Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2016, n. 4788

Tributi - IRPEG, ILOR ed IVA - Rettifica reddito d’impresa

 

Svolgimento del processo

 

In esito alle indagini svolte dalla Guardia di Finanza e sulla scorta delle risultanze dei PP.VV.CC. redatti il 18 marzo ed il 22 maggio 1995, l’Ufficio di Venezia della Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento nei confronti di Studio Odontoprotesico s.r.l. con i quali rettificava il reddito d’impresa realizzato negli anni 1993-1995 nonché la dichiarazione annuale Iva dell’anno 1995, contestando la omessa contabilizzazione di ricavi e la omessa fatturazione di operazioni attive e passive, e recuperando le relative imposte dovute per IRPEG, ILOR ed IVA.

I giudizi avanti il Giudice tributario, proposti dalla società con distinti ricorsi avverso ciascun atto impositivo, erano definiti in primo grado con il parziale accoglimento dei ricorsi.

II giudizio di appello, proposto dalla società, svoltosi previa riunione delle cause, era definito con sentenza in data 20.6.2006 n. 22 della Commissione tributaria regionale del Veneto che ha annullato tutti gli avvisi opposti.

I Giudici di appello, dopo aver ritenuti sanati i vizi di validità delle notifiche degli atti impositivi, essendo stato egualmente raggiunto lo scopo del procedimento notificatorio attesa la tempestiva opposizione proposta dalla società contribuente, ha ritenuto insussistente la prova della "riferibilità" delle movimentazioni rilevate sui conti correnti bancari dei soci ad operazioni attive e passive effettuate dalla società di capitali o ancora la prova della "percezione" di tali somme da parte della società.

La sentenza d’appello -non notificata- è stata ritualmente impugnata per cassazione, con atto notificato ai sensi dell’art. 149 c.p.c. presso il difensore incaricato ex art. 17. Dlgs n. 546/1992, dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto con tre mezzi vizi di violazione di norme di diritto e vizio di omessa motivazione.

Ha resistito con controricorso e ricorso incidentale la "Società Studio Odontoprotesico s.r.l. in liquidazione, cessata già con sede a S. Maria di Sala in persona del legale rapp.te "prò tempore" sig. Mario Semenzaio" (definitosi nella procura speciale a margine del controricorso "liquidatore" della società "cessata"), deducendo quattro censure.

Con ordinanza interlocutoria in data 13.5.2015 il Collegio, ritenuto necessario verificare pregiudizialmente la corretta instaurazione del contraddittorio, assegnava termine alle parti per deposito di note a chiarimento, e disponeva l’acquisizione della visura camerale presso la CCIAA di Venezia -città in cui risultava aver sede legale la società- dalla quale si evinceva che a far data dal 10 gennaio 2006 la società di capitali era stata cancellata dal registro delle imprese, essendosi pertanto estinta la persona giuridica anteriormente alla stessa udienza di trattazione in grado di appello ed alla pubblicazione della sentenza impugnata per cassazione.

La Agenzia fiscale ha depositato note autorizzate instando per la ammissibilità del proprio ricorso.

 

Motivi della decisione

 

Le cause introdotte, rispettivamente, con il ricorso principale e con il ricorso incidentale debbono essere riunite ex art. 335 c.p.c. essendo state proposte avverso la medesima sentenza di appello.

