Giurisprudenza - TRIBUNALE DI PALERMO - Ordinanza 22 gennaio 2016

Previdenza - Pensioni - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Riconoscimento in misura percentuale del 20% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiori a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 25, sostituito dall'art. 1, comma 1, n. 1), del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109

 

Osserva

 

Con ricorso depositato il 27 giugno 2013, Cardinale Giuseppe - previa rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimità costituzionale del comma 25, dell'art. 24 del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 36, comma 1, 38, comma 2, e 53 Cost., nonché con il combinato disposto degli artt. 3, 36 e 38 Cost. e con il combinato disposto degli artt. 2, 23, 53 Cost. - Chiedeva dichiararsi l'illegittimità del blocco della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps per il biennio 2012/2013 e, per l'effetto, condannare l'ente previdenziale convenuto a riliquidare in proprio favore il trattamento pensionistico perequato ex legge n. 448/1998, art. 34, comma 1 ed a corrispondergli i relativi ratei maturati e non percepiti e/o percipiendi nel biennio 2012/2013, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria come per legge sino all'effettivo soddisfo.

Ritualmente instauratosi il contraddittorio, resisteva l'Istituto convenuto, chiedendo il rigetto del ricorso, del quale deduceva variamente l'improponibilità e infondatezza.

Sospeso il giudizio in seguito all'ordinanza - emessa da questo Tribunale in data 6 novembre 2013 - di rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunciasse in ordine alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la suddetta disposizione legislativa, la Consulta ha dichiarato con la sentenza n. 70 del 2015 "l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento»".

Riassunto il giudizio, parte ricorrente, reiterando le richieste già formulate nel ricorso introduttivo del giudizio, rinnovava, per le ragioni di cui infra, l'eccezione di incostituzionalità del comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, così come modificato dal D.L. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, emesso in seguito ed in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale di cui sopra.

L'eccezione d'incostituzionalità sollevata dalla parte ricorrente appare rilevante e non manifestamente infondata.

Preliminarmente giova ricordare che nella scelta del meccanismo perequativo da utilizzare, il legislatore gode di una certa discrezionalità, atteso che il combinato disposto dell'art. 36 e 38 Cost. impone il raggiungimento del fine (l'adeguamento delle pensioni all'incremento del costo della vita), senza impone una particolare modalità attuativa del principio indicato. Tuttavia, sebbene non esista un principio costituzionale che possa garantire l'adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell'attività di servizio corrispondente, il legislatore e tenuto ad individuare meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita. Infatti, per scongiurare il verificarsi di "un non sopportabile scostamento" fra l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il legislatore non può eludere il limite della ragionevolezza (Corte Cost. 7 maggio 1993, n. 226) ed, in ogni caso, deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. (così come ribadito dalla menzionata sentenza della Consulta n. 70 del 2015). Anzi, "il rispetto dei parametri citati si fa tanto più pressante per il legislatore, quanto più si allunga la speranza di vita e con essa l'aspettativa, diffusa fra quanti beneficiano di trattamenti pensionistici, a condurre un'esistenza libera e dignitosa, secondo il dettato dell'art. 36 Cost." (Corte Cost. 30 aprile 2015, n. 70).

Tale principio ha portato più volte la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimità di disposizioni che non contenevano alcuna previsione volta ad assicurare nel tempo la conservazione del valore delle prestazioni da loro erogate. Esemplificativamente può essere ricordata la vicenda relativa alla rivalutazione dei contributi versati ai fini dell'assicurazione facoltativa per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, in relazione alla quale non era previsto alcun criterio di adeguamento del valore della contribuzione versata dal 1° gennaio 1948 in poi all'incremento del costo della vita. In tale ipotesi venne dichiarata l'illegittimità della disposizione in quanto l'omessa previsione di tale meccanismo rendeva ineffettiva la norma stessa (cfr. Corte Cost. 21 marzo 1989, n. 141). Ancora più significativo è quanto deciso dal Giudice delle leggi a proposito della disciplina relativa all'indennità di disoccupazione ordinaria. A tale proposito la Corte ha osservato come "la norma impugnata mira a dare attuazione all'art. 38 Cost., il quale riconosce ai lavoratori il diritto sociale a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria" (ma il principio non muta nel della tutela della vecchiaia). La protezione cosi garantita ai lavoratori postula requisiti di effettività, tanto più che essa si collega alla tutela dei diritti fondamentali della persona sancita dall'art. 2 Cost. Ora, non può ritenersi rispondente ai richiamati principi costituzionali una norma che, come quella impugnata, mentre fa consistere nella corresponsione di una somma di danaro (indennità) quell'apprestamento di mezzi adeguati alle esigenze di vita che e il contenuto della protezione costituzionale in argomento, non stabilisca, di fronte al fenomeno in atto della notevole diminuzione del potere di acquisto della moneta, un meccanismo diretto ad assicurare anche in prospettiva temporale l'adeguatezza nei sensi suindicati dell'indennità" (cfr. Corte Cost. 27 aprile 1988, n. 497). Ancora è stato sostenuto che "il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza e di adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie, di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (...) Con la conseguenza che il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell'entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere di acquisto della moneta sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione" (cfr. Corte Cost. 23 gennaio 2004, n. 30).

