Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 marzo 2016, n. 5262

Lavoro - Cessione del ramo d'azienda - Trasferimento alle dipendenze della cessionaria - Dissenso dei lavoratori

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., modificata nei termini che seguono, lette le memorie depositate dalle parti.

2. La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 23.9.2013, respingeva il gravame svolto da T.I. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l'inefficacia, nei confronti delle attuali parti intimate, della cessione del ramo d'azienda concluso dalla società con M.P.F. s.p.a. e, quanto a S.F., della cessione del rapporto di lavoro, e per l'effetto, con riferimento a tutti i lavoratori in epigrafe indicati, la persistenza del rapporto di lavoro tra le parti originarie.

3. La Corte territoriale rilevava che il dissenso esplicito dei lavoratori, per iscritto ed inequivoco, al trasferimento (con riferimento a S.) e alla cessione (quanto a tutti gli altri dipendenti in epigrafe indicati) confliggeva con qualsiasi ipotesi di acquiescenza o comportamento concludente, in senso adesivo, all'accettazione del trasferimento alle dipendenze della cessionaria; riconosceva l'interesse ad agire in giudizio dei lavoratori nella vicenda traslativa del rapporto di lavoro; infine, richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla cessione del ramo d'azienda (Cass. 8262/2010), riteneva che la società non avesse dato dimostrazione di aver effettivamente enucleato distinti rami di azienda, all'atto della cessione (dei settori Manutenzione e Servizi ambientali, nell'ambito della struttura di "F.M."), in tal senso parzialmente correggendo la motivazione della sentenza gravata.

4. In particolare, i Giudici del gravame, pur rilevando la non essenzialità del requisito della preesistenza del ramo d'azienda alla cessione, a mente del novellato art. 2112 c.c. applicabile ratione temporis, ritenevano indimostrato in giudizio il valore dell'avviamento pertinente ai rami d'azienda, anch'esso oggetto del contratto di cessione; l'incoerenza della dotazione dell'attività economica oggetto del trasferimento, per essere la cessione dei soli arredi (e non anche degli immobili) inidonea a rendere possibile lo svolgimento dell'attività ceduta; indimostrata l'autonomia della cessionaria nella gestione dei predetti servizi (di manutenzione e ambientale); indimostrato il particolare Know-how di cui erano dotati i lavoratori ceduti, risultati, all'esito dell'istruttoria testimoniale, in possesso di ordinarie conoscenze professionali, adeguate al livello di inquadramento contrattuale non particolarmente elevato; ed infine, per la mancanza di autonomia funzionale nell'operatività della cessionaria, l'esclusione di elementi per individuare rami d'azienda.

5. T.I. s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi.

6. I lavoratori hanno resistito, con controricorso, ed eccepito la novità della questione, posta dalla ricorrente, della rilevanza di un preteso comportamento attivo dei lavoratori pretermesso, dalla Corte territoriale, ai fini della configurabilità di un comportamento concludente all'accettazione della cessione, assumendo che la condotta commissiva dei lavoratori (che, nel frattempo, avrebbero svolto la prestazione lavorativa in favore della cessionaria) non era stata dedotta nel giudizio di merito nel quale era stata, invece, devoluta soltanto l'inerzia dei lavoratori protratta nel tempo prima di promuovere l'azione in giudizio (la condotta omissiva).

7. - ATPF. s.p.a. è rimasta intimata.

8. Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dai resistenti, per carenza della procura speciale in favore del difensore di T.I. s.p.a., per essere indicate, nel mandato a margine del ricorso per cassazione, sentenza (numero di ruolo generale) e Corte territoriale diverse da quelle per cui l'impugnazione sarebbe stata svolta.

9. Costituisce, invero, principio costantemente ribadito da questa Corte quello secondo cui il mandato apposto in calce (come nel caso di specie) o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, mandato speciale, senza che occorra, per la sua validità, alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, poiché in tal caso la specialità del mandato è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso od il controricorso al quale essa si riferisce (v., ex multis, Cass. n.15692/2009 e, tra le più recenti, Cass. nn. 18468/14, 1205/15).

10. Nella specie, dunque, è la stessa posizione topografica del mandato a margine della prima pagina del ricorso e prima delle relate di notifica - e, quindi, la stretta e materiale inerenza del mandato al ricorso - che osta a che l'erroneità delle indicazioni sopra riportate possa comportare incertezza sulla riferibilità dello stesso mandato al giudizio di Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale anconetana.

11. Tanto premesso, parte ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di diritto, si duole che la Corte territoriale: non abbia ravvisato nel lungo tempo trascorso (oltre il quinquennio) tra la cessione e il deposito del ricorso una tacita accettazione alla cessione e abbia omesso l'esame di un fatto decisivo per la controversia, vale a dire la condotta commissiva dei lavoratori che hanno dato esecuzione al rapporto di lavoro in favore della cessionaria (primo motivo); abbia ritenuto l'interesse ad agire dei lavoratori (secondo motivo). Infine, critica gli argomenti posti a fondamento della ritenuta illegittimità della cessione (terzo motivo).

12. Il primo motivo svolto dalla società ricorrente, imperniato sull'apprezzamento dato dalla Corte territoriale alla condotta dei lavoratori nel tempo, censurando il preteso rilievo attribuito alla sola condotta omissiva dei lavoratori (l'inerzia serbata nel tempo prima di pretendere tutela in giudizio) e denunciando l'omesso esame di un fatto decisivo (vale a dire la condotta commissiva, per aver dato esecuzione al rapporto di lavoro in favore del cessionario), deve ritenersi inammissibile perché non centrato, in realtà, sulla ragione del decidere emergente dalla sentenza impugnata.

13. Orbene la Corte d'Appello ha rimarcato che "i dipendenti avevano manifestato la loro contrarietà al trasferimento per iscritto e in termini inequivoci, nella immediatezza della notizia" traendone la seguente conclusione: "il che confligge con qualsiasi ipotesi di acquiescenza o comportamento concludente in senso adesivo alla accettazione del trasferimento alle dipendenze della cessionaria" (così la sentenza della Corte territoriale dorica), reputando recessivo, a fronte dell'esplicito dissenso, qualunque ipotesi di acquiescenza o comportamento concludente in senso adesivo alla predetta accettazione.

14. Tale proposizione, che in presenza di un immediato, esplicito e inequivoco dissenso dei lavoratori, ha escluso rilevanza a qualsivoglia comportamento concludente (successivo) in senso adesivo all'accettazione, non è stata fatto segno di alcuna censura, per essere la doglianza incentrata, esclusivamente, sulla proposizione di una diversa lettura della condotta inerte dei lavoratori e sul preteso omesso esame di un fatto, reputato dalla ricorrente decisivo (vale a dire l'esecuzione del rapporto lavorativo per il cessionario, per lungo tempo, integrante l'aspetto commissivo della condotta dei lavoratori nel tempo, a suo dire pretermesso dalla Corte di merito).

15. Ebbene, questa Corte di legittimità ha già ritenuto che affinché possa configurarsi un'acquiescenza tacita ad un provvedimento datoriale, è necessario un atto o un comportamento del lavoratore dal quale sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici di quel provvedimento, e cioè un comportamento assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi dei rimedi concessi dall'ordinamento (cfr. Cass. n. 26957/2013, in fattispecie, simile alla vicenda all'esame, in cui il lavoratore aveva manifestato in forma espressa il dissenso alla cessione e, a seguito della cessione, prestato attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria).

16. La sentenza impugnata, che ha attribuito valore pregnante all'esplicito, inequivoco ed immediato dissenso manifestato per iscritto dai lavoratori, si è pertanto conformata al principio appena richiamato e la società ricorrente, svolgendo il mezzo d'impugnazione in esame, che alla predetta manifestazione di volontà dedica, sminuendone la portata, un mero cenno (di tale tenore: "Poco importa che i lavoratori abbiano impugnato il trasferimento all'indomani dello stesso"), non ha introdotto alcuna argomentazione idonea ad invalidarne la ratio decidendi.

17. Il secondo motivo non merita accoglimento, come già ritenuto da questa Corte (v., ex multis, Cass. 8756/2014), posto che deve riconoscersi l'interesse concreto ed attuale del lavoratore, in un contesto di incertezza non eliminabile se non attraverso il ricorso alla giurisdizione, all'individuazione del soggetto con il quale deve ritenersi intercorrere il suo rapporto di lavoro.

