Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 marzo 2016, n. 4045

Società di capitali - Società per azioni - Organi sociali - Amministratori - Responsabilità - Amministratore di fatto - Inserimento nella gestione sociale - Condizioni - Sistematicità e completezza

 

Svolgimento del processo

 

G. S. R., socio di E. s.p.a., poi divenuta E. P. I. s.p.a., fallita il 26-6-2001, convenne in giudizio P. S. sul presupposto di avere questa assunto la veste di amministratore di fatto della società.

Affermando di averle consegnato somme di denaro a titolo di mutuo personale (euro 497.781,30) e altre somme a titolo di finanziamento della società (euro 877.976,73), non confluite nelle casse sociali, ne chiese la condanna alla restituzione e al risarcimento dei danni.

La convenuta resistette e l'adito tribunale di Voghera, ritenendo che in effetti la S. avesse svolto funzioni di amministratore di fatto, essendosi ingerita, "a prescindere dall'assunzione di poteri gestionali", nei pagamenti diretti di debiti e nella riscossione di somme destinate alla società, poi non versate nei relativi conti, accolse la domanda risarcitoria nei limiti dell'importo di euro 249.706,91.

La sentenza venne appellata in via principale dalla S. e in via incidentale da S. R..

La corte d'appello di Milano, accogliendo l'appello principale, ha rigettato tutte le domande.

In particolare la corte d'appello ha confermato la statuizione di primo grado in ordine all'inesistenza del credito restitutorio concernente le somme asseritamente mutuate alla convenuta a titolo personale e ha ritenuto non provato il presupposto della domanda risarcitoria correlata al dedotto esercizio di funzioni amministrative di fatto, stante che le mere circostanze dell'effettuazione di pagamenti di debiti sociali attraverso conti personali e della riscossione di somme destinate alla società per il tramite di propri conti non potevano considerarsi idonee ad affermare assunte le funzioni gestorie connotate da sistematicità e completezza. Numerose testimonianze invero avevano evidenziato che l'attività gestoria della società era stata in effetti svolta dal solo amministratore A. M., marito della convenuta, col quale il S. R. aveva raggiunto un accordo per finanziare la società in parti uguali. Dacché degli eventuali importi asseritamente versati alla società a titolo di finanziamento poteva esser chiamata a rispondere la società stessa, ove ne fosse stata dimostrata la confluenza nella cassa, o comunque il M. in relazione al rendiconto della gestione sociale; non invece la convenuta.

Per la cassazione della sentenza d'appello, depositata il 4-7-2012 e non notificata, G. S. R. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, cui l'intimata ha replicato con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

I. - Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2393 e seg. cod. civ., l'erronea, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, la violazione dell'art. 132 cod. proc. civ. e la violazione del diritto di difesa ex art. 24 cost. Il tutto a proposito della valutazione a mezzo della quale la corte d'appello ha ritenuto non sussistenti, in capo alla S., poteri gestori della società.

Lamenta che l'impugnata sentenza abbia omesso di motivare le ragioni della non decisività delle risultanze istruttorie che, invece, avevano reso "evidenti e lampanti" i poteri amministrativi di fatto associabili alla tenuta diretta dei conti con clienti e fornitori, al pagamento di fatture e debiti verso dipendenti e verso soggetti terzi, alla trasformazione del proprio conto corrente personale in conto sociale, dal quale eseguire pagamenti di fatture, bollette, stipendi e altro.

Col secondo motivo il ricorrente denunzia l'omessa motivazione della sentenza su fatto decisivo e la violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ. (oltre che del diritto di difesa ex art. 24 cost.), con riferimento a entrambi gli importi corrisposti alla S., a titolo di finanziamento della società e a titolo di mutuo personale.

Censura la sentenza per essersi astenuta dal palesare le ragioni logico-giuridiche che l'avevano indotta ritenere non assunta la qualifica di amministratore di fatto e a rigettare in ogni caso anche l'appello incidentale, avendo omesso di prender posizione sulle singole somme consegnate onde verificare l'esistenza o meno di un obbligo restitutorio.

Col terzo motivo, infine, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1395 (rectius 2395) cod. civ. nonché l'erronea, contraddittoria e/o omessa motivazione della sentenza e l'omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nonché ancora la violazione dell'art. 132 cod. proc. civ.

