Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 marzo 2016, n. 4486

Tributi - IRPEF - Controllo della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-bis del DPR n. 600/1973 - Credito a rimborso e compensato in F24

 

Osserva

 

La CTR di Napoli ha accolto l’appello dell’Agenzia - appello proposto contro la sentenza n. 165/02/2009 della CTP di Avellino che aveva accolto il ricorso di S.D. - ed ha così confermato la cartella di pagamento portante la richiesta di pagamento di somme per omesso o carente versamento di IRPEF ed accessori relativa all’anno 2005, cartella emessa a seguito di controllo della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-bis del DPR n. 600/1973.

La predetta CTR - premesso che il giudice di primo grado aveva riconosciuto "l’errore materiale commesso dal contribuente nel compilare la dichiarazione, "consistente nel riportare al rigo RN 26 l’importo di euro 6.379,00 quale eccedenza di imposta IRPEF risultante dalla precedente dichiarazione, importo che il contribuente avrebbe dovuto compensare con il modello F24 e che non risulta compensato nel corso dell’anno 2005" e premesso che l’appellante ufficio aveva evidenziato "che il contribuente ha ricevuto il rimborso di € 6.519,00, importo che risulta compensato dal contribuente - ha motivato la decisione evidenziando che dovesse considerarsi pacifico "in quanto non contestato, che il contribuente ha ricevuto un rimborso di € 6.519,00 quale eccedenza d’imposta riportata al rigo RN 26" ed ha argomentato che "la cartella di pagamento risulta emessa correttamente poiché il contribuente ha ottenuto il rimborso dell’eccedenza d’imposta che risulta anche compensata con il modello F24". D’altronde, secondo la CTR, non poteva riconoscersi nella dichiarazione un errore scusabile, atteso che l’Ufficio contestava la tesi del contribuente, e cioè che il credito non fosse stato compensato.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia non si è difesa se non con atto di costituzione finalizzato a conservare la facoltà di partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Infatti, con il primo motivo di impugnazione - centrato sia sulla violazione dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992 in relazione all’art. 113 cpc, sia sulla violazione dell’art. 115 cpc, sia infine sull’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio - la ricorrente parte si duole (sotto l’egida di vizi differenti contestualmente proposti in termini confusi, e perciò stesso già da considerarsi inammissibilmente proposti) vuoi in ragione di un archetipo non più valorizzabile alla data della proposizione del ricorso, in relazione alla pronuncia impugnata depositata il 20.3.2013 (alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 comma 1 n.5 cpc), vuoi in ragione della violazione del divieto di introdurre nova in appello.

Con riguardo a quest’ultima censura, peraltro, la parte ricorrente non avrebbe potuto limitarsi a prospettare la novità dell’eccezione proposta dall’Agenzia ma di detta novità avrebbe dovuto almeno dettagliare la consistenza (evidenziando quali specifiche allegazioni l’Agenzia aveva invece formulato in primo grado), onere di autosufficienza a cui la parte ricorrente non ha assolto. A fronte di questo difetto, non mette conto esaminare la questione concernente il fatto che fosse o meno precluso all’Agenzia prospettare ex novo in appello circostanze impeditive del petitum articolato in primo grado, dovendosi ritenere correttamente proposto il motivo di impugnazione.

Con il secondo motivo di impugnazione (nuovamente articolato sulla congiunta proposizione di due diversi archetipi di vizi, di cui il secondo -per omessa e contraddittoria motivazione- inammissibile già "prima facie" per le stesse ragioni già spiegate con riferimento al motivo che precede) la parte ricorrente si duole anche di violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli art. 113, 115, 116 cpc, per avere il giudicante deciso senza che agli atti di causa vi fosse "adeguata dimostrazione del credito fatto valere con la cartella esattoriale" e perciò senza che vi fosse alcuna prova del presunto rimborso o della avvenuta compensazione.

Si tratta di motivo manifestamente infondato.

In realtà, il giudicante ha deciso il ricorso in ordine alla legittimità della cartella in ragione della ritenuta "non contestazione" dell’avvenuto rimborso dell’eccedenza di imposta (non contestazione che la parte qui ricorrente ha sostanzialmente convalidato nel ricorso introduttivo di questo giudizio, asserendo di non avere ragione di contestare un fatto che era stato inammissibilmente introdotto nel secondo grado di giudizio) ed ha poi ritenuto che non potesse essere riconosciuto errore scusabile in virtù della contestazione da parte dell’Agenzia circa la non avvenuta compensazione del credito a mezzo di modello F24, sicché quest’ultimo spurio argomento appare non rilevante in questa sede.

In tal modo il giudicante ha però posto a fondamento del suo convincimento un argomento che prescinde dall’esistenza di una prova ed è fondato sull’esistenza di "un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente" (in questi incisivi termini, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15658 del 21/06/2013), sicché è da escludere che venga in relazione a tale proposito la regola della ripartizione dell’onere della prova la cui violazione è concretamente invocata dalla parte ricorrente.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 anche in relazione all’art. 132 cpc e 118 disp. att. cpc nonché dell’art. 111 Cost.) la parte ricorrente si duole della nullità della decisione per la sua motivazione "apparente ed apodittica, incompleta e lacunosa, oltre che estremamente ed eccessivamente concisa" che si sostanzia in un’acritica approvazione dell’operato dell’Agenzia.

Si tratta di motivo manifestamente infondato, poiché già dal tenore di quanto dianzi riassunto si intende che il giudicante ha in realtà reso una motivazione - per quanto concisa- idonea a rappresentare le ragioni del suo convincimento. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza, ed inammissibilità.

Roma, 30 luglio 2015

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.