Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 febbraio 2016, n. 2979

Società cooperative - Capitale sociale - Partecipazione dei soci - Recesso del socio - Recesso legale e recesso convenzionale - Clausole disciplinanti e o limitanti il recesso statutario - Legittimità

 

Svolgimento del processo

 

Nel 1992 la Cooperativa Produttori del Latte A. s.c.a r.l. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma trenta persone che aveva escluso dalla compagine sociale per grave violazione del patto sociale -non avendo più conferito il latte prodotto-, per sentirle condannare al pagamento della penale prevista. I convenuti chiesero il rigetto della domanda deducendo che essi, avendo esercitato legittimamente la propria facoltà di recesso, non potevano essere poi esclusi; e che comunque la delibera assembleare con la quale era stata determinata la penale era nulla.

Il Tribunale accolse la domanda, dichiarando la legittimità della esclusione e condannando i convenuti al pagamento della penale richiesta.

Su gravame di questi ultimi, cui resisteva la Cooperativa, la Corte d’appello di Roma, dato atto della parziale cessazione della materia del contendere nei riguardi di alcuni appellanti che avevano raggiunto un accordo con la Cooperativa, nei confronti degli altri (tra i quali M.C., M.P., T.V. e gli eredi di L.C.) accoglieva parzialmente l’appello, riducendo della metà gli importi della penale da essi dovuta e confermando nel resto la sentenza di primo grado. Osservava la Corte: a) che, secondo quanto stabilito dall’art. 13 dello statuto sociale, spettava al Consiglio di amministrazione constatare se ricorrevano i motivi che, a norma di legge o dello statuto, legittimavano il recesso, sì che la comunicazione della volontà di recedere dalla società non poteva ritenersi efficace sino alla suddetta constatazione positiva; b)che nella specie il Consiglio, sia pure dopo un anno di infruttuose trattative con i numerosi soci che avevano posto in essere contestualmente l’iniziativa, aveva contestato la effettiva ricorrenza del motivo statutario di recesso indicato dai soci (cioè la cessazione della attività della impresa o dell’allevamento di bovini o ovini da latte), e gli appellanti non avevano dato in giudizio prova delle circostanze contestate, emergendo piuttosto dall’insieme degli elementi acquisiti come le aziende dei soci recedenti avessero continuato la loro attività conferendo il latte alla Centrale del Latte o a terzi; c) che del resto i soci non avevano richiesto al Collegio dei probiviri -cui secondo statuto avrebbe dovuto rimettersi la decisione nel termine di trenta giorni previsto- di pronunciarsi sulla legittimità del recesso, e neppure sulla legittimità della delibera di esclusione successivamente emessa dalla Cooperativa; d) che, quanto alla penale, esclusa la dedotta nullità (giacché le tabelle di penalità predisposte in via generale, come da statuto sociale, dal Consiglio di amministrazione prima dei fatti in questione, erano state approvate con delibera assembleare non impugnata), fondata era la deduzione della sua eccessività, sì che la sua riconduzione ad equità doveva condurre a dimezzare l’importo previsto.

Avverso tale sentenza, depositata il 4 settembre 2008, M.C. ha proposto ricorso a questa Corte, seguito da ricorso incidentale di T.V., M.P., e degli eredi di L.C.. Ad entrambi i ricorsi ha resistito la Cooperativa con distinti controricorsi.

La causa, dopo il rinvio a nuovo ruolo disposto alla scorsa udienza del 18.9.2014 per provvedere alla notifica dell’avviso di udienza personalmente al C. (stante il decesso, intervenuto nelle more, del suo difensore avv. M.A.), all’odiema udienza, verificata l’ottemperanza della precedente ordinanza, è stata trattenuta in decisione.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente si impone, a norma dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei distinti ricorsi avverso la medesima sentenza.

1. Il ricorso principale, proposto dal C., si basa su cinque motivi.

1.1. Con il primo viene censurata, per violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, la perplessità manifestata dalla Corte di merito sulla ravvisabilità di una comunicazione di recesso nella lettera inviata dai soci alla Cooperativa.

1.2. Con il secondo si deduce, sia sotto il profilo della omessa motivazione sia sotto quello della omessa pronuncia, l’omesso esame della questione, posta nell'atto di appello, concernente la nullità dell'art. 13 dello statuto sociale.

1.3. Con il terzo si censura, per violazione del dovere di prudente e corretta valutazione delle prove di cui all’art. 116 cod. proc. civ., l’affermazione contenuta nella sentenza secondo la quale egli, pur avendo ceduto le quote latte a sua figlia, aveva continuato a produrre latte.

1.4. Con il quarto motivo si censura, per vizio di motivazione e per violazione degli artt. 13 e 32 dello statuto sociale, la statuizione circa la sussistenza del potere del CdA, a norma dell'art. 13 dello statuto, di valutare la ricorrenza effettiva del motivo di recesso comunicato dal socio: la corte distrettuale avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni dello statuto, il cui art. 32 rimetterebbe il suddetto accertamento alla decisione del Collegio dei probiviri, cui il Consiglio di amministrazione, e non i soci recedenti (come erroneamente affermato dalla corte di merito), avrebbe dovuto rivolgersi.

