Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 febbraio 2016, n. 3837

Lavoro - Assemblea sindacale - Comunicazione - Indicazione del luogo - Preavviso troppo breve - Comportamento antisindacale del datore di lavoro

 

Svolgimento del processo

 

1. Con ricorso proposto ex art. 28 Stat. Lav. l'o.s. C. Pt chiedeva che fosse dichiarata antisindacale la condotta tenuta da Poste Italiane s.p.a. e consistita nell'avere messo a disposizione delle assemblee sindacali del 20 e 28 novembre 2006 locali inidonei, in ragione della loro distanza dal luogo di lavoro.

2. Il Tribunale di Milano revocava in sede di opposizione il provvedimento negativo. Tale sentenza, impugnata dalla soc. Poste Italiane, veniva riformata in parte dalla Corte di appello di Milano, che riconosceva il carattere antisindacale limitatamente alla comunicazione del luogo dell'assemblea da tenersi in data 20.11.2006.

2.1. Innanzitutto, la Corte di appello disattendeva l'eccezione relativa al difetto di legittimazione attiva di C. Pt, ritenendo sussistente il carattere nazionale dell'O.S. ex art. 28 Stat. Lav. Disattendeva altresì l'ulteriore eccezione sollevata dall'appellante secondo cui il diritto a convocare l'assemblea sindacale di cui all'art. 20 Stat. Lav. compete alla RSU come organo collegiale e non ai singoli membri di tale organo; osservava al riguardo, che pur essendo condivisibile la tesi c.d. "unitaria" espressa da Cass. 2855/02, era stata la stessa azienda ad avere, di fatto, riconosciuto a C. tale potere, avendole concesso la possibilità di convocare l'assemblea senza avanzare eccezioni in merito alla sua legittimazione.

2.2. Nel merito, osservava che, a norma dell'art. 20 L. 300/70, l'azienda è tenuta a consentire lo svolgimento di assemblee fuori dell'orario di lavoro o durante l'orario nei limiti di dieci ore annue, alle condizioni indicate dalla norma; che tale norma era stata generalmente interpretata nel senso che l'azienda non è tenuta a fornire, per lo svolgimento dell'assemblea, locali diversi da quelli in cui si svolge l'attività aziendale; che tuttavia, nella specie, era stata proprio l'azienda a decidere di fornire una sede esterna, giustificando la sua scelta con l'elevato numero di lavoratori interessati all'assemblea e non esistendo sul luogo di lavoro locali idonei; che C. aveva contestato genericamente tale assunto, non indicando neppure quale potesse essere un locale idoneo o uno esterno più vicino; che pertanto non poteva ritenersi antisindacale il comportamento tenuto da Poste Italiane consistito nell'avere procurato un luogo astrattamente idoneo se pure ad una certa distanza dal luogo di lavoro.

2.3. Riteneva la Corte di appello, tuttavia, quanto all'assemblea del 20 novembre 2006, che era censurabile lo scarsissimo preavviso dato a Cobas, che aveva avanzato la sua richiesta con largo anticipo (il precedente 6 novembre): la comunicazione venne infatti data da Poste di sabato per l'assemblea da tenersi il lunedì successivo, ossia con un lasso di tempo (peraltro coincidente con il fine settimana) che non consentiva all'associazione di avvisare i convocati. Né poteva applicarsi in modo speculare la previsione del contratto collettivo che prevede analogo termine per il preavviso dell'assemblea da parte dell'associazione sindacale all'azienda, atteso che, mentre il datore di lavoro una volta avvisato non ha adempimenti ulteriori se non quello di mettere a disposizione un locale aziendale per l'assemblea, l'associazione sindacale invece deve pubblicizzare l'assemblea tra i lavoratori; i due giorni, sufficienti nel primo caso, non sono sufficienti nell'altro caso.

3. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Poste Italiane con quattro motivi, cui resiste con controricorso C. Pt. La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc.civ.

 

Motivi della decisione

 

1. Come primo motivo di ricorso Poste italiane s.p.a. denunzia violazione di legge in relazione all'art. 28 Stat. Lav. per avere la sentenza rigettato l'eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata nei confronti dell'O.S. ricorrente.

La Corte di appello avrebbe violato o falsamente applicato la L. n. 300 del 1970, art. 28, per non aver valutato, tra gli indici attestanti il carattere della nazionalità del sindacato, la capacità di contrarre con la parte datoriale accordi o contratti collettivi, che trovano applicazione su tutto il territorio nazionale e attestano un diffuso collegamento del sindacato con il contesto socio-economico del Paese. Dalla documentazione prodotta dalla ricorrente C. non era ricavabile una effettiva attività sindacale sul territorio nazionale, né una concreta capacità contrattuale, anche solo partecipativa, alle trattative del sindacato su tutto il territorio nazionale.

2. Con il secondo motivo censura la sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ. Si duole dell'omessa pronuncia sul motivo di appello vertente sull'eccezione di inammissibilità della domanda per difetto di attualità. Il Tribunale aveva richiamato Cass. n. 11741/2005 ed aveva giustificato la proposizione dell'azione per una presunta "incertezza aziendale" nell'individuare i luoghi esterni per l'assemblea. Tuttavia, poiché nella specie la condotta aziendale aveva esaurito i suoi effetti, difettava il carattere di attualità della condotta (censurata come) antisindacale.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 20 Legge 20 maggio 1970 n. 300 e dell'art. 9 CCNL 11.7.2003 nella parte in cui la sentenza ha riconosciuto il diritto del singolo membro della r.s.u. a promuovere l'assemblea in luogo della r.s.u. quale organo collegiale. Deduce che, a norma dell'art. 9 CