Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2016, n. 4865

Licenziamento - Superamento del periodo di comporto - Errati calcoli dei giorni di assenza per malattia - Violazione del principio di buona fede contrattuale

Svolgimento del processo

1. - La sentenza attualmente impugnata (depositata il 21 gennaio 2013 e notificata l'8 febbraio 2013) - in accoglimento dell'appello di F. M. avverso la sentenza n. 1253/2011 del Tribunale di Roma e in riforma di tale sentenza - dichiara illegittimo il licenziamento irrogato al M. da C. Servizi s.p.a. il 9 maggio 2007 e, per l'effetto, condanna la suddetta società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondergli l'importo delle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento fino all'effettiva reintegra, oltre agli accessori di legge.

La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) va respinto il primo motivo di appello, con il quale il M. addebita al primo giudice l'omessa considerazione del valore vincolante per la società dei calcoli di assenza per malattia da essa stessa effettuati e posti a base del licenziamento;

b) deve essere, infatti, precisato che non sussiste alcun vincolo per la datrice di lavoro di attenersi ai propri (nella specie: errati) calcoli dei giorni di assenza e che, comunque, la volontà negoziale di recesso si forma soltanto all'esito del completamento e del superamento del periodo di comporto, sicché in quel momento la datrice di lavoro ben può correggere eventuali precedenti calcoli errati dei giorni di assenza ed eventualmente decidere di recedere dal rapporto di lavoro;

c) anche il secondo motivo di appello - con il quale il lavoratore prospetta la violazione del principio di buona fede contrattuale - va rigettato, in quanto tale violazione può dare luogo soltanto ad una pretesa risarcitoria nella specie non azionata e non può influire sulla validità o l'efficacia dell'atto di recesso, il che nella specie appare del tutto evidente ove si consideri che, secondo l'appellante, la suddetta violazione sarebbe ravvisabile nelle comunicazioni periodiche inviategli dalla società quando non sussisteva neppure in nuce la volontà di recesso, pertanto la violazione stessa - "seppure in ipotesi esistente" - non potrebbe comunque ripercuotersi sulla validità del recesso;

d) infondato è anche il terzo motivo d'appello, con il quale si deduce la violazione del principio di affidamento incolpevole per induzione in errore, in quanto, come affermato dal primo giudice, la disciplina del CCNL in materia di comporto prevede l'onere per il lavoratore dell'esatto computo dei giorni di assenza e l'eventuale rilevanza dell'induzione in errore potrebbe rilevare solo in caso di errore incolpevole o scusabile commesso dal lavoratore al riguardo, ipotesi che qui non si verifica perché la lunghezza del periodo di assenza comportava una particolare attenzione da parte dell'interessato nel conteggiare i giorni di assenza al fine di non superare il periodo di comporto;

e) da accogliere è, invece, l'ultimo motivo di appello con il quale si contesta il rigetto da parte del Tribunale della censura di rinuncia tacita della datrice di lavoro al potere di recesso;

f) con atti successivi alla scadenza del periodo di comporto (pacificamente avvenuta in data 1 dicembre 2006) - telegramma del 2 dicembre 2006 e nota del 3 dicembre 2006 - la società ha comunicato al M. la propria volontà di riammetterlo in servizio dopo la sospensione del rapporto per malattia, all'unica ed esclusiva condizione dell'esito positivo della visita medica collegiale presso la ASL di Viterbo, esito che è rimasto totalmente estraneo al thema decidendum del presente giudizio;

g) benché - come rilevato dal primo giudice - in tali atti si faccia riferimento ad un possibile recesso, tuttavia tale eventualità viene prefigurata esclusivamente nell'ipotesi di esito negativo della suddetta visita medica (in termini di permanente inidoneità al lavoro), il che dimostra che vi sia stata una univoca rinuncia - all'epoca - di esercitare il potere di recesso per una ragione del tutto diversa, quale quella del "matematico superamento del periodo di comporto";

h) pertanto il licenziamento de quo deve considerasi illegittimo perché ingiustificato, in quanto irrogato per una ragione della quale il datore di lavoro aveva tacitamente ed univocamente rinunciato ad avvalersi ai fini dell'esercizio del proprio potere di recesso.

2. - Il ricorso di C. Servizi s.p.a., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, F.M., che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per un motivo, cui replica la società, con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti perché proposti avverso la medesima sentenza.

I - Sintesi dei motivi del ricorso principale

1. - Il ricorso principale è articolato in tre motivi.

1.1. - Con il primo motivo C. Servizi s.p.a. denuncia, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussone fra le parti.

Al riguardo, in primo luogo, si deduce la asseritamente omessa considerazione, da parte della Corte d'appello, del fatto che il telegramma e la nota di identico contenuto inviati dalla società al M. non riguardavano e non affrontavano affatto la questione del superamento del periodo di comporto, in quanto inerivano ad atti antecedenti la scadenza del periodo di comporto, cioè, alla richiesta della visita medico-collegiale formulata dalla società il 27 novembre 2006, a seguito del referto medico della ASL di Viterbo in data 4 ottobre 2006, nel quale si consigliava la valutazione dell'idoneità al servizio, "visto il cronicizzarsi della patologia causa di assenza".

Ne consegue che le suddette comunicazioni non potevano essere in alcun modo interpretate come rinuncia ad avvalersi del potere di recesso, tanto più che le stesse non erano affatto successive alla scadenza del periodo di comporto - come si rileva anche dal ricorso introduttivo del giudizio - visto che entrambe sono datate 1 dicembre 2006 (giorno di scadenza del periodo di comporto), anche se sono pervenute al destinatario, rispettivamente il 2 dicembre 2006 e il 3 dicembre 2006, date, queste ultime, prese in considerazione nella sentenza impugnata.

Neppure la Corte territoriale avrebbe valutato che il M. il giorno 1 dicembre 2006 era ancora assente per malattia e che tale malattia si è protratta sino al 30 novembre 2007.

Si conclude affermando che tutte le suindicate "questioni di fatto", ritualmente ricomprese nel thema decidendum, sono state ignorate dalla Corte romana, nonostante il loro carattere decisivo.

1.2. - Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 1 (recte: n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 2110 e 2118 cod. civ., in ordine alla statuizione con la quale la Corte romana ha ritenuto di interpretare la comunicazione della riammissione in servizio, subordinata all'esito della visita medico-collegiale, come rinuncia della società ad avvalersi del potere di recesso per superamento del periodo di comporto, mentre in base alla giurisprudenza di legittimità, fino a quando il lavoratore che sia stato assente per malattia non sia rientrato in servizio la pura e semplice inerzia del datore di lavoro è un "contegno neutro", di per sé non significativo della volontà di rinunciare alla facoltà di recesso e, quindi, inidoneo a determinare l'altrui incolpevole affidamento (si cita: Cass. 25 novembre 2011, n. 24899).

Si aggiunge che a maggior ragione, nella specie, non avrebbe potuto essere configurata a suddetta rinuncia, visto che non vi è stata, di fatto, alcuna ripresa del servizio, in quanto il M. è rimasto assente per molto tempo dopo la scadenza del periodo di comporto, come si è detto.

1.3. - Con il terzo motivo si contesta, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione dell'art. 1227 cod. civ., la statuizione con la quale la Corte d'appello ha condannato la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento fino alla reintegrazione (oltre accessori di legge), senza considerare che dalla data dell'intimazione del licenziamento a quella della proposizione del ricorso in sede giurisdizionale sono intercorsi due anni e mezzo (fatto decisivo), sicché, avendo il M. concorso colpevolmente a dilatare a dismisura il danno subito, dall'entità del risarcimento avrebbero dovuto essere detratti i danni che il lavoratore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (si cita: Cass. 13 giugno 2012, n. 9656).

II - Sintesi del ricorso incidentale condizionato

2. - Con il motivo del ricorso incidentale condizionato il M. denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell'art. 25, comma 13, del CCNL del Personale non dirigente di C. Servizi s.p.a. nonché degli artt. 2110 e 2118 cod. civ., per avere la Corte territoriale errato nell'interpretazione della norma contrattuale sul superamento del periodo di comporto, non avendo considerato che gli effetti del licenziamento decorrevano dallo stesso giorno di scadenza del periodo di comporto (1 dicembre 2006), pertanto non poteva configurarsi alcun superamento del periodo di comporto stesso, se non dal 2 dicembre 2006, come si desume dalla richiamata norma contrattuale.

III - Esame delle censure

3. - L'esame congiunto di tutti i motivi di censura - reso opportuno dalla loro intima connessione - porta al rigetto del ricorso principale, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato (a tale ultimo riguardo, vedi per tutte: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787; Cass. 9 giugno 2010, n. 13882).

4. - I primi due motivi del ricorso principale - da trattare insieme, perché intimamente connessi - sono, in linea generale e complessiva, inammissibili in quanto tutte le censure con essi proposte, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell'intestazione del secondo motivo, sostanzialmente, finiscono con l'esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze probatorie di causa effettuate dalla Corte d'appello, onde pervenire alla conclusione secondo cui con il telegramma del 2 dicembre 2006 e la nota del 3 dicembre 2006 con i quali la società ha comunicato al M. la propria volontà di riammetterlo in servizio dopo la sospensione del rapporto per malattia, alla sola e unica condizione dell'esito positivo della visita medica collegiale presso la ASL di Viterbo la società abbia in modo univoco rinunciato - all'epoca - ad esercitare il potere di recesso per una ragione del tutto diversa, quale quella del "matematico superamento del periodo di comporto".

4.1. - A ciò va aggiunto che un ulteriore specifico profilo di inammissibilità del primo motivo deriva dal fatto che la sua formulazione non è conforme al nuovo testo del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. - di cui all'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (visto che la sentenza impugnata è stata depositata il 21 gennaio 2013 e la novella si applica ai ricorsi avverso sentenze depositate dopo il giorno 11 settembre 2012) - che secondo l'interpretazione delle dalle Sezioni Unite di questa Corte (vedi: sentenze 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054) consolidatasi nella giurisprudenza successiva comporta che la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. 9 giugno 2014, n. 12928). Evenienze che qui non ricorrono.

Del resto, come sottolinea la stessa ricorrente quelle di cui lamenta l'omesso esame, nel primo motivo, sono "questioni di fatto" e non "fatti storici", di cui la ricorrente stessa abbia indicato- nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. - il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tali fatti siano stati oggetto di discussione tra le parti, oltre a dimostrarne in modo congruo la "decisività".

4.2. - L'inammissibilità del secondo motivo risulta poi evidente dal fatto che le censure con esso proposte sono dirette a contestare la valutazione effettuata dalla Corte d'appello nell'ambito della propria discrezionalità in merito alla configurabilità di una rinuncia al potere di recesso da parte della società.

Ebbene tale valutazione, oltre ad essere supportata da congrua e logica motivazione, non si pone in contrasto con gli artt. 2110 e 2118 cod. civ., come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte, in quanto in base a tale giurisprudenza, è la pura e semplice inerzia del datore di lavoro a poter essere considerata, ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto, come un "contegno neutro", di per sé non significativo della volontà di rinunciare alla facoltà di recesso e, quindi, inidoneo a determinare l'altrui incolpevole affidamento, dovendo essere riconosciuto al datore di lavoro uno spatium deliberandi inteso alla concreta verifica di una possibile conservazione del rapporto anche dopo che il lavoratore sia rientrato in servizio (come affermato da Cass. 25 novembre 2011, n. 24899, citata nel ricorso). Ma, nella presente fattispecie - in cui da un lato, non è neppure chiaro se in data 1 dicembre 2006 il M. abbia, o meno, ripreso servizio e, dall'altro lato, l'esito della visita medica collegiale presso la ASL di Viterbo, è rimasto totalmente estraneo al thema decidendum del presente giudizio, come si sottolinea nella sentenza impugnata e non viene specificamente contestato - da quanto afferma non implausibilmente la Corte d'appello non può parlarsi di neutralità del comportamento della società.

4.3. - Infatti ciò che ha indotto la Corte territoriale a ritenere che la società abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere di recesso per superamento del periodo di comporto - accertabile con un semplice calcolo matematico - è stata la circostanza che nel telegramma e nella nota suindicati nel comunicare la riammissione in servizio veniva prefigurata l'eventualità di un possibile licenziamento esclusivamente nell'ipotesi che la suddetta visita medica avesse avuto esito negativo (in termini di permanente inidoneità al lavoro).

Una simile interpretazione - come si è detto, rientrante nel potere di accertamento dei fatti da riconoscere al giudice del merito - oltre ad essere correttamente motivata trova anche riscontro proprio nella suddetta ampia discrezionalità da riconoscere al datore di lavoro per l'irrogazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto essa poggia sulla implicita premessa secondo cui la datrice di lavoro, inviando simili comunicazioni, aveva indotto il destinatario - interessato alla certezza della vicenda contrattuale - ad escludere che il lungo periodo di malattia trascorso fosse, di per sé, incompatibile con il rientro al lavoro - secondo la logica del superamento del periodo di comporto - e a ritenere che la datrice di lavoro intendesse rimettersi all'esito della visita medica per reinserire, o meno, il lavoratore nell'apparato societario, nel modo più utile e conveniente (arg. ex Cass. 28 marzo 2011, n. 703; Cass. 15 settembre 2014, n. 19400; Cass. 6 luglio 2000, n. 9032).

4.4. - Ne deriva che la ricostruzione della volontà abdicativa, effettuata dalla Corte romana con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative al riguardo, ha consentito affermare in termini certi, la sussistenza della anzidetta rinuncia. In questa situazione, appaiono del tutto irrilevanti gli elementi addotti dalla ricorrente in quanto essi:

a) da un lato, non fanno altro che confermare che nel telegramma e nella nota in oggetto - la cui data, ai presenti fini, non è determinante, proprio in considerazione della suddetta ampia discrezionalità del potere datoriale di recesso per superamento del periodo di comporto

- la società CONI Servizi ha fatto esclusivo riferimento alla richiesta della visita medicocollegiale formulata dalla società il 27 novembre 2006, a seguito del referto medico della ASL di Viterbo in data 4 ottobre 2006, nel quale si consigliava la valutazione dell'idoneità al servizio, "visto il cronicizzarsi della patologia causa di assenza";

b) pertanto dimostrano come il mancato richiamo al superamento del periodo di comporto fosse interpretabile - alla luce delle complessive circostanze del caso - come rinuncia ad avvalersi della suddetta causale per l'irrogazione del licenziamento, peraltro avvenuta il 9 maggio 2007.

5. - Il terzo motivo è inammissibile - per quel che si è detto nel precedente paragrafo 4.1.

- per la parte in cui, impropriamente, si invoca la violazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., mentre è infondato per la parte in cui si denuncia la violazione dell'art. 1227 cod. civ.

5.1. - A tale ultimo riguardo va ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) in linea generale, il dovere del danneggiato di attivarsi per evitare il danno secondo l'ordinaria diligenza ex art. 1227, secondo comma, cod. civ., deve essere inteso come sforzo di evitare il danno attraverso un'agevole attività personale, o mediante un sacrificio economico relativamente lieve, mentre non sono comprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza quelle attività che siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (vedi, per tutte: Cass. 11 febbraio 2005, n. 2855);

b) l'onere di diligenza imposto al creditore dall'art. 1227, secondo comma, cod. civ., non si spinge fino al punto di obbligare quest'ultimo a compiere una attività gravosa o rischiosa, quale la introduzione di un processo (Cass. 27 giugno 2007, n. 14853; Cass. 31 luglio 2002, n. 11364; Cass. 29 settembre 2005, n. 19139);

c) la regola di cui all'art. 1227, secondo comma, cod. civ. è applicabile anche al danno da risarcire ex art. 18 Stat.lav. a seguito di un licenziamento dichiarato illegittimo, ma sempre entro i suddetti limiti, il che comporta, in particolare, che l'obbligo di cooperazione del creditore volto ad evitare l'aggravarsi del danno, nell'ambito dell'ordinaria diligenza, ivi previsto, possa riguardare solo quelle attività che non siano gravose, eccezionali o tali da comportare notevoli rischi e sacrifici per il creditore, secondo una valutazione riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione (Cass. 4 dicembre 2012, n. 21712; Cass. 11 maggio 2005 n. 9898; Cass. 6 luglio 2002, n. 9850; Cass. 11 maggio 2005 n. 9898; Cass. 13 giugno 2012, n. 9656);

d) di conseguenza, è da escludere l'imputabilità al lavoratore - ai fini dell'applicazione della riduzione ex art. 1227, secondo comma, cod. civ. del risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro per effetto del licenziamento illegittimo - delle conseguenze dannose discendenti dal tempo impiegato per la tutela giurisdizionale da parte del lavoratore, tutte le volte che - sia che si tratti di inerzia endoprocessuale che di inerzia preprocessuale - le norme attribuiscano poteri paritetici al datore di lavoro per la tutela dei propri diritti e per la riduzione del danno, come accade, ad esempio, in ordine al promovimento del tentativo di conciliazione (Cass. 11 maggio 2005, n. 9898), ovvero nell'ipotesi in cui il lavoratore abbai ritualmente messo in mora la società datrice di lavoro (Cass. 5 giugno 2012, n. 9023), ovvero in ipotesi analoghe (Cass. 26 marzo 2010, n. 7344; Cass. 10 dicembre 2007, n. 25743).

5.2. - Ne consegue che, nella presente fattispecie in cui, fra l'altro, come afferma la stessa ricorrente, la malattia del M. si è protratta sino al 30 novembre 2007, in ogni caso l'art. 1227, secondo comma, cod. civ. non è applicabile, con riguardo all'asserito ritardo nell'instaurazione del giudizio, che peraltro, la ricorrente neppure dimostra sia attribuibile - in linea teorica - a colpa o dolo del M.

Pertanto, non è ravvisabile alcun vizio nella sentenza impugnata per non aver proceduto a detrarre dall'entità del risarcimento del danno posto a carico della società i danni che il lavoratore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, come invece erroneamente sostiene la ricorrente.

IV - Conclusioni

6. - In sintesi, il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale condizionato va dichiarato assorbito. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza della ricorrente principale, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la società ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.