18. La Corte territoriale, che nella vicenda all'esame ha altresì evidenziato l'interesse, per ciascun dipendente, "ad evitare il passaggio sotto altro datore di lavoro sul quale possa riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell'attitudine a proseguire nel tempo e con continuità l'attività produttiva", sul presupposto fattuale, non contrastato in questa sede, dell'avvio delle procedure di mobilità da parte della cessionaria per riduzione di personale, con sospensione dal lavoro e collocamento in cassa integrazione dei lavoratori (con esclusione di M., destinatario di un provvedimento di licenziamento), si è pertanto correttamente conformata al principio secondo cui sussiste l'interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo d'azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e perciò l'inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso; ne' questo interesse è escluso dalla solidarietà di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell'art. 2112 c.c., la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto "esistenti" al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde ben può considerarsi l'esistenza di un pregiudizio a carico del ceduto nel caso di cessione dell'azienda a soggetto meno solvibile (v. Cass. n. 8756/2014 cit.)

19. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia esclusivamente la violazione di legge (art. 2112 c.c.).

20. Come già ritenuto da questa Corte con riferimento alle vicende traslative che hanno interessato rami d'azienda da T.I. S.p.A. ad altre società (v., ex multis ,Cass. n.16262/2015), «ai sensi dell'art. 2112 c.c. (sia nel testo previgente, sia in quello modificato, in applicazione della direttiva n. 50/98/CE, dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) deve intendersi come ramo autonomo d'azienda, in quanto tale suscettibile di trasferimento riconducibile alla disciplina della norma citata, ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento medesimo, conservi la propria identità.

21. Ciò presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito (v. Cass. n. 8017/06; Cass. n. 2489/08 nonché, in controversie sempre relative a cessione di rami T., Cass. n. 21711/12; Cass. n. 20095/13; Cass. n. 22627/13; Cass. n. 22742/13; Cass. n. 9949/14).

22. Ne discende che si applica l'art. 2112 c.c. anche in caso di cessione di parte dello specifico settore aziendale, purché si tratti di un insieme organicamente finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento (e, dunque, non solo teorica o potenziale).

23. Ciò è confermato da Corte di giustizia UE 6.3.14 n. O- 458/12, dalla quale risulta che: a) non si ha trasferimento di ramo d'azienda qualora il ramo non preesista alla cessione; b) in tal caso spetta all'Ordinamento nazionale il compito di garantire il lavoratore.

24. In presenza dei presupposti sopra indicati, si considerano facenti parte del ramo d'azienda anche i dipendenti adibitivi, sicché ex art. 2112 c.c. i rispettivi rapporti vengono trasferiti senza necessità di un loro consenso.

25. Resta fermo, tuttavia, che il lavoratore può far valere in giudizio la non configurabilità del trasferimento di un ramo d'azienda ove manchino i presupposti previsti dalla legge e grava su T.I. l'obbligo di dimostrare che i lavoratori ricorrenti in primo grado appartenessero al ramo d'azienda ceduto già prima del suo trasferimento» (v., in tal senso, Cass. n.16262/2015 cit.).

26. Nel caso in esame la sentenza impugnata si fonda sul rilievo secondo cui la T., a tanto onerata, non aveva fornito prova dell'autonomia funzionale dei settori denominati Manutenzione e Servizi ambientali, nell'ambito della struttura di "F.M.", tali da poterli individuare come rami d'azienda.

27. La pertinente censura a tale affermazione, come già ritenuto da questa Corte per la medesima vicenda traslativa (v., ex multis, Cass. 8756/2014) non può dunque concretizzarsi soltanto nella pretesa irrilevanza degli elementi indicati dalla Corte territoriale come necessari a tal fine, ma avrebbe dovuto essere svolta, in positivo, attraverso la precisa indicazione delle fonti di prova, ritualmente acquisite al processo, dalle quali, se esaminate, si sarebbe dovuto ritenere assolto il predetto onere probatorio.

28. La ricorrente non specifica tuttavia quali siano, e tanto meno in che termini e modi sarebbero state acquisite, siffatte fonti di prova e non indica le emergenze processuali dalle quali desumere che i rami ceduti configurassero una realtà produttiva funzionalmente autonoma, per suffragare la legittimità dell'operato trasferimento.

29. I motivi all'esame non possono pertanto trovare accoglimento.

30. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

31. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

32. Non è luogo a provvedere al riguardo nei confronti della parte rimasta intimata.

33. La circostanza che i ricorsi siano stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

34. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

35. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese in favore dei lavoratori intimati, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge; nulla per le spese quanto alla società rimasta intimata. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. a 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.