Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2016, n. 4782

Tributi - Qualificazione di "società di comodo" - Mancanza di ricavi - Conseguente disconoscimento della detrazione IVA

 

Ritenuto in fatto

 

A seguito di p.v.c. del 19.5.2008 elevato a carico della società "V.G.M. s.r.l." - esercente l'attività diretta alla realizzazione dei prototipi di una motocicletta e di un'autovettura nonché alla ricostruzione di un'auto d'epoca con il marchio "B." - l'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento per l'anno di imposta 2004, con cui contestava la contabilizzazione di una fattura passiva per un ammontare diverso da quello risultante dal contratto di cessione del marchio, la violazione della normativa antiriciclaggio per finanziamenti effettuati dai soci con versamenti in contanti, la mancata documentazione di consulenze per prestazioni professionali fatturate, l'imputazione di costi di gestione a rimanenze finali (preordinata a non evidenziare le costanti perdite di esercizio che rendevano evidente la struttura fittizia della società), nonché la qualificazione come "società di comodo", in mancanza di ricavi, con conseguente disconoscimento della detrazione Iva.

La C.T.P. di Pavia accoglieva il ricorso della contribuente, in analogia ad altra decisione assunta per l'anno di imposta 2003, ritenendo che il semplice fatto che la produzione non fosse giunta a termine non implicasse né la sua insussistenza né il fatto che si trattasse di una "società di comodo".

La C.T.R. della Lombardia accoglieva invece l'appello dell'Ufficio, ritenendo che tutti gli elementi evidenziati dai verificatori dessero corpo alla presunzione di esistenza di una struttura senza scopi reddituali, finalizzata prevalentemente a creare crediti Iva, giustificandone perciò il recupero a tassazione, parte della quale - peraltro - concernente costi ritenuti non deducibili, in quanto relativi a consumi di carburante documentati da schede prive dei requisiti di legge e fatture per consulenze e servizi dei quali la contribuente non aveva dimostrato l'inerenza.

Per la cassazione della sentenza d'appello n. 144/36/12 dei 27.9.2012, la "V.G.M. s.r.l. in liquidazione, in concordato preventivo, ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, cui l'Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità del controricorso dell'Agenzia delle entrate, in quanto tardivo ai sensi dell'art. 370, primo comma, cod. proc. civ., poiché inoltrato alla notifica a mezzo posta in data 7.5.2013, a fronte della notifica del ricorso in data 27.3.2013.

2. Con l'unico motivo di ricorso, formulato in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la società "V.G.M. S.r.l. in liquidazione, in concordato preventivo" lamenta la «violazione dell'art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546», chiedendo che la sentenza impugnata venga «annullata, con rinvio alla fase di merito ai fini della deliberazione effettiva circa la correttezza di quanto riportato nella sentenza della Commissione Provinciale di Pavia e, comunque, allegato nelle difese dell’odierna ricorrente».

3. Parte ricorrente deduce, a tal fine, che in ordine alla questione controversa - «stabilire se, come aveva contestato l'Ufficio, la V.G.M. s.r.l. fosse una c.d. società di comodo, vale a dire una società che non svolgeva alcuna reale attività produttiva, così da giustificare la detrazione dell'Iva scontata sugli acquisti (detrazione che, in assenza di una reale attività d'impresa, generava cospicui crediti per rimborso in ogni esercizio)» - i giudici d'appello si sarebbero limitati «ad affermare apoditticamente che l'Ufficio ha provato i propri assunti», mediante «affermazioni stereotipe, astrattamente riferibili a qualsiasi giudizio di appello», e tali perciò da rendere «la pronuncia inidonea a consentire un qualsiasi controllo delle ragioni che ne stanno alla base».

4. Il Collegio ritiene che la censura non meriti accoglimento.

5. Invero, dopo aver dettagliatamente riepilogato il merito sostanziale e processuale della vicenda, i giudici regionali non si sono limitati a ritenere «gli elementi emersi dalle risultanze del p.v.c. sufficienti a fondare l'accertamento e a legittimare il recupero dell'IVA per l'ammontare accertato», ma hanno specificamente elencato tutti gli elementi riscontrati dai verificatori - «violazioni della disciplina normativa antiriciclaggio per finanziamenti soci infruttiferi eseguiti mediante versamenti in contanti per un totale di € 193.800,00; - non giustificata imputazione a rimanenze finali dei componenti negativi di reddito, compresi quelli concernenti la gestione ordinaria, per commessivi € 660.868,69; - assenza di documentazione relativa a consulenze e prestazioni professionali fatturate; - contabilizzazione di fattura passiva, relativa a cessione marchio, per un ammontare non corrispondente a quello indicato nel relativo contratto; - mancata realizzazione, fino all'epoca della verifica fiscale (novembre 2006) del prototipo di vettura e motociclo, costituenti l'oggetto prevalente dell'attività d'impresa all'epoca della verifica; assenza di attività produttiva di reddito tale almeno da coprire i costi (v. avviso accertamento pagg. 4-7)» - che avrebbero, loro giudizio «dato corpo alla presunzione dell'esistenza di una struttura senza scopi reddituali, costituita per utilizzo di comodo, finalizzata prevalentemente a creare crediti IVA», ritenendo perciò giustificato il recupero a tassazione dell'IVA detratta, parte della quale peraltro concernente «costi ritenuti non deducibili in quanto relativi a consumi di carburante documentati da schede prive dei requisiti di legge, e fatture per consulenze professionali, servizi di recupero veicolo e rimborsi spese a terzi (per tutti, cfr. avviso accertamento pag. 3; p.v.c. pagg. 4750, Sezione 2, all. 4, 6, 10, 12) delle quali la contribuente non ha dimostrato l'inerenza». A tali osservazioni il giudice drappello ha aggiunto, infine, che «la contribuente non ha allegato a difesa circostanze idonee a confutare validamente i puntuali rilievi dei verificatori, fatti propri dall'Ufficio accertatore».

6. Lo stesso tenore testuale della motivazione testimonia che, a prescindere dalla sua correttezza (non contestata dalla parte sotto i diversi profili dell'error in iudicando ovvero della insufficienza o contraddittorietà), essa non può oggettivamente definirsi né inesistente, né apparente, e comunque tale da condurre, per questa via, alla invocata nullità della sentenza.

7. Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il controricorso, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quella dovuta per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.