Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 marzo 2016, n. 4345

Tributi - Accertamento - Verifica generale - Nota di credito a storno di ricavi - Operazione considerata antieconomica - Recupero a tassazione - Esclusione - Insindacabilità del comportamento dell’impresa se non ricorre abuso di diritto

 

Svolgimento del processo

 

1. Il 27.12.2006 l’ufficio di Napoli (...) dell’Agenzia delle Entrate, preso atto delle risultanze emerse nel corso di una verifica a carattere generale disposta dalla locale Direzione Regionale, notificava alla (...) s.p.a. un avviso di accertamento con cui procedeva a recuperare a tassazione sul reddito di impresa dichiarato dalla parte per l’anno 2002 il costo non documentato rappresentato da una nota di credito di euro 135.911,29 emessa in favore di un proprio affiliato a totale sconto di pregresse forniture di merci.

Impugnata dall’ufficio avanti alla CTR della Campania, la sentenza di primo grado era confermata dal giudice d’appello nella convinzione che, contrariamente a quanto assunto dall’appellante, l’operazione compiuta nella specie dalla contribuente, apparentemente priva di ragionevolezza economica, in quanto intesa a sostenere un operatore in difficoltà, non lo era tuttavia "da un punto di vista imprenditoriale". Premesso che le strategie aziendali attengono esclusivamente alla sfera dell’amministrazione dell’impresa, l’operazione andava invero ritenuta inerente "per il solo fatto che il costo si pone come una scelta di convenienza per l’imprenditore, il cui fine è pur sempre quello di pervenire al maggior risultato economico". Nella specie l’imprenditore ne aveva evidentemente riconosciuto la convenienza sicché la contestata emissione della nota di credito rappresentava un costo pienamente deducibile.

Per la cassazione di detta sentenza l’Agenzia ricorrente si affida ad un unico motivo.

Resiste con controricorso la parte privata.

 

Motivi della decisione

 

2.1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia si duole per gli effetti dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. del vizio di omessa motivazione che affetterebbe l’impugnato pronunciamento in quanto manca in esso sia "la valutazione complessiva del rapporto giuridico di imposta sottostante, sia del comportamento fiscale della contribuente che andava più accuratamente scandagliato, specie sotto il profilo dell’antieconomicità" eccepita dall’impugnante; e questo non senza considerare "la mancanza di una qualche documentazione che provasse la realtà degli sconti" e la circostanza che nell’anno di verifica il volume di acquisti operato dall’affiliato "era stato completamente assorbito dalla nota di credito" in contestazione.

2.2. Il motivo, ancorato a due doglianze, è infondato tanto con riguardo alla prima di esse quanto con riferimento alla seconda.

2.3. E’ noto che secondo un consolidato insegnamento di diritto vivente in sede di determinazione del reddito di impresa l’accertamento dell’esistenza di attività non dichiarate ovvero dell’inesistenza di passività dichiarate possa essere effettuato dall’ufficio, nel quadro previsionale delineato dall’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R, 29 settembre 1973, n. 600, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare qualora si possa dubitare della sua attendibilità in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente (14491/13; 7871/12; 14428/05). Attenendosi a questo criterio l’ufficio aveva ritenuto di poter censurare l’operazione posta in essere dalla parte nei confronti di un proprio affiliato sotto il profilo della sua ragionevolezza economica, poiché essendo scopo dell’attività di impresa il perseguimento di un lucro, nella specie il carattere profittevole dell’operazione era messa in discussione dallo stato di disagio finanziario evidenziato dal beneficiario. E sulla base di questo criterio censura ora il deliberato del giudice d’appello, che confermando la decisione di primo grado, ha espresso il diverso avviso che il prelievo non fosse giustificato in quanto, sebbene la rinuncia ad un credito non rappresenti di regola un onere inerente e quindi deducibile, nondimeno tale condizione è riconoscibile nella specie "per il solo fatto che il costo si pone come una scelta di convenienza economica per l’imprenditore".

Ragionando tuttavia in tali termini la CTR non ha consumato alcuna omissione motivazionale, ma adottando esplicitamente il metro di giudizio che aveva orientato l’azione accertatrice ovvero soppesando l’operazione sotto il profilo della sua convenienza commerciale per la contribuente, ha ritenuto che, di contro al dato costituito dalla sua opinabilità sul piano economico, l’operazione non Fosse per questo imprenditorialmente inappropriata, dal momento che "le strategie aziendali attengono esclusivamente alla sfera dell’amministrazione dell’impresa che valuta la convenienza di effettuare o meno sconti, abbuoni su crediti vantati". In tal modo la CTR è venuta a formulare un giudizio di fatto, che dissente dal dedotto presupposto dell’antieconomicità dell’operazione, appartenendo invero alla sfera insindacabile delle strategie imprenditoriali, condensata nella regola della business judgement rule, stabilire se un debitore debba essere o meno agevolato mediante la concessione di sconti o abbuoni. Con la prima parte del motivo, in cui si limita ad eccepire un vizio di omessa motivazione in relazione al profilo dell’antieconomicità della motivazione, l’Agenzia formula perciò una critica non solo infondata, in quanto il detto profilo è stato considerato dalla CTR ed è stato da essa motivatamente disatteso, ma pure inammissibile in quanto mira a conseguire un nuovo e diverso apprezzamento delle risultanze fattuali già negativamente valutate dal giudice di appello.

2.4. Infondata, come detto, è pure la seconda doglianza che l’Agenzia solleva con l’unico motivo di ricorso, lamentando che la CTR sarebbe pervenuta alla impugnata conclusione ignorando che l’agevolazione era stata accordata in difetto di ogni documentazione e per un ammontare corrispondente all’intero volume degli ordinativi effettuato dal beneficiario. Benché l’allegazione non sia sprovvista di verità, essa tuttavia non evidenzia alcun vulnus motivazionale nell’iter logico - argomentativo seguito dal giudice territoriale per negare la legittimità della ripresa. Invero, come visto, il ragionamento che fa sfondo alla decisione ruota intorno alla rilevata insindacabilità delle strategie operative adottate dall’imprenditore, affermando la quale la CTR ha potuto affrancarsi dalla critica che l’ufficio ha mosso alla legittimità dell’operazione sotto il profilo della sua ragionevolezza. Orbene se la libertà di cui l’imprenditore gode nella conduzione dell’impresa può talora giustificare il compimento di scelte imprenditoriali apparentemente opinabili e se ciò, come visto, non determina alcun vizio della decisione ove se ne contesti la legittimità sotto il solo profilo motivazionale, perché l’autonomia dell’impresa non incontra fiscalmente altro limite che quello dell’abuso di diritto, i rilievi che l’ufficio solleva in ordine alla certezza del rapporto con la doglianza in disamina, allorché si sostanziano come qui nel confutare la logicità della decisione piuttosto che la sua legalità, rientrano a buon diritto nell’area della riconosciuta insindacabilità delle strategie imprenditoriali, rispetto alle quali la sollecitazione ad un diverso apprezzamento concreta unicamente una censura di fatto, già per questo non scrutinabile in questa sede e già per questo destinata ad essere riassorbita nel rigetto della prima doglianza.

3. Il ricorso va dunque conclusivamente respinto e le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4000,00= di cui euro 300,00 per esborsi, oltre accessori.