Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2016, n. 4791

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Appello - Sentenza - Motivazione per relationem alla sentenza di primo grado - Vizio di motivazione - Assenza dei requisiti indispensabili di sufficienza

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria della regione Toscana con sentenza 1.10.2009 n. 44 ha rigettato l'appello dell'Ufficio di Livorno della Agenzia delle Entrate confermando la decisione di prime cure che aveva annullato l'avviso emesso nei confronti di La L. s.r.l. ed avente ad oggetto il recupero della maggiore IVA dovuta dalla società per l'anno 1999.

I Giudici ritenevano che alcun nuovo elemento di valutazione era stato addotto dall'Ufficio appellante e che doveva pertanto essere confermata la sentenza della CTP che aveva correttamente applicato l’art. 15 DL n. 41/1995 e l’art. 13 Dpr n. 633/72, in assenza di prove di maggiori corrispettivi, ed aveva ritenuto infondata la contestazione dell'Ufficio in ordine alla spettanza di agevolazioni fiscali, che dovevano essere riconosciute alla società, non avendo l'Amministrazione finanziaria supportato con idonei elementi probatori la pretesa tributaria.

La sentenza di appello non notificata, è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto con cinque motivi vizi di nullità processuale, violazioni di norme di diritto e vizi di motivazione.

Resiste con controricorso la società, depositando anche memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

La eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla società resistente è manifestamente infondata, assolvendo l'atto ai requisiti di cui all'art. 366 c.p.c.: l'Agenzia fiscale ha infatti adeguatamente illustrato i fatti di causa, trascrivendo il contenuto dell'avviso di rettifica, in sintesi i motivi del ricorso introduttivo e le controdeduzioni dell'Ufficio costituitosi in primo grado, la motivazione della decisione di prime cure, nonché i motivi di gravame dedotti con l'atto di appello. Con i primi due motivi di ricorso la Agenzia fiscale denuncia il vizio di nullità della sentenza di appello per di carenza assoluta della motivazione intesa come requisito di validità del provvedimento giurisdizionale, ai sensi dell'art. 36 co 2, nn. 2, 3 e 4 del Dlgs n. 546/1992, in relazione all'art. 360 co 1 n. 4) c.p.c.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, debbono ritenersi fondati, non essendo dato verificare alla stregua degli enunciati della sentenza impugnata quali siano le premesse in fatto ed in diritto del "decisum", risultando enucleato - con affermazioni meramente assertive - il solo giudizio conclusivo.

Costituisce principio costantemente affermato dalla Corte quello per cui il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata a norma dell'art. 360 n. 5) cod. proc. civ., deve articolarsi con la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni in cui sia incorso il giudice di merito, ovvero con la specificazione di illogicità consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, od ancora nell'indicazione della mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi dell'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e dell'insanabile contrasto degli stessi. Con detto motivo non può, invece, farsi valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento della parte ed in particolare non può proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisti, poiché tali aspetti di giudizio, essendo interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento, di modo che sono estranei al suddetto motivo di ricorso, che altrimenti si risolverebbe in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (cfr. Corte cass. sez. 6.10.1999 n. 11121; id. sez. lav. 22.2.2006 n. 3881; id. Sez. L, Sentenza n. 6288 del 18/03/2011; id. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Ed infatti in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Corte cass. sez. lav. 15.7.2009 n. 16499).

Tale valutazione probatoria - che attiene al merito ed è insindacabile dal Giudice di legittimità ove esente da vizi logici - affinché possa essere oggetto di verifica ab externo, deve trovare supporto in argomenti la cui esternazione - nell'apparato motivazionale che sorregge il decisum - soddisfi alla esigenza di relazionabilità tra le premesse di fatto e le conseguenze giuridiche affermate, e deve rispondere, pertanto, ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall'art. 360 co 1 n. 5) c.p.c. con riferimento ai principi di completezza, di causalità logica (secondo lo schema induttivo - deduttivo) e di non contraddizione.

La motivazione della sentenza deve articolarsi a tal fine in una sequenza passaggi logici che possono schematicamente scomporsi: 1-nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il "thema probandum" della fattispecie concreta oggetto della controversia; 2-nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e nella selezione di quelli ritenuti decisivi, all'esito di un giudizio di prevalenza, alla formazione del convincimento del Giudice; 3-nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della "regula iuris" al rapporto controverso). La carenza nell'impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici indicati configura un "vulnus" al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111 co 6 Cost.), che può spaziare, secondo la gravità, dal vizio di insufficienza logica (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.) fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell'indicato requisito essenziale (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c. in relazione alla violazione dell'art. 132 co 2 n. 4 c.p.c. e dell'art. 118 co 1 disp. att. c.p.c.).

Più in generale deve ravvisarsi il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. V sez. 16.7.2009 n. 16581; id. I sez. 4.8.2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Corte cass. V sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. III sez. 3.11.2008 n. 26426, con riferimento al ricorso ex art. 111 cost. id. sez. lav. 8.1.2009 n. 161).

Con specifico riferimento alla motivazione cd. "per relationem" alla sentenza di prime cure (ipotesi che ricorre nella specie), questa Corte ha statuito che "è legittima la motivazione della sentenza di secondo grado "per relationem" a quella di primo grado, a condizione che fornisca, comunque, sia pure sinteticamente, una risposta alle censure formulate nell'atto di appello, attraverso un iter argomentativo desumibile dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito, in altri termini a condizione e il giudice di appello dimostri in modo adeguato di avere valutato criticamente sia la pronunzia censurata che le censure proposte" (cfr. Corte cass. II sez. 28.1.2000 n. 985. Massima consolidata: Corte cass. SU 8.6.1998 n. 5712; id. III sez. 18.2.2000 n. 181; id. I sez. 27.2.2001 n. 2839; id. V sez. 12.3.2002 n. 3547; id. V sez. 3.2.2003 n. 1539). In tale ipotesi, pertanto, la motivazione -quale elemento costitutivo della sentenza- risponde ai requisiti indispensabili di sufficienza laddove richiami i punti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado confutando le censure mosse contro di essi con il gravame, attraverso un itinerario argomentativo ricavabile dalla integrazione dei due corpi motivazionali (cfr. Corte cass. II sez. 4.3.2002 n. 3066; id. I sez. 14.2.2003 n. 2196; id. III sez. 2.2.2006 n. 2268).

La sentenza impugnata non disvela alcuno dei presupposti fattuali dai quali procede la valutazione conclusiva della "mancanza di prove" sia in ordine al maggior corrispettivo che può solo ipotizzarsi riferito, dal laconico richiamo dell'art. 15 decreto-legge 23/2/1995 n. 41 convertito in legge 22/3/1995 n. 85, ad una compravendita immobiliare avente ad oggetto un fabbricato, sia in ordine ai "requisti per le agevolazioni fiscali", non meglio precisati, trattandosi di affermazioni meramente tautologiche, e non esplicative - logiche, quelle per cui le pretese fiscali sono infondate in quanto non supportate da idonee prove, difettando tanto la individuazione dei fatti rilevati, quanto il criterio logico utilizzato per pervenire all'enunciato valutativo su quei fatti. Manca completamente, inoltre, l'aggancio dell'enunciato apodittico ai motivi di gravame, che non vengono neppure individuati sommariamente, rimanendo circoscritto l'esame del gravame all'inesplicata affermazione secondo la quale "nessun nuovo elemento....è stato addotto".

Tanto è sufficiente a ritenere che il "decisum" non è supportato da alcuna motivazione, difettando la compiuta esposizione degli argomenti logici che sostengono il giudizio conclusivo e che deve poter consentire la verifica "ab externo" dell'esame critico svolto dal Giudice di appello sulle singole censure mosse dall'appellante alla sentenza impugnata. La stessa resistente, peraltro, evidenza la indicata incompiutezza laddove nel controricorso afferma che la "compiutezza della motivazione" della sentenza emessa dalla CTR, si sarebbe potuta apprezzare agevolmente "qualora" l'Agenzia fiscale nel ricorso per cassazione avesse riportato integralmente la motivazione della decisione di prime cure, nonché il contenuto delle difese svolte dalla società contribuente in grado di appello: il che significa, per l'appunto, che la motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale non è "ex se" idonea (ove non venga integrata con altri atti processuali) ad esternare le ragioni a sostegno della decisione. Pertanto il ricorso deve essere accolto, quanto ai primi due motivi, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa al Giudice di appello che dovrà emendare il vizio riscontrato, liquidando all'esito anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso, quanto ai primi due motivi, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria della regione Toscana in diversa composizione affinché provveda ad emendare il vizio di legittimità riscontrato, liquidando all'esito anche le spese del giudizio di legittimità.