Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 marzo 2016, n. 4439

Rapporto di lavoro - Addetto al servizio di trasporto urbano - Retribuzione - Maggiorazione per il lavoro straordinario

 

Svolgimento del processo

 

1- R. De M., dipendente del Comune di Latina addetto al servizio di trasporto urbano, con ricorso ex art. 633 c.p.c. chiedeva al Tribunale di Latina di ingiungere alla amministrazione comunale il pagamento delle somme dovutegli a titolo di maggiorazione per il lavoro straordinario prestato nel periodo 2001/2004.

Il Tribunale emetteva il decreto e respingeva l'opposizione proposta dal Comune di Latina, rilevando che quest'ultimo, con l'accordo dell'11 ottobre 2001 si era impegnato a garantire il trattamento economico acquisito in precedenza e ad includere nell'assegno ad personam la cosiddetta indennità di mansione.

2 - Avverso detta decisione proponeva appello il Comune di Latina eccependo la inconferenza della motivazione rispetto al tema oggetto di giudizio e rilevando che il Tribunale avrebbe dovuto considerare le disposizioni contenute nel CCNL Autoferrotranvieri, pacificamente applicabile al rapporto, e valutare la nota del 10 maggio 2004 con la quale l'ASSTRA aveva fornito i chiarimenti richiesti, indicando le ragioni per le quali la retribuzione oraria doveva essere quantificata dividendo la retribuzione mensile per 195 e non per 156, come preteso dal De M.

3 - La Corte di appello di Roma accoglieva parzialmente l'impugnazione e revocava il decreto ingiuntivo opposto. Osservava la Corte territoriale che, essendo il rapporto regolato dal CCNL Autoferrotranvieri, la maggiorazione per il lavoro straordinario doveva essere applicata sulla retribuzione oraria, calcolata nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 4, 15 e 17 del richiamato contratto collettivo. Aggiungeva che, evidentemente, il Comune era incorso in errore allorquando, in passato, aveva applicato il divisore 156 previsto dal CCNL per il comparto degli enti locali. Escludeva, inoltre, che l'appellato potesse invocare una prassi aziendale più favorevole, sia perché detta prassi era stata invocata tardivamente solo nelle note difensive, sia in quanto la stessa era rimasta indimostrata.

Infine la Corte di Appello riteneva non fondata la domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito, riproposta dal Comune in sede di gravame, giacché il diritto del datore di lavoro alla restituzione di somme corrisposte in eccesso sorge solo allorquando l'errore sia essenziale e riconoscibile da parte dell'altro contraente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R. De M. sulla base dì tre motivi, illustrati da memoria. Il Comune di Latina ha resistito con tempestivo controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1 - Ragioni di priorità logica impongono di esaminare preliminarmente il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione dell'art. 434 c.p.c. nonché nudità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 99, 132, 324, 112, 434 c.p.c.e 2909 c.c..

Rileva il De M. che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto il Comune appellante non aveva in alcun modo considerato la motivazione della sentenza impugnata e si era limitato a reiterare le argomentazioni addotte a sostegno dell'opposizione, senza precisare le ragioni per le quali doveva essere applicato il divisore 195 anziché quello in precedenza utilizzato. Aggiunge che la Corte, nel fondare (a decisione su ragioni non indicate dall'appellante, avrebbe violato gli artt. 99 e 112 c.p.c.

2- I motivi sono ammissibili.

Questa Corte ha già affermato che il difetto di specificità dell'appello, non rilevato d'ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di questione che, afferendo alta stessa ammissibilità dell'impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d'ufficio dalla Corte di Cassazione, salvo il lìmite dell’esistenza di un giudicato interno, se il giudice d'appello s'è pronunciato e non v'è stata impugnazione (Cass. 20.8.2013 n. 19222 e negli stessi termini Cass. 21.1.2004 n. 967).

Dal principio di diritto, che va qui ribadito, discende la infondatezza della eccezione sollevata dalia difesa del contro ricorrente.

II ricorrente, inoltre, nel rispetto del principio dell'autosufficienza, ha trascritto nel ricorso sia la motivazione della sentenza di primo grado, sia i motivi di appello, fornendo in tal modo alla Corte tutti gli elementi necessari per pronunciare sulla fondatezza della censura.

3.1 - I motivi sono, però, infondati, giacché non si ravvisa l'eccepito difetto di specificità dell'appello.

Occorre premettere che il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all'ambito del giudizio di legittimità, nei casi in cui venga denunciato un vizio che comporti nullità del procedimento o della sentenza impugnata, quale conseguenza del compimento di un'attività processuale deviante rispetto al modello rigorosamente prescritto dal legislatore, è stato sanato dalle Sezioni Unite che, con la sentenza 22 maggio 2012 n. 8077, hanno affermato che in dette ipotesi "il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)".

