Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2016, n. 5205

Tributi - Accertamento induttivo - Attività di albergo con ristorante e bar - Sensibile scostamento fra i ricavi denunciati e quelli presumibili da una normale e proficua gestione - Inadeguatezza dei dati presi dall'Ufficio a base del procedimento induttivo - Omessa prova di vizi di tenuta della contabilità - Nullità dell’intero atto

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti di S. B. in liquidazione s.r.l., esercente albergo con ristorante e bar, venne emesso avviso di accertamento relativo all'anno 1998 con cui si ricostruivano i ricavi, oltre al recupero di costi non inerenti. Il ricorso della contribuente venne parzialmente accolto dalla CTP, la quale da un lato ritenne i fondamenti dell'accertamento "discutibili e...privi di verificabile attendibilità", non essendosi detratto il c.d. sfrido, né separato i pranzi nuziali dai pasti ordinari, ed essendosi ipotizzato l'utilizzo di quantità di merce sicuramente inferiore a quella che poteva essere ragionevolmente utilizzata per la preparazione delle varie portate, dall'altro ravvisò "un sensibile scostamento fra i ricavi denunciati e quelli presumibili da una normale e proficua gestione", dimezzando i maggiori ricavi accertati. Proposero appello la contribuente, insistendo per il totale annullamento dell'avviso, e appello incidentale l'Ufficio, reputando "arbitraria" "la riduzione della metà dei ricavi operata dal giudice dì prime cure". La Commissione Tributaria Regionale della Basilicata accolse l'appello principale e respinse quello incidentale sulla base della seguente motivazione.

La CTP ha rilevato l'inadeguatezza dei dati presi dall'Ufficio a base del procedimento induttivo, ma si è limitata ad un accoglimento parziale dell'impugnazione "per una considerazione che rimane avulsa tanto dai motivi di doglianza della società ricorrente, quanto dalle avverse deduzioni dell'Ufficio. Difatti non può "salvare" la legittimità dell'atto impositivo l'addotta considerazione circa lo scostamento ritenuto sussistente tra i ricavi dichiarati e quelli presuntivamente conseguibili attraverso una normale e proficua gestione. Invero non è dato ammettere l'esistenza di un imprenditore che non si prodighi per ottenere il "massimo risultato" dalla gestione della sua attività economica. I ricavi che egli consegue sono quelli effettivamente ottenuti secondo l'andamento del mercato e non quelli che avrebbe potuto conseguire, quasi fosse possibile supporre un esito ottimale standardizzato, sempre dello stesso livello, a conclusione di ogni ciclo produttivo, per qualsivoglia esercizio imprenditoriale. Un risultato di tal natura, appiattito nella sua consistenza apicale, è semplicemente una fantasiosa congettura che giammai può costituire punto certo di riferimento per presumere un occultamento di ricavi.

Una siffatta operazione può essere svelata solo dai constatati vizi di una contabilità adulterata e/o da altre alterazioni riscontrate nella tenuta dei registri obbligatori e, ancora da controlli incrociati. Orbene, solo per quanto sin qui considerato, sarebbe spettato ai giudici provinciali di accogliere in toto (e non parzialmente) il ricorso. A tutto ciò aggiungasi che tanto nelle controdeduzioni di primo grado quanto in quelle riportate nell'appello incidentale, la difesa dell'Ufficio finanziario s'è incentrata nel sostenere la correttezza procedurale delle proprie operazioni relative alle fasi del controllo ispettivo e del successivo accertamento, senza peritarsi di smentire la esattezza matematica dei conteggi offerti dalla società verificata, in entrambi i gradi del giudizio, attestanti un non perpetrato occultamento di ricavi e, quindi, di reddito".

Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. e in subordine omessa motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c. Espone la ricorrente che la CTR ha affermato che l'Ufficio non avrebbe avversato l'impugnata sentenza "nella parte in cui evidenzia i singoli addebiti attribuiti a carico dell'accertamento" e non avrebbe fatto "nessun accenno in opposizione ai conteggi prospettati dalla società appellante". Osserva che in sede di appello {v la sentenza della CTP è stata censurata globalmente per la sua "arbitrarietà" e ( che si sono evidenziate sia l'erroneità della quantità di detrazioni operate nei calcoli di parte che le ammissioni del legale rappresentante in sede di p.v.c., ed in particolare quella secondo cui "tanto il bar quanto il ristorante sono aperti al pubblico diverso dalla clientela dell'albergo". Lamenta la ricorrente che la CTR ha omesso di decidere in ordine alle censure contenute nell'appello incidentale.