Preliminarmente rileva il Collegio che, come emerge dalla intestazione del controricorso e contestuale ricorso incidentale, nonché dalla procura speciale apposta a margine dell’atto e trova riscontro nella visura ordinaria della CCIAA di Venezia - acquisita in ottemperanza alla ordinanza del Collegio in data 13.5.2015- , alla data della notifica del ricorso per cassazione (eseguita a mezzo posta presso lo studio dell’incaricato dell’assistenza tecnica in data 12.9.2007: cfr. avviso di ricevimento sottoscritto da impiegato incaricato al servizio del difensore "domiciliatario", che ha ricevuto in consegna l’atto senza rendere noto l’evento estintivo all’Ufficiale giudiziario) la società di capitali -soggetto giuridico debitore- era già estinta in conseguenza della avvenuta cancellazione dal registro delle imprese in data 10.1.2006, giusta il disposto dell’art. 2495 co 2 c.c. (introdotto dall’art. 4 del Dlgs n. 17.1.2003 n. 6 recante riforma organica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative) che ricollega l’effetto "estintivo" delle società dotate di personalità giuridica alla pubblicità costitutiva della iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, con la conseguenza che, estinta la società, i diritti vantati dai creditori della società, rimasti insoddisfatti, avrebbero potuto essere fatti valere esclusivamente nei confronti dei soci e soltanto fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero anche nei confronti del liquidatore ma soltanto nel caso in cui questo avesse versato in colpa. Al riguardo occorre infatti rilevare che, a seguito della cancellazione, si determina -in applicazione dell’art. 2495 c.c.- il sopravvenuto difetto di legittimazione processuale del liquidatore, in quanto il fenomeno successorio che si verifica con la estinzione della società di capitali (privata della capacità di stare in giudizio: Corte cass. SU 12.3.2013 n. 6070), come regolato dalla norma predetta, determina il trasferimento ex art. 110 c.p.c. delle obbligazioni della società direttamente ai singoli soci -che ne rispondono solo in quanto risultino attributari di diritti e beni in base al bilancio finale di liquidazione e soltanto nei limiti di quanto riscosso- sicché, in pendenza di lite, la legittimazione sostanziale e processuale viene acquistata ex art. 110 c.p.c. dai soci, nei cui confronti soltanto, pertanto, debbono essere proposte le eventuali impugnazioni (cfr. Corte cass. IlI sez. 10.11.2010 n. 22830; id. V sez. 16.5.2012 n. 7676 che ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nei confronti della società di capitali cancellata dal registro delle imprese nelle more del processo; id. SU n. 6070/2013 cit.; id. V sez. 6.6.2012 n. 9110 che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio, nel giudizio in cui era stata originariamente parte la società poi cancellata), rimanendo esclusa una concorrente legittimazione processuale dell’ "ex liquidatore" rimasto privo, a seguito della estinzione della società, del potere di rappresentanza di tale soggetto (e dunque anche del potere di conferimento della procura "ad litem" che se rilasciata deve ritenersi affetta da nullità: Corte cass. Sez- 1, Sentenza n. 29242 del 12/12/2008; id. V sez. ord. 3.11.2011 n. 22863), non ricorrendo nel caso di specie la ipotesi di responsabilità "diretta, per colpa" del liquidatore, prevista dall’ultima parte dell’art. 2495, comma 2, c.c., né la ipotesi speciale, disciplinata dall’art. 36, comma 1, del Dpr n. 602/1973 (responsabilità diretta -per il pagamento della imposta - del liquidatore che, durante la esecuzione delle operazioni di liquidazione, abbia omesso di versare in tutto od in parte -in violazione della prelazione- le imposte sui redditi della persona giuridica: su cui vedi Corte cass. V sez. 13.7.2012 n. 11968), né trovando, peraltro, applicazione l’art. 28, comma 4, del Dlgs 21.11.2014 n. 175 (recante "semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata,) che dispone ai fini della "validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi il differimento dell’effetto estintivo alla scadenza del quinquennio successivo alla iscrizione della cancellazione, trattandosi di norma priva di efficacia retroattiva (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 6743 del 02/04/2015).

Cessata la capacità processuale della società, qualora la estinzione fosse stata portata ritualmente a conoscenza della controparte o del Giudice tributario, il giudizio avrebbe dovuto essere interrotto, l’appello proposto dal liquidatore della società cancellata avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile dal Giudice di appello ed il ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia fiscale avrebbe dovuto essere proposto nei confronti dei soci e non della società cancellata (soggetto estinto), e neppure nei confronti dell’ex liquidatore cessato dall’incarico e privato del potere rappresentativo. Nella specie, tuttavia, come è dato desumere dagli atti del processo, tale evento estintivo non è stato dichiarato dal difensore della società, né è emerso dalle relate di notifica di atti processuali compiuti nel corso del processo (anche il ricorso per cassazione della Agenzia delle Entrate, notificato, ai sensi dell’art. 17 Dlgs n. 546/1992, alla società presso il difensore incaricato, è stato da questi regolarmente ricevuto).