Tale meccanismo è stato individuato nel sistema della perequazione automatica delle pensioni, introdotto con l'art. 18, della legge n. 153/1969.

Nonostante il pronunciamento in ultimo indicato della Corte Costituzionale, il legislatore (successivamente all'entrata in vigore degli artt. 16 l. n. 843/1978, 2 d.l. n. 348/1992, convertito in legge n. 438/1992 e 59, comma 13, legge n. 449/1997, che hanno previsto la sospensione del meccanismo rivalutativo rispettivamente per gli anni 1979, 1993 e 1998) con la legge 24 dicembre 2007 n. 247 ha nuovamente imposto un ulteriore blocco della perequazione automatica, questa volta per l'anno 2008, dei trattamenti pensionistici eccedenti otto volte il trattamento minimo INPS e precisamente quelli di importo superiore a € 3542,88.

La Corte, con sentenza n. 316 del 3 novembre 2010, pur dichiarando la norma costituzionale, in quanto la mancata perequazione per un solo anno sulle pensioni di importo più elevato non incide sull'adeguatezza delle stesse, ha avvertito che "la frequente reiterazione di misure intese a" paralizzare il meccanismo perequativo "esporebbe il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta".

La Consulta, quindi, ha ritenuto il blocco della perequazione automatica sulle pensioni di rilevante importo conforme ai dettami della Corte purché non divenga un meccanismo costantemente reiterato.

In altre parole, se e vero che la Corte costituzionale ha affermato che l'intervento sporadico del legislatore rivolto a contenere o sopprimere per un breve periodo la rivalutazione dei trattamenti pensionistici medio/alti non viola i predetti principi costituzionali, e altrettanto vero che tali affermazioni sono state bilanciate dalla considerazione che, al contrario, non è consentita la reiterazione di misure paralizzare il meccanismo perequativo.

Tuttavia il legislatore con il comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, ha introdotto una nuova disciplina della rivalutazione automatica precedentemente in vigore. Stabiliva la norma: «in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione e comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3, dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni e integrazioni, è abrogato».

Con tale disposizione, quindi, non solo per le pensioni elevate ma anche per quelle di importo lordo superiore a 1405 euro mensili (id est a 1217,00 euro mensili netti) era stata abolita qualsiasi forma di perequazione e ciò non più solo per un anno (come era avvenuto per i "blocchi" rivalutativi precedenti) ma per due anni consecutivi (2012 e 2013).

Come sopra accennato, la suddetta disposizione, sottoposta al vaglio della Consulta, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevedeva che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento» (Corte Cost. 30 aprile 2015, n. 70).

In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che "La censura relativa al comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con «irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività» - (sentenza n. 349 del 1985).

Non è stato dunque ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010.

Si profila con chiarezza, a questo riguardo, il nesso inscindibile che lega il dettato degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. (fra le più recenti, sentenza n. 208 del 2014, che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si deve esercitare il legislatore nel proporre un corretto bilanciamento, ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di spesa, nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo «al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte» (sentenza n. 226 del 1993).

La disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24, dell'art. 25, del d.l. 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica» (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale «puntualizzazione tecnica» dell'art. 81 Cost.).

L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata.

Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.).

Quest'ultimo e da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.

La norma censurata e, pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti.

Sennonché, nelle more del presente giudizio e successivamente al deposito della testè citata sentenza della Corte costituzionale, il comma 25, dell'art. 24, del d.l. 6/2011, convertito nella legge n. 214/2011, e stato modificato dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015.

La nuova formulazione della disposizione in esame prevede che "La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e riconosciuta:

a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito a concorrenza del predetto limite maggiorato;

c) nella misura del 20 per cento per trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di imposto superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

e) non e riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.".

Orbene, anche alla luce del recente intervento normativo disposizione in questione suscita perplessità sotto il profilo della sua compatibilità con la Carta Costituzionale.

Infatti, sembra che il legislatore non abbia tenuto conto di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70 del 2015.

Specificamente, anche in seguito all'introduzione delle modifiche normative apportate dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, non appare per il periodo di riferimento affatto tutelato l'interesse dei pensionati alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite (da cui deriva in modo consequenziale il diritto ad una prestazione previdenziale adeguata), in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, che - a differenza delle pensioni di importo elevato - non presentano margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo.

Peraltro, il provvedimento legislativo censurato si differenzia dalla legislazione ad esso immediatamente precedente.

L'art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n. 147/2013) ha previsto, per il triennio 2014/2016, una rimodulazione nell'applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014. Nel triennio in oggetto la perequazione si applica nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo fino a tre volte il trattamento minimo; del 95 per cento per i trattamenti di importo superiore a tre volte il trattamento minimo e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo; del 75 per cento per i trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo; del 50 per cento per i trattamenti oltre cinque volte e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Anche la misura della perequazione stabilita dall'art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n. 147/2013) è quindi notevolmente maggiore (e maggiormente rispettosa del dettarne costituzionale) rispetto a quella prevista dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, modificatrice del comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011.

A titolo di esempio e con riferimento precipuo al caso di specie, al ricorrente, titolare di pensione INPS eccedente quattro volte il trattamento minimo INPS ed inferiore a cinque volte il trattamento minimo INPS, e stata riconosciuta la rivalutazione nella misura del 20 per cento dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, modificatrice del comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011 a fronte di una rivalutazione nella misura del 75 per cento prevista dall'art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l'anno 2014 - legge n. 147/2013 (v. più dettagliatamente infra).

A tutto ciò si aggiunga che il blocco parziale (rectius quasi totale) della perequazione automatica produce i suoi effetti in modo permanente, non essendo prevista alcuna forma di recupero della parte non corrisposta negli anni successivi.

Inoltre non è peregrino sottolineare che ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva, con la conseguenza che le successive rivalutazioni saranno calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato.

Osservazioni più specifiche, poi, possono proporsi in riferimento alla violazione degli artt. 3, 36, comma 1, 38, comma 2, della Costituzione, in quanto una perequazione siffatta sembra violare i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità della prestazione previdenziale e di conservazione del trattamento pensionistico.

In particolare, si assumono violati: a) il principio di cui all'art. 38, comma 2, Cost., perché la modesta entità della rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza, soprattutto con riferimento ai pensionati titolari di trattamenti previdenziali non elevati;

b) Il principio di cui all'art. 36, comma 1, Cost., poiché la modesta entità della rivalutazione viola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l'attività lavorativa;

c) Il principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38, 3 Cost., perché la modesta entità della rivalutazione, violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria pensionati, cui appartiene il ricorrente.

Sotto il profilo della rilevanza della questione di costituzionalità nel presente giudizio, va evidenziato che la pensione percepita dal ricorrente per gli anni 2012 e 2013 ammontava ad euro 2.052,71 lordi mensili (all. nn. 2 e 3 del ricorso introduttivo del giudizio), mentre per l'anno 2011 il ricorrente ha percepito l'importo mensile lordo di euro 2.048,80 (all. n. 4 del ricorso introduttivo del giudizio).

Il ricorrente, pertanto, è titolare di pensione INPS eccedente quattro volte il trattamento minimo INPS (pari ad euro 480,53 per il 2012 e ad euro 481,00 per il 2013) ed inferiore a cinque volte il trattamento minimo INPS. Da ciò discende che - in virtù della nuova formulazione del comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, così come modificato dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015 - al ricorrente è stato riconosciuto da parte dell'INPS appena il 20% della rivalutazione spettante sul proprio trattamento pensionistico.

La suddetta rivalutazione è di entità talmente modesta da indurre a ritenere che anche la nuova normativa mantenga un contrasto con i principi dettati dalla Costituzione e con l'interpretazione che degli stessi ha fornito la Corte costituzionale nelle sentenze ut supra citate.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 36, comma 1, 38, comma 2 Cost., la questione di legittimità costituzionale del comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, così come modificato dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015 nella parte in cui prevede che "La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e riconosciuta: (omissis).

c) Nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato (omissis)";

Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (ex articoli 1 e 2 del regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del giudizio per la fattispecie oggetto della presente rimessione.

Manda alla cancelleria per ogni adempimento di competenza.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 02 marzo 2016, n. 9