Il principio di diritto, che va qui ribadito perché condiviso dal Collegio, è già stato applicato da questa Corte alla eccepita violazione dell'art. 342 c.p.c., in relazione alla quale si è affermato che, quando con il ricorso per cassazione venga denunciato un vizio attinente all'applicazione del principio della necessaria specificità dei motivi di appello, "il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda" (Cass. 10 settembre 2012, n. 15071 e negli stessi termini, con riferimento alla eccepita violazione dell'art. 434 c.p.c., Cass. 5.2.2015 n. 2143).

3.2 - Il rispetto degli oneri imposti dall'art. 434 c.p.c., nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non richiede l'adozione di formule sacramentali, essendo sufficiente che l'appellante esponga, anche sommariamente, i motivi dell'impugnazione, così da consentire al giudice di identificare i punti del provvedimento da esaminare e le ragioni, in fatto e in diritto, per le quali il gravame è proposto ( in tal senso Cass. 11.3.2014 n. 5562).

La sentenza del Tribunale di Latina ha respinto l'opposizione con motivazione non pertinente, richiamando l'accordo dell'11 ottobre 2001 con il quale il Comune si sarebbe impegnato ad includere nell'assegno ad personam la indennità di mansione.

Il Comune ha lamentato la erroneità della decisione evidenziando innanzitutto la inconferenza della motivazione e rilevando che il primo Giudice avrebbe dovuto valutare la disciplina contenuta nella contrattazione collettiva di categoria e le indicazioni fornite dall'ASSTRA la quale, nel rispondere alla richiesta di chiarimenti inoltrata dall'ente municipale, aveva precisato che la retribuzione oraria doveva essere calcolata sulla base del divisore 195 ed aveva richiamato l'art. 17 del CCNL 23 luglio 1976, come modificato dall'art. 11 del CCNL 12 marzo 1980.

Dette ragioni sono idonee a contrastare l'iter motivazionale della sentenza impugnata, come già detto non pertinente, ed individuano con chiarezza l'ambito della cognizione devoluta al giudice del gravame.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha rilevato la totale estraneità della motivazione all'oggetto del giudizio ed ha ritenuto di dovere pronunciare sul motivi di opposizione al decreto ingiuntivo, ritenendoli fondati.

4 - Con il primo motivo il ricorrente denuncia "omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo in relazione all'art. 360 co. l n. 5 c.p.c.". Rileva che il Comune di Latina aveva ammesso di avere applicato in passato un diverso divisore, riconoscendo al personale addetto al servizio di trasporto urbano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva. Assume che la Corte territoriale non poteva limitarsi a ritenere tardiva la allegazione dell'uso aziendale, trattandosi di questione prospettata per contrastare "un elemento cardine dell'opposizione" e non per modificare le ragioni poste a fondamento della domanda.

5 - Il motivo è inammissibile.

Giudicando in fattispecie analoga questa Corte ha evidenziato che " ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alte altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza (Sez. U, n. 7931 del 29/03/2013; Cass. n. 3386 del 11/02/2011; Cass. n. 2811 del 08/02/2006). Nel caso in esame il motivo censura solo una delle rationes decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento del rigetto della pretesa del dipendente. In particolare, il motivo non investe l'affermazione contenuta nella impugnata sentenza secondo cui non era stata neppure fornita la prova della sussistenza dell'uso aziendale invocato e del fatto che detto uso non poteva essere integrato dalla semplice reiterazione di comportamenti non accompagnata da un intento negoziale, inesistente nel caso de quo." (Cass. 17.3.2014 n. 6083).

Dette conclusioni, alle quali la Corte era già pervenuta con le sentenze nn. 3646/2014, 3647/2014, 5850/2014, 5851/2014, pronunciate tutte in fattispecie analoghe, devono essere qui ribadite, in quanto il giudice di appello non si è limitato a ritenere tardiva la allegazione dell'uso aziendale, ma ha anche ritenuto che l'eccezione fosse rimasta indimostrata, richiedendo l'uso aziendale uno specifico intento negoziale non desumibile solo dalia reiterazione del comportamento.

Non possono assumere rilievo, ai fini della ammissibilità del ricorso, le osservazioni contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. circa la apoditticità della impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la prassi aziendale.

Come già evidenziato da questa Corte nelle decisioni sopra richiamate, la memoria ex art. 378 c.p.c. è destinata esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, e con la stessa non possono essere dedotte nuove censure né sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (Sez. U. n. 11097 del 15/05/2006; Cass. n. 28855 del 29/12/2005; Cass. n. 14570 del 30/07/2004).

6 - Il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 2000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15%, ed accessori di legge.