La corte d'appello avrebbe "del tutto omesso di motivare la reiezione della domanda di risarcimento dei danni avanzata (..) ex art. 2395 c.c.", essendosi limitata a respingere in toto l'appello incidentale senza minimamente considerare che le argomentazioni fornite da esso ricorrente "avrebbero potuto (e forse dovuto) costituire ulteriore riprova dell'indiscutibile ingerenza (..) nelle vicende societarie", essendo infine il dissesto della società dipeso dalle sconsiderate scelte imprenditoriali della S. mercé condotte distrattive di parte del patrimonio sociale a discapito della posizione del socio, occultate da irregolarità di ordine contabile.

II. - I motivi, tra loro connessi e suscettibili di unitario esame, ove non inammissibili per mescolanza dei mezzi prospettati (v. per tutte Sez. 1A n. 19443-11), e ove non inammissibili altresì perché incentrati su profili di fatto asseriti ma indimostrati in prospettiva di autosufficienza con riferimento alle fonti di deduzione dinanzi al giudice di merito, sono in ogni caso infondati nella tesi giuridica che in essi risulta tradotta.

III. - All'impugnata sentenza non può essere ascritta una mancanza motivazionale, né sotto l'ottica dell'art. 132 cod. proc. civ. né sotto quella dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

E' assolutamente evidente che la motivazione è stata redatta dalla corte territoriale a corredo dell'apprezzamento secondo cui le risultanze istruttorie {debitamente indicate nei riferimenti ad alcuni testi escussi in primo grado - fornitori e dipendenti della società - e alle dichiarazioni rese dallo stesso attore nel corso delle indagini svolte in sede penale), da un lato, non consentivano di ritenere esistente un rapporto amministrativo di fatto tra la convenuta e la società e, dall'altro, non suffragavano il versamento di somme a titolo di mutuo personale.

Può osservarsi che su tale seconda considerazione la doglianza di parte ricorrente è ridotta a mero simulacro, nulla essendo stato specificato a presidio della genericissima affermazione di mancata considerazione di evidenze istruttorie rilevanti.

IV. - Dal primo punto di vista, invece, la corte d'appello ha affermato che la mera circostanza di pagamenti di debiti sociali e di riscossione di somme destinate alla società non poteva dirsi di per sé idonea a ritenere assunte funzioni gestorie con carattere di sistematicità e completezza.

Una simile valutazione, congruamente motivata in fatto, è coerente con quanto da questa corte da tempo affermato circa i requisiti di esistenza del rapporto di amministrazione di fatto tra una persona fisica e una società.

Ai fini della corretta individuazione dell'amministratore di fatto si richiede l'accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell'impresa. E tale inserimento è a sua volta desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società (cfr. Sez. 1A n. 28819-08; n. 6719-08; n. 9795-99).

Esso tuttavia presuppone che le funzioni gestorie abbiano giustappunto avuto carattere di sistematicità e completezza.

Difatti, è certamente vero che i responsabili della violazione delle norme poste a presidio della corretta gestione della società non vanno individuati sulla base della loro qualificazione formale quanto piuttosto per il contenuto delle funzioni da essi concretamente esercitate. Ma non è men vero che in mancanza di una investitura da parte della società, è possibile enucleare in un determinato soggetto la figura dell'amministratore di fatto le volte in cui le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica - come detto dell'assunzione di quelle funzioni.

V. - Occorre allora riconoscere che la corte d'appello si è fatta carico dell'esigenza di verificare in concreto codesta sistematicità, escludendola motivatamente a mezzo del rilievo che alla S. era stato possibile ascrivere - in base alle risultanze istruttorie - solo la effettuazione di pagamenti di debiti e/o la riscossione di somme per conto della società, con carattere tuttavia compatibile con il mantenimento delle funzioni gestorie in capo al solo coniuge, M., amministratore di diritto.

Tali elementi sono, in linea astratta, sufficienti a giustificare la decisione adottata, escludendo l'esistenza, oltre che dei denunciati errori di diritto, altresì - come detto - di un qualunque vizio di motivazione.

VI. - Le spese processuali seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 17.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.