In via subordinata la ricorrente lamenta l'omessa motivazione da parte della CTR in ordine alle circostanze di cui sopra, rimaste senza alcuna spiegazione trascurate dalla sentenza.

Il motivo è inammissibile. La ricorrente non lamenta la mancata pronuncia sull'appello incidentale, ma la pretermissione di una serie di deduzioni contenuta nell'atto di appello. Va rammentato che il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112, cod. proc. civ., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un'eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per "error in procedendo", censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 4, cod. proc, civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull'eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell'ambito di quella domanda o di quell'eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. L’erronea sussunzione nell'uno piuttosto che nell'altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l'inammissibilità del ricorso (fra le tante Cass. 11 maggio 2012, n. 7268). La ricorrente lamenta il mancato esame delle questioni evidenziate nel motivo di ricorso, sicché la censura va posta nei termini dei vizio motivazionale. La denuncia di omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 è stata proposta in via subordinata, ma risulta del tutto carente il requisito di cui all'art. 366 bis c.p.c. (che risulta invece formulato sotto il profilo dell'omessa pronuncia).

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600/1973, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che in sede di p.v.c. era stata riscontrata la mancata tenuta della contabilità di magazzino per il raggruppamento dei beni in categorie omogenee per natura e valore ai sensi dell'art. 59 TUIR, da cui l'inattendibilità della contabilità e l'ammissibilità dell'accertamento induttivo, con correlativa inversione dell'onere della prova. Aggiunge che per smentire l'accertamento, condotto su dati rilevati dalla realtà aziendale e dalle dichiarazioni della parte, la contribuente avrebbe dovuto opporre prove contrarie, e non un'altra presunzione semplice. Illegittimo è dunque per la ricorrente l'addebito fatto all'Ufficio di non avere fatto "opposizione ai conteggi prospettati dalla società appellante", perché non l'Ufficio doveva opporsi agli assunti della contribuente, ma doveva quest'ultima dimostrare l'infondatezza delle presunzioni a base del l'accerta mento.

Il motivo è inammissibile. La ricorrente attribuisce all'affermazione contenuta in sentenza secondo cui l'Agenzia delle Entrate non avrebbe fatto "opposizione ai conteggi prospettati dalla società appellante" un significato che violerebbe la regola sull'onere della prova in quanto porrebbe a carico dell'Ufficio l'onere di contestazione e dimostrazione dell'assunto della contribuente. Il passaggio della sentenza impugnata va letto nel complesso dell'intera motivazione e la sua portata va interpretata con quanto successivamente rilevato, e cioè che la difesa dell'Ufficio finanziario non ha contestato l'"esattezza matematica dei conteggi offerti dalla società verificata, in entrambi i gradi del giudizio, attestanti un non perpetrato occultamento di ricavi e, quindi, di reddito". In tal modo la CTR ha inteso riconoscere che mediante i conteggi "attestanti un non perpetrato occultamento di ricavi e, quindi, di reddito" la contribuente ha assolto il proprio onere probatorio, ed era a questo punto compito dell'Ufficio replicare a conteggi che il giudice di merito ha reputato "esatti" dal punto di vista matematico. La censura non coglie quindi la ratio decidendi della sentenza.

Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 2730 ss. c.c. ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che l'accertamento doveva essere confermato in presenza delle dichiarazioni confessorie in ordine ai quantitativi di materia prima utilizzati per le singole porzioni, coincidenti con quelli assunti a base dai verificatori, e in ordine al pieno carattere di pubblico esercizio del bar, autonomo rispetto a ristorante e albergo, non potendo tali dichiarazioni essere semplicemente smentite da affermazioni contrarie In giudizio.

Il motivo è inammissibile. La censura muove dall'accerta mento di un presupposto di fatto, l'esistenza di dichiarazioni del legale rappresentante della società aventi contenuto confessorio, di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata. Indipendentemente dalla questione che spetta al giudice di merito la valutazione in termini di confessione della dichiarazione resa da una delle parti del giudizio, l'esame del motivo presuppone un'indagine di merito in ordine all'esistenza di dichiarazioni ed alla loro valutazione circa l'eventuale portata confessoria che è preclusa nella presente sede di legittimità.

Nulla per le spese in mancanza della partecipazione della controparte al giudizio.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile i motivi di ricorso.