1.5. Il quinto motivo ripropone, sotto il profilo della violazione dell’art. 1382 cod.civ., la tesi, non accolta dalla corte di appello, della nullità della clausola penale contenuta nello statuto della Cooperativa in quanto le somme dovute dai soci inadempienti non sarebbero state neppure determinabili in base alla clausola stessa, essendo invece state determinate successivamente con decisione discrezionale di una delle parti, cioè del Consiglio di amministrazione.

2. Tali motivi di ricorso non meritano accoglimento.

2.1. Il primo è inammissibile per mancanza di interesse, considerando che la sentenza impugnata non si è limitata a rilevare la mancanza, nelle comunicazioni inviate alla Cooperativa dai soci, di una esplicita dichiarazione di voler recedere, ma ha comunque esaminato nel merito la questione relativa alla dedotta efficacia del recesso così esercitato, pervenendo alla conclusione che tale efficacia doveva escludersi.

2.2. Sulla questione di nullità dell’art. 13 dello statuto, cui in effetti il passo dell’atto di appello trascritto in ricorso faceva sintetico riferimento, la corte distrettuale non si è soffermata esplicitamente, pur avendola considerata tra i motivi di appello (pag.4 sentenza) ed implicitamente disattesa là dove ha fondato il suo convincimento sulla inefficacia del recesso (pagg. 7 e 9 sentenza) proprio sulla attribuzione al CdA, disposta dalla clausola statutaria in questione, del potere-dovere di constatare la ricorrenza nella specie del motivo legittimante il recesso stesso. Esclusa dunque l’omessa pronuncia, l’omessa motivazione sulla questione di diritto, non sussumibile nel vizio previsto dall’art. 360 comma 1 n.5 cod. proc. civ. che attiene alla motivazione dell'accertamento del fatto controverso, non può condurre nella specie alla cassazione della sentenza impugnata, tenendo presente il disposto dell’art. 384 comma 4 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 28663/13), La corte distrettuale ha invero statuito in conformità al principio di diritto, più volte affermato da questa Corte (ex multis Cass. n. 5126/01; n. 15482/04) e condiviso dal Collegio, secondo cui, mentre l’esercizio del recesso nei casi previsti da norme di legge (artt. 2523 e 2437 cod. civ. nel testo ante riforma) non può essere limitato o soppresso - neppure da clausole statutarie- senza violare la norma di legge attributiva del diritto potestativo, non altrettanto vale per il recesso previsto (come nella specie) da clausole statutarie. Il quale, nascendo con l’atto costitutivo come atto di manifestazione di volontà negoziale, dalla stessa volontà può essere disciplinato e conformato attraverso clausole che specifichino le situazioni legittimanti la facoltà in questione ed anche ne limitino o condizionino l'esercizio, prevedendo (come nella specie) la necessità, per l’efficacia del recesso, di una constatazione positiva del Consiglio di Amministrazione circa la ricorrenza di dette situazioni legittimanti. Clausole delle quali dunque non può affermarsi la invalidità sotto il profilo evidenziato dal ricorrente.

2.3. Inammissibile poi, sotto più profili, si palesa la critica espressa nel connesso quarto motivo avverso l’interpretazione delle disposizioni statutarie in questione esposta nella sentenza di primo grado e condivisa dalla corte d’appello, secondo la quale la constatazione negativa del CdA, ex art. 13, in ordine alla ricorrenza dei motivi di recesso può essere contestata dai soci dinanzi al Collegio dei probiviri, che quindi solo in tal caso decide sul punto, ex art.32. La critica avverso tale interpretazione - costituente accertamento riservato al giudice di merito, soggetto a controllo in sede di legittimità nei soli limiti della adeguatezza della motivazione o della violazione delle regole ermeneutiche dettate dalla legge (cfr. ex multis Cass. n. 10464/14)- si palesa inammissibile perché si limita a prospettare una diversa "lettura" delle clausole dello statuto, senza: a) depositare tale documento né indicarne la collocazione negli atti (art. 369 comma 2 n.4 cod. proc. civ.); b) formulare una sintesi del fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe omessa o insufficiente (art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile nella specie ratione temporis); c) indicare, nella rubrica o nella illustrazione del motivo, le norme di ermeneutica contrattuale che fossero eventualmente state violate dal giudice di merito.

2.4. Il terzo motivo si risolve nella riproposizione di una tesi difensiva (l'effettiva cessazione della attività di impresa da parte del C.) che la corte distrettuale ha compiutamente esaminato nella sentenza impugnata pervenendo ad una valutazione di merito, peraltro congruamente motivata (non vi è censura specifica al riguardo), che come tale non è soggetta alla verifica di legittimità, tantomeno con riferimento all’osservanza del principio di cui all’art. 116 comma 1 cod. proc. civ.(che non attiene al merito delle valutazioni espresse in concreto dal giudice).

