Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2016, n. 5206

Tributi - Accertamento - Controllo incrociato - Assegni bancari incassati - Mancato riscontro di fatture emesse

 

Svolgimento del processo

 

A seguito di p.v.c. venne emesso nei confronti di A.S., esercente l'attività di installatore di impianti idrici, avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2005 per ricavi non dichiarati corrispondenti a lavori eseguiti senza emettere la relativa fattura. La CTP accolse il ricorso del contribuente, precisando che "le affermazioni del ricorrente sono documentate ... per cui non può sorgere alcun dubbio circa l'esecuzione nell'anno 2005 dei lavori e la fatturazione degli importi relativi". L'appello proposto dall'Ufficio fu accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania sulla base della seguente motivazione.

"Dall'avviso di accertamento, emesso a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza, redatto in data 06/02/2009, è risultato che nell'anno 2005 la ditta E.V. ha emesso a favore di A.S. e dallo stesso incassati n. 10 assegni bancari, singolarmente indicati nel p.v.c. al foglio 3, per un importo pari ad €108.000,00 di cui solo €10.000,00 trova riscontro nelle fatture emesse nell'anno a favore della stessa ditta E.; ne consegue che la ditta A. ha effettuato lavori termoidraulici per € 98.000,00 senza l'emissione di regolare fattura. Relativamente alla circostanza che la ditta E.V. ha aperto la contabilità aziendale per l'anno 2005 con il conto credito verso fornitori di €47.000,00 non inficia quanto sopra detto perché tale credito, presumibilmente inerente ad acconti pagati nell'anno 2004, congiuntamente ad ulteriori due versamenti di cui uno d € 10.000,00 e l'altro di € 11.000,00 è risultato coperto dalla emissione di n. 3 fatture a favore di E.V. per l'esatto ammontare dì € 68.000,00. Ciò costituisce prova per presunzione avvalorata dalla circostanza che la G. di F. ha effettuato anche un controllo incrociato tra le ditte E.V. e A.S.. A fronte di tutto ciò la parte resistente nonostante la copiosa documentazione prodotta non ha provato, nemmeno per presunzione, di aver regolarmente fatturato l'importo corrispondente agli assegni incassati oppure la ragione della loro percezione".

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d. leg. n. 546/1992 e 39, comma 1, d.p.r. n. 600/1973 in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Osserva il ricorrente che la CTR nulla ha detto in ordine al difetto di motivazione dell'atto impositivo, che rinvia al p.v.c. (non costituente mezzo di prova) senza alcuna valutazione critica, come eccepito fin dal primo grado, e ha così omesso l'esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.

Il motivo è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall'art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443). Ai fini dell'ammissibilità del ricorso è necessario che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. 6 maggio 2015, n. 9100). Nel caso di specie si realizza una completa commistione fra la denuncia di violazione di legge, con riferimento alla asserita illegittimità dell'atto impositivo per difetto di motivazione, ed il vizio motivazionale della decisione per omesso esame di fatto decisivo. La promiscuità emerge anche perché la dedotta illegittimità dell’atto impositivo non costituisce una circostanza di fatto, ma una qualificazione normativa, sicché l'omesso esame del "fatto" coinciderebbe con il mancato rilievo, in violazione di legge, dell’illegittimità dell'atto impositivo per difetto di motivazione.

In secondo luogo, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente non ha dedotto se la questione del difetto di motivazione dell'atto impositivo, in ragione del rinvio per relationem al p.v.c., sia stata specificatamente riproposta in appello.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 56 d. leg. n. 546/1992, 346 e 115 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Osserva il ricorrente che sia l'Ufficio che la CTR hanno errato nel ricondurre le fatture prodotte dal contribuente ad acconti effettuati nell'anno 2004, trattandosi piuttosto di operazioni imponibili imputabili al 2005 e che i lavori sono stati effettivamente eseguiti nell'anno 2005, come dimostrato altresì dai certificati di stato di avanzamento lavori. Aggiunge che gli importi contestati sono stati regolarmente fatturati per euro 68.000,00 e che la parte restante di euro 36.000,00 corrisponde ad importo versato a titolo di cauzione, non fatturabile ai sensi dell'art. 15 d.p.r. n. 633/1972 (sul punto la CTP ha statuito che "la differenza di euro 36.000,00 che nel contratto di subappalto è portata quale deposito cauzionale non prova lo svolgimento di un'attività lavorativa oltre a quella fatturata"). Precisa il ricorrente che quanto affermato dalla CTR, a proposito del fatto che l'apertura della contabilità aziendale per l'anno 2005 da parte della ditta E.V. con il conto credito verso fornitori non inficerebbe le conclusioni raggiunte, non prova quanto vorrebbe presumere il giudice tributario, mancando i caratteri di gravità, precisione e concordanza della relativa presunzione.

Infine il ricorrente eccepisce l'esistenza di giudicato interno: avendo con l'appello l'Ufficio chiesto genericamente la riforma della sentenza di primo grado e la legittimità di tutti i recuperi effettuati, senza impugnare il capo della sentenza che riconosceva la natura non imponibile della somma di euro 36.000,00, su quest'ultimo capo si è formato il giudicato.

Il motivo è inammissibile. La censura attiene non al procedimento logico della decisione, ma all'apprezzamento di merito in ordine alla congruenza probatoria delle circostanze di causa. Trattasi di profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità.

Quanto all'eccezione di giudicato interno va osservato che la questione relativa alla natura giuridica dell'importo di euro 36.000,00 non atteneva a pretesa impositiva distinta da quella relativa alla mancata fatturazione di ricavi nell'anno 2005, ma rappresentava fatto impeditivo, opposto dal contribuente, in ordine alla pretesa impositiva in discorso. La questione non era dunque estrinseca al rapporto tributario oggetto dell'atto di appello con il quale l'Agenzia delle Entrate ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado che aveva posto nel nulla la pretesa impositiva derivante dalla mancata fatturazione di ricavi nell'anno 2005. Impugnando la pronuncia relativa al rapporto tributario dedotto in giudizio l'Ufficio ha evidentemente censurato anche l'efficacia del fatto impeditivo opposto. L'eccezione di giudicato interno è pertanto infondata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 5.600,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.