Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2016, n. 5201

Tributi - Accertamento - Discontinuità dei valori dichiarati delle rimanenze di magazzino - Rimanenze finali superiori delle giacenze iniziali dell’anno successivo - Applicazione del metodo induttivo - Contabilità inattendibile - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti di R.A. vennero emessi due avvisi di accertamento, rispettivamente per l'anno 2004 e l'anno 2005, con cui si ricostruivano in via induttiva i ricavi ai sensi dell'art. 39, comma 2, lett. d) d.p.r. n. 600/1973. In sede di p.v.c. era emersa una discontinuità delle rimanenze di magazzino, ed in particolare mentre per l'anno 2004 risultavano rimanenze finali dichiarate per euro 108.555,00, per l'anno 2005 vennero dichiarate rimanenze iniziali per euro 25.000,00.

Nell'avviso relativo all'anno 2004 i maggiori ricavi vennero determinati quale differenza fra il valore delle rimanenze finali 2004 ed il valore delle rimanenze iniziali 2005. Quanto alla determinazione dei ricavi per il 2005, si procedette come segue. Il valore delle rimanenze in magazzino alla data del p.v.c. (7 febbraio 2008) era pari ad euro 356,73: l'Ufficio procedette quindi al calcolo del ricarico medio ponderato nella misura del 105,30% e sulla base dei dati in possesso determinò induttivamente il valore del magazzino al momento dell'accesso nella misura di euro 18.569,45; si ritenne quindi che la differenza fra quest'ultimo valore e quello di euro 356,73, pari ad euro 18.212,72, costituiva il valore dei beni venduti negli anni 2005 e 2006, per cui, applicata la suddetta percentuale di ricarico, i ricavi non contabilizzati ammontavano ad euro 37.390,72, importo ripartito in parti eguali per il 2005 ed il 2006. Sulla base della discontinuità delle rimanenze di magazzino per gli anni 2004 e 2005, e dell'omessa presentazione dei dettagli delle rimanenze di magazzino per gli anni dal 2004 al 2005, vennero così ritenute inattendibili le scritture contabili.

Propose distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento il contribuente deducendo l'insussistenza dei presupposti per la ricostruzione induttiva dei ricavi e l'illegittimità degli avvisi per essere stati sottoscritti da parte di soggetto (il capo-area controllo) privo del potere di firma ed, in ogni caso, per mancato deposito della delega. Con distinte sentenze di identica motivazione la CTP accolse i ricorsi, reputando inattendibile la ricostruzione induttiva operata dall'Ufficio.

L'Ufficio propose appello nei confronti della sentenza relativa all'anno d'imposta 2004, prestando acquiescenza a quella relativa all'anno d'imposta 2005. La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte accolse l'appello sulla base della seguente motivazione.

"Sulla eccezione di inammissibilità dell'appello per essere stato sottoscritto non dal direttore dell'Agenzia ovvero da direttore dell'Ufficio, ma dal capo Ufficio privo di delega (...) la Direzione con memoria integrativa del 19.7.2011 precisa che il Capo Ufficio Controlli è stato incaricato della funzione con atto del Direttore Regionale 13.7.2010 n. 41021, l'eccezione deve essere respinta in quanto non supportata da alcun elemento probatorio e la titolarità al contenzioso per gli uffici non necessita di deleghe specifiche rientrando nelle funzioni attribuite per legge o atti aventi natura regolamentare...Il passaggio in giudicato della sentenza 38/17/10 che ha annullato l'avviso di accertamento 2005 non produce effetti di giudicato interno vincolante per l'accertamento anno 2004 in quanto i criteri di determinazione dei maggiori ricavi sono diversi. Per quanto riguarda l'anno 2004 l'Ufficio ha ricostruito induttivamente i ricavi muovendo dalla differenza tra rimanenze finali 2004 e giacenze iniziali 2005 dichiarate dal medesimo contribuente, a tale differenza è stata applicata una percentuale di ricarico media. La evidente inattendibilità delle scritture contabili ha legittimato l'accertamento induttivo basato su elementi contabili provenienti dalle dichiarazioni del contribuente che non ha fornito giustificazioni dell'evidente anomalia contabile. Il ricarico percentuale per ogni prodotto discende da una media ottenuta riscontrando il prezzo di vendita al pubblico della merce presente al momento dell'accesso e il costo sostenuto per l'acquisto risultante dalla fatture esibite dal contribuente. In base a tali dati si è ricavata la media ponderale poi applicata nella misura del 105,30%. Il contribuente non ha giustificato e dimostrato la discrepanza tra le rimanenze finali di magazzino e le esistenze iniziati se non con ricostruzioni alternative che non possono assurgere ad assolvimento dell'onere della prova contraria su di lui incombente".

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 2909 c.c. ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva il ricorrente che la sentenza della CTP per l'anno 2005 costituisce giudicato esterno in quanto con essa è stato accertata, con le medesime motivazioni di quella relativa all'anno 2004, l'inattendibilità della ricostruzione induttiva operata dall'Ufficio ai sensi dell'art. 39, comma 2, lett. d) d.p.r. n. 600/1973.

Il motivo è infondato. In materia tributaria, l'effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l'efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie "tendenzialmente permanenti" in quanto suscettibili di variazione annuale (da ultimo Cass. 11 marzo 2015, n. 4832). Con il motivo di censura si deduce solo una coincidenza di motivazione fra le sentenze relative alle due annualità, ma non si deducono i presupposti che consentono di collegare l'effetto del giudicato. Peraltro, l'accertamento del giudice di merito è nel senso che, con riferimento alle due annualità, "i criteri di determinazione dei maggiori ricavi sono diversi" (ed i criteri adottati risultano analiticamente descritti nello "svolgimento del processo" della sentenza impugnata).

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 2, lett. d.p.r. n. 600/1973, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Lamenta il ricorrente che la CTR avrebbe dovuto verificare se il reddito ricostruito induttivamente fosse effettivamente quello attribuibile al contribuente, valutando in particolare se ricorressero gli errori denunciati con l'impugnazione dell'atto impositivo.

Il motivo è inammissibile. La censura comporta un'indagine di merito in ordine al presupposti della pretesa impositiva che è preclusa nella presente sede di legittimità.

Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva il ricorrente che, essendo stato dedotto con le controdeduzioni in appello che il direttore dirigente dell'agenzia fiscale non poteva delegare la rappresentanza per la proposizione del ricorso in appello e che la sottoscrizione dell'appello non era del direttore dell'ufficio, mancando peraltro la delega, non si comprende l'affermazione della CTR secondo cui l'eccezione del contribuente non sarebbe "supportata da alcun elemento probatorio", incombendo sull'Ufficio, e non sul contribuente, il relativo onere della prova.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 11 d. leg. n. 546/1992, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che, posto che il potere di stare in giudizio non può che essere attribuito al direttore dell'ufficio, non si comprende sulla base di quale norma la CTR possa affermare che "la titolarità al contenzioso per gli uffici non necessita di deleghe specifiche rientrando nelle funzioni attribuite per legge o atti aventi natura regolamentare".

I motivi terzo e quarto sono infondati. Benché in rubrica sia indicato l'art. 360 n. 5 c.p.c., con la censura si denuncia chiaramente un vizio di violazione di legge. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. 24 luglio 2013, n. 17931). In tema di contenzioso tributario, gli artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all'ufficio locale dell'agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicché è validamente apposta la sottoscrizione dell'appello dell'ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque, l'usurpazione del potere d'impugnare la sentenza (Cass. 21 marzo 2014, n. 6691; 9 gennaio 2014, n. 220; 15 gennaio 2009, n. 874). L'onere della prova incombe quindi sui contribuente, e non sull'Ufficio.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 56 d. leg. 546/1992, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Espone il ricorrente che nel ricorso introduttivo;al punto novererà stata eccepita l'illegittimità degli avvisi di accertamento per essere stati sottoscritti da parte di soggetto (il capo-area controllo) privo del potere di firma e, in ogni caso, per mancato deposito della delega e che in sede di controdeduzioni in appello ed appello incidentale si concludeva nei termini seguenti: "vengono riproposti tutti gli altri motivi, che vengono integralmente richiamati, stante la natura assorbente dei tre primi vizi accolti del ricorso introduttivo". Osserva che, nonostante la CTR abbia affermato che "le questioni di legittimità dell'avviso di accertamento proposte in 1° grado da parte appellata non sono state riproposte", nulla poteva lasciar intendere che la volontà del contribuente fosse stata quella di rinunciare ai motivi di cui al punto nove del ricorso introduttivo.

Il motivo è infondato. Ai fini della rituale riproposizione della questione non è sufficiente un generico richiamo ai motivi del ricorso di primo grado, ma è necessaria, come previsto dall'art. 56 d. leg. n. 546/1992, la "specifica riproposizione", vale a dire un'espressa riformulazione della questione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 21506; 27 marzo 2003, n. 4625).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 7.290,00 per compenso, oltre te spese prenotate a debito; ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.