Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2016, n. 4854

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Concordato preventivo - Legale della società - Liquidazione degli onorari - Decreto del giudice delegato - Omologazione del concordato - Istanza di riesame di liquidazione del compenso - Rigetto

 

G. A. impugna l’ordinanza Trib. Latina 11.2.2010 che, rigettando il suo reclamo interposto avverso il diniego della liquidazione del compenso reso con decreto del giudice delegato nel concordato preventivo della società De B. s.r.l., confermò che nessuna ulteriore liquidazione degli onorari di legale poteva essere adottata dopo che lo stesso tribunale, nel decreto di omologazione, aveva provveduto in tal senso.

Ritenne il tribunale che l’avere il decreto di omologazione del concordato preventivo liquidato le spettanze professionali del ricorrente, che aveva ricorso perché asseritamente nominato legale della società dal commissario giudiziale e per quella fase giudiziale e che invece poteva essere considerato destinatario di mandato professionale dalla società stessa, implicasse - indipendentemente dalla correttezza o meno del limitato riconoscimento dei compensi al di sotto dei minimi di legge e non ai sensi della tariffa professionale - la preclusione al superamento del giudicato così formatosi. Nessun difetto di tutela sarebbe stato palesato dalla decisione impugnata, posto che il reclamante ben poteva, ad avviso del tribunale, agire nei confronti della società, per l’opera svolta nell’interesse di questa.

Il ricorso è affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la società in procedura.

 

I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione

 

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 134 cod.proc.civ. e 167 l.f., nonché il vizio di motivazione, avendo eluso il tribunale il punto controverso e decisivo della fonte dell’incarico di assistenza della società in concordato preventivo, se riconducibile a decisione del giudice delegato o invece atto privo di necessità autorizzatoria, benché la procura ad litem fosse stata rilasciata anche dal commissario giudiziale.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 134, 100 cod.proc.civ., 111 Cost., 180 l.f., 2909 cod.civ. e il vizio di motivazione, non avendo il tribunale considerato che se il professionista - come affermato - appariva impedito ad impugnare il decreto di omologazione del concordato ciò determinava un pregiudizio conseguente al passaggio in giudicato di pronuncia resa tra altre parti, tra l’altro senza che la società avesse poi chiesto la liquidazione del compenso a favore del legale e comunque sussistendo violazione di giudicato oggettivo, ove il tribunale aveva implicitamente condiviso il parere del commissario giudiziale che aveva quantificato spese in prededuzione ben più alte e per le prestazioni legali.

1. I due motivi, da trattare congiuntamente per l’intima loro connessione, sono per un profilo inammissibili e per altro infondati. Erra invero il ricorrente ove censura la pronuncia del tribunale promiscuamente addebitandole una motivazione apparente ed al contempo "carente circa un fatto controverso e decisivo per la decisione" (primo motivo) e rispettivamente "illogica e contraddittoria" (secondo motivo). La ricostruzione della vicenda processuale, e dei suoi presupposti di fatto, in base alla decisione impugnata ed anche nel concorso delle allegazioni delle parti in questa sede, permette invero di ricostruire come pacifica la circostanza per cui il legale ora ricorrente non fu nominato dagli organi della procedura di concordato, essendosi il competente giudice delegato, secondo la ricostruzione in fatto adottata con apprezzamento del tribunale e a questo solo rimesso, limitato a prendere atto della nomina invece fatta dalla società debitrice. Tant’è che, nella pronuncia di chiusura della vicenda impugnatoria di merito, il tribunale ha con chiarezza fatto menzione di un "rilascio ... del mandato ad agire in giudico" riferito alla società. L’eventuale integrazione di mandato sottoscritta altresì dal commissario giudiziale non è stata né trascritta né riportata nei suoi estremi essenziali e comunque, anche per come contestata dalla controricorrente, in ogni caso si sarebbe meramente (e superfluamente) aggiunta alla designazione della debitrice, la cui volontà soltanto, realizzando un atto di ordinaria amministrazione ex art. 167 l.f., determinava il corretto allestimento della domanda processuale volta ad instaurare il giudizio di omologazione. Al di là dunque della più semplice portata di prassi di controllo assunta da tale eventuale concorso, la presenza nel mandato anche del commissario giudiziale, dopo che lo stesso giudice delegato aveva solo "preso atto" della avvenuta nomina, si deve intendere, alla luce della sostanziale individuazione del suo decisivo provenire dalla società debitrice, come un apporto valorizzabile nel mero ed unico significato di operazione di verifica ab externo, per una funzione di riscontro di un’operazione riservata al debitore, del tutto ininfluente sulla causa della prestazione professionale così richiesta ed ancor più sulla completezza della fattispecie necessaria alla introduzione del citato giudizio.