2.5. Inapprezzabile infine si mostra la doglianza espressa nel quinto motivo, atteso che il ricorrente si limita a ribadire la sua tesi in ordine alla invalidità della clausola penale omettendo, da un lato, di provvedere al deposito dello statuto o alla indicazione della sua collocazione negli atti (art. 369 comma 2 n.4 cod. proc. civ.). dall’altro di esporre specifiche censure apprezzabili avverso la ratio decidendi della statuizione della quale si duole, che ha fatto leva sulla mancata impugnazione della deliberazione con la quale la assemblea dei soci della Cooperativa, in data anteriore al recesso in questione, ha approvato, facendo quindi propria, la determinazione delle penalità effettuata in via generale dal consiglio di amministrazione. A tale inequivoca ratio la illustrazione del motivo riferisce solo la non altrettanto chiara considerazione secondo la quale essa riguarda l'ammontare della penale e non la sua nullità per la sua natura, gli effetti, il momento in cui è stabilità. Considerazione questa che si mostra scarsamente intellegibile, e tale quindi da non consentire l’individuazione ed apprezzamento di una specifica censura, considerando anche che la doglianza illustrata nel motivo si basa sulla illegittimità di una determinazione dell'ammontare della penale affidata alla valutazione dell’organo amministrativo, cioè di una sola delle palli, laddove la colle distrettuale ha fatto riferimento alla intervenuta approvazione da parte della assemblea dei soci con delibera non impugnata.

Il rigetto del ricorso principale si impone dunque.

3. Il ricorso incidentale si basa su tre motivi. Con il primo si afferma, sotto il profilo del vizio di motivazione, che l’art. 13 dello statuto non attribuiva al CdA della Cooperativa il potere di "sindacare nel merito" la comunicazione del recesso del socio, e di ritenerla ingiustificata anche a fronte di una attestata ed effettiva cessazione dell’attività aziendale. Con il secondo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione con riguardo alla applicazione della penale, che sarebbe illegittima al pari della esclusione di essi dalla compagine sociale (in quanto precluse dal già validamente esercitato diritto di recesso), e comunque radicalmente nulla in quanto il relativo ammontare è stato determinato ad libitum di una sola delle parti. Con il terzo motivo lamentano vizio di motivazione in ordine alla disposta riduzione alla metà della penale, sostenendo che doveva essere ridotta ulteriormente sino a ricondurla "al valore simbolico previsto dallo statuto sociale".

4. Tali doglianze sono inammissibili.

4.1. Quanto alla prima denuncia di vizio di motivazione, essa non è corredata dalla necessaria sintesi del fatto controverso a norma dell'art. 366 bis cod. proc. civ., ma da quesito di diritto peraltro inammissibile, sia perché con esso si chiede a questa Corte di compiere un accertamento riservato al giudice di merito in ordine al contenuto di clausole statutarie, sia perchè ci si limita ad affermare una circostanza di fatto (la cessazione di attività aziendale da parte dei soci recedenti sarebbe "attestata ed effettiva") motivatamente esclusa nella sentenza impugnata, senza esporre alcuna sintesi dei fatti non esaminati o delle ragioni per le quali l’esame compiuto sarebbe insufficiente o contraddittorio.

4.2. Anche la denuncia di vizio di motivazione contenuta nel secondo motivo non risulta corredata dal necessario momento di sintesi, ex art. 366 bis cod. proc. civ., del fatto controverso e delle ragioni per le quali la motivazione su tale fatto sarebbe affetta dai vizi denunciati. Peraltro l'illustrazione del motivo si limita inammissibilmente ad affermare una circostanza (la efficacia del recesso dei soci precedente alla loro esclusione) che la sentenza impugnata ha motivatamente escluso. Anche la nullità della clausola penale, alla quale fa incongruo riferimento il quesito di diritto che correda il motivo, risulta inammissibilmente prospettata, stante la inosservanza del disposto dell’art. 369 comma 2 n.4 cod. proc. civ. e l’omessa formulazione di specifica censura nei riguardi della ratio decidendi esposta nella sentenza impugnata (cfr. sopra, punto 2.5).

4.3. Infine il terzo motivo, privo anch'esso di sintesi del fatto controverso, si risolve nella richiesta a questa Corte di disporre la riduzione della penale "al valore simbolico previsto dallo statuto sociale": richiesta evidentemente inammissibile perché introduce una questione di merito estranea alla verifica di legittimità.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale M.C. al pagamento in favore della Produttori Latte V.A. s.c. a r.l. delle spese del giudizio, in € 7.200.00 (di cui € 200,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di legge; condanna altresì in solido i ricorrenti incidentali T.V., M.P., R.C., L.C., M.C., M.C., R.C., A.C. e G.C., al pagamento in favore della Produttori Latte V.A. s.c. a r.l. delle spese del giudizio, in € 7.200,00 (di cui € 200,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di legge.