa ed organizzata, traendone la veste del N. di amministratore di fatto della N. e della sua partecipazione ai reati di truffa ed emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, avvalendosi di tale società, con motivazione che risulta, però, insufficiente ed illogica.

Occorre al riguardo ribadire che il controllo della logicità della motivazione deve essere esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, allo scopo di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell'interpretazione degli elementi a loro disposizione abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214567; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Elia, Rv. 229369).

Ora, nella vicenda in esame, le conclusioni tratte dal Tribunale di Ancona dal contenuto delle due conversazioni richiamate risultano illogiche nel senso anzidetto, posto che il solo accordo per l'uso di un timbro recante il nome della società non può costituire indizio sufficiente della veste di amministratore di fatto di una società di capitali, che se non richiede l'esercizio di tutti i poteri tipici dell'organo di gestione, postula comunque una significativa, penetrante e regolare partecipazione alla attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, Berni, Rv. 264009; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534), sicché la affermazione del Tribunale circa la sussistenza dei gravi indizi della sussistenza della veste di amministratore di fatto della N. in capo al N. risulta illogica e contraria ai criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per individuare la veste di amministratore di fatto di società di capitali.

Insufficiente risulta poi la motivazione del ruolo svolto dal N. mediante tale società nell'ambito del sodalizio criminoso, in quanto al riguardo il Tribunale ha fatto riferimento solamente alla "funzione durevole della Società", senza altro aggiungere soprattutto con riguardo alla necessaria prova della stabile adesione dell'agente ad un sodalizio riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 416 cod. pen., ovvero della consapevolezza e volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale.

Del tutto mancante risulta, poi, la motivazione in ordine al quadro indiziario relativamente ai reati di cui ai capi b) e c) della rubrica (e cioè quelli di cui agli artt. 61 n. 7, 110, 640, comma 2, n. 7, cod. pen. e 110 cod. pen. e 8 d.lgs. 74/2000), in quanto al riguardo il Tribunale si è limitato a far riferimento alla "prospettazione" di tali reati, senza neppure rinviare per relationem alla richiesta del Pubblico Ministero od alla ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, omettendo dunque del tutto, nonostante le censure del ricorrente, di dare conto, sia pure sommariamente o per rinvio, delle fonti degli indizi di colpevolezza in ordine a tali reati.

3. Fondati risultano anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso, mediante i quali è stata denunciata la mancanza della autonoma valutazione delle esigenze cautelari (ora richiesta dalla I. 16 aprile 2015 n. 47, che ha modificato l'art. 292, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.), giacché al riguardo il Tribunale, investito anche a tale proposito di una specifica censura da parte dell'indagato, si è limitato a dare atto del richiamo da parte del Giudice per le indagini preliminari delle valutazioni del Pubblico Ministero, cui avrebbe aggiunto proprie considerazioni, di cui non sono state precisate entità e contenuto.

Ora, benché la previsione dell'autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza non abbia carattere innovativo, essendo espressione del principio generale per cui l'esercizio di un autonomo potere comporta il dovere di esplicitare le ragioni che giustificano la decisione, e continui, dunque, ad essere compatibile con il rinvio - per relationem o per incorporazione - alla richiesta del pubblico ministero, tale rinvio deve limitarsi alla esposizione dei presupposti di fatto, e non può estendersi alle prospettazioni e valutazioni delle ragioni che giustificano l'applicazione della misura cautelare (Sez. 6, n. 45934 del 22/10/2015, Perricciolo, Rv. 265068; Sez. 6, n. 47233 del 29/10/2015, Moffa, Rv. 265337).

Nella specie risulta del tutto mancante nella ordinanza impugnata l'indicazione delle autonome valutazioni poste a fondamento della applicazione della misura cautelare nei confronti dell'indagato, con la conseguenza che anche sotto questo profilo pare sussistente il vizio di motivazione denunciato dal ricorrente.

L'ordinanza impugnata deve, pertanto, stante la fondatezza dei primi quattro motivi di ricorso e la sussistenza dei vizi di motivazione con gli stessi denunciati, essere annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Ancona, sezione per il riesame.

 

P.Q.M.

 

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Ancona, sezione per il riesame.