La conseguente inammissibilità attiene alla censura sulla motivazione che, nei limiti in cui risulta ammessa ai sensi del co.4 art.360 cod.proc.civ., data la posteriorità della ordinanza alla riforma del 2006, appare priva di reale oggetto: la pronuncia è del tutto completa e chiara nella ricostruzione sia della vicenda del conferimento del mandato, sia del significato attribuibile alla pretesa del legale in relazione alle statuizioni di liquidazione delle spese proprie del decreto di omologazione del concordato preventivo. Sotto questo secondo profilo, invero, il tribunale, nel dare atto del passaggio in giudicato del decreto di omologazione e, in esso, della statuizione assunta quanto alle spese del legale della società, ha per un verso rilevato che quel provvedimento era passato in giudicato ma che esso, per altro verso, non sarebbe stato impugnabile da parte del legale, bensì dalla sola società. Ne consegue che l’apprezzamento di tale decisione è stato reso nel senso di rinvenirvi la mera liquidazione delle spese legali del giudizio di omologazione, oggettivamente intese ed in favore della stessa società, cioè da separare rispetto alla massa dell’attivo del concordato.

2. I motivi sono poi infondati ove avversano il diniego di liquidazione, pronunciato dal giudice delegato e confermato dal tribunale, quanto ai compensi maturati in capo al predetto legale. Sul presupposto, come premesso, che si sia trattato di nomina sostanzialmente conferita dalla società debitrice concordataria e non dagli organi della procedura, la pronuncia si è correttamente attenuta al principio, anche di recente affermato da questa Corte, per cui la liquidazione del compenso al difensore da parte del giudice delegato di un concordato preventivo richiede, ex art. 25, co. 7, l.f., il conferimento del mandato professionale all'avvocato da parte del liquidatore giudiziale della procedura (nella fattispecie decisa da Cass. 23626/2015). Ne consegue che ove, come nel caso, né i giudici né il commissario giudiziale hanno effettivamente incaricato il legale qui ricorrente di patrocinare la società nell’instaurazione del procedimento di omologazione del concordato preventivo, il rifiuto opposto dal giudice delegato di riesaminare la liquidazione delle spese legali contenuta nel decreto di omologazione nel frattempo emesso dal tribunale (e per quanto non ulteriormente impugnato), non deriva tanto dall’acquisita definitività della predetta liquidazione, ma - in questo limitato senso dovendosi correggere la motivazione del tribunale ex art. 384 u.co. cod.proc.civ. - dalla estraneità della procedura alla vicenda professionale attinente al mandato per agire in giudizio e dunque dall’inerenza di tale rapporto esclusivamente alle parti originarie dello stesso, il legale e appunto la società. Ne deriva che anche la questione circa la pretesa erroneità del parametro adottato dal tribunale in sede di omologazione non esprime alcun aspetto rilevante in questa sede, essendo assorbita.

Il ricorso va dunque rigettato, corretta la motivazione come da punto n.2) per essere esatto il dispositivo della decisione impugnata, con condanna alle spese secondo il criterio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, con correzione della motivazione come da parte motiva e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado in favore della contro ricorrente, liquidate in € 2.200 (di cui € 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario del 15% sui compensi e gli accessori di legge.