In proposito occorre rilevare che il delineato sistema processuale degli effetti estintivi della cancellazione delle società dal registro delle imprese, come interpretato dalla citata sentenza a SS.UU. n. 6070/2013 è stato ulteriormente integrato e chiarito nella successiva pronuncia di questa Corte Sez. U, Sentenza n. 15295 del 04/07/2014, con specifico riferimento al caso di omessa notificazione o mancata dichiarazione in udienza, da parte del procuratore, dell’evento interruttivo morte o perdita della capacità della parte costituita, sentenza da cui stata estratta la seguente massima dell’archivio CED di questa Corte:

"La morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che:

a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 cod. proc. civ., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace;

b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace;

c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, primo comma, cod. proc. civ., senza che rilevi la conoscenza "aliunde" di uno degli eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. da parte del notificante. "

La sentenza delle SS.UU. n. 15295/2014 ha, dunque, inteso aderire e confermare, con riferimento anche al giudizio di cassazione, alla tesi orginariamente affermatasi nella precedente dottrina e giurisprudenza, della "ultrattività" della rappresentanza processuale della parte costituita in giudizio, indipendentemente dagli eventi che possono colpire quest’ultima, richiamandosi alla disciplina del contratto di mandato ex art. 1728 e 1396 c.c. ritenuto applicabile anche al "mandato ad litem" (come si evince dal seguente passaggio motivazionale della sentenza : "Passando, ora, al secondo rilievo (eccezionalità e, dunque, inestensibilità, alle fasi processuali per le quali non è prevista, della disciplina dell'art. 300), pur senza assumere alcuna posizione in ordine a quella dottrina che predica l'autonomia del diritto processuale da quello sostanziale, occorre notare, nell'affrontare il parallelismo tra diritto sostanziale e diritto processuale, che il principio di ultrattività del mandato ad litem non costituisce affatto un'eccezione rispetto alle regole civilistiche concernenti il mandato, bensì segue una logica insita nel sistema sostanziale").

Pertanto, ferma la irrilevanza della dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio di legittimità (giurisprudenza consolidata: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 22624 del 31/10/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 8685 del 31/05/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 3323 del 13/02/2014; id. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 14901 del 16/07/2015) e dunque rimanendo escluso che resistendo nel giudizio di cassazione e dichiarando nel controricorso che la società in liquidazione "è cessata" -ovvero è stata cancellata dal registro delle imprese-, si sia perfezionato il negozio processuale diretto a produrre l’effetto interruttivo del giudizio di legittimità, seguendo i principi di diritto enunciati nella sentenza SSUU n. 15295/2014, deve ritenersi che:

A- la notificazione del ricorso principale della Agenzia fiscale presso il difensore della società estinta (in assenza di dichiarazione o comunicazione dell’evento estintivo) è idoneo ad instaurare il contraddittorio nel giudizio di impugnazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 26495 del 17/12/2014; id. Sez. 3, Sentenza n, 15724 del 27/07/2015),

B- la costituzione in giudizio con controricorso e la proposizione del ricorso incidentale da parte di soggetto - "Società Studio Odontoprotesico s.r.l. in liquidazione, cessata ,già con sede in S. Maria di Sala"- che dichiara, per la prima volta, la estinzione (per intervenuta cancellazione dal registro imprese a far data dall’1.10.2006), deve dichiararsi, inesistente per nullità della procura speciale "ad Uteri", conferita da soggetto ("ex liquidatore" Mario Semenzaio) privo di poteri rappresentativi.

Pertanto dichiarato inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale per nullità della procura speciale ex art. 365 c.p.c. conferita da soggetto privo di potere rappresentativo in nome e per conto di una persona giuridica estinta, per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese a far data dall’10.1.2006 (anteriormente alla udienza di trattazione ed al deposito della sentenza di appello), occorre esaminare i motivi del ricorso principale proposto dall’Agenzia fiscale.

Il primo motivo con il quale si deduce falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 32 Dpr n. 600/73, 21 Dpr n. 633/72 e 2727-2729 c.c. in relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c., è fondato.

Lo svolgimento della argomentazione logico-presuntiva da parte dei Giudici territoriali appare, infatti, inficiato nell’applicazione del criterio di inferenza probabilistica desunto dalla regola di esperienza (normativamente codificata e fondata sui requisiti di serietà, gravità e concordanza degli elementi indiziari richiesti dall’art. 2729 co 1 c.c.) che da un fatto noto conduce alla conoscenza del fatto ignorato oggetto di prova, dalla omessa considerazione di elementi fattuali -acquisiti agli atti del giudizio- suscettibile di ripercuotersi in una difettosa ricostruzione del rapporto dedotto in giudizio, tenuto conto delle indicazioni fomite da questa Corte, in relazione agli accertamenti fiscali in materia di imposte sui redditi (art. 32 co 1 n.7 Dpr n. 600/1973), quanto in materia IVA (art. 51 co 2 n.7 Dpr n. 633/1972), secondo cui lo stretto rapporto familiare con il contribuente del soggetto terzo titolare di con corrente bancario, ovvero la ristretta base personale (nucleo familiare) della partecipazione sociale delle società di capitali, è sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari del familiare o dei soci (cfr. Corte cass. V sez. n. 1728/1999, id. 17.6.2002 n. 8683, id. 12.9.2003 n. 13391 -con riferimento a società di capitali-, id. n. 6743/2007, id. 7.9.2007 n. 18868, id. 21.12.2007 n. 27032, id. 12.1.2009 n. 374, id. 30.12.2009 n. 27947, id. 4.8.2010 n. 18083 -con riferimento a società di persone; id. 24.9.2010 n. 20199 -con riferimento a società di capitali-).

Più recentemente questa Corte ha riesaminato la materia specificamente sotto il profilo del riparto dell’onere della prova, sul presupposto che, secondo la ordinaria disciplina dell’art. 2697c.c., spetta all’Amministrazione finanziaria che contesti i dati esposti nella dichiarazione in verifica, fornire la prova dei maggiori redditi occulti, e che tale prova può essere raggiunta anche mediante l’accertamento di circostanze indiziarie idonee a costituire una valida presunzione, tale dovendo ritenersi quella integrata dal doppio elemento della stretta contiguità (familiare, collaborativa, associativa, ecc.) tra soggetto terzo e contribuente, e del riscontro di movimenti bancari (accrediti , addebiti, ecc.) sul conto intestato al terzo, macroscopicamente incompatibili in quanto eccedenti le capacità reddituali e da quest’ultimo non giustificati in relazione ad altre fonti di reddito ovvero a specifici atti o fatti causalmente idonei a produrre ricchezza. Pertanto se l’Ufficio finanziario può fondare la verifica condotta nei confronti della società contribuente sulle risultanze di conti correnti bancari intestati ad uno dei soci, purché provi adeguatamente che quei determinati movimenti risultanti sul conto personale del socio siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalla società (Corte cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 11145 del 20/05/2011), tale prova può ritenersi raggiunta attraverso i dati registrati sui conti intestati ai singoli socio o all’amministratore, riferendo alla medesima società le operazioni ivi riscontrate (nella specie, prelevamenti), tenuto conto della relazione di parentela tra quelli esistente idonea a far presumere, salvo facoltà di provare la diversa origine delle entrate, la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci (Corte cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6595 del 15/03/2013), in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale (Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 20668 del 01/10/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 26829 del 18/12/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 12276 del 12/06/2015).

Il Giudice di appello, sostenendo che l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto fornire la prova della materiale percezione delle somme movimentate sui conti degli unici due soci, coniugi, ha disatteso l’indicato schema logico presuntivo diretto ad individuare la inferenza tra il fatto noto (ristretta compagine sociale; contiguità familiare; ammontare di importi movimentati sui conti non idoneamente giustificato) ed il fatto ignorato (occultamento di ricavi societari), dovendo in conseguenza la sentenza impugnata essere cassata.

In conclusione dichiarato inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale ed accolto il ricorso principale quanto al primo motivo -assorbiti i motivi secondo e terzo-, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Giudice di appello che procederà a nuovo esame uniformandosi ai principi enunciati da questa Corte, richiamati in motivazione, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

- dispone la riunione delle cause; accoglie il ricorso principale quanto al primo motivo, assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame alla Commissione tributaria della regione Veneto. In diversa composizione, che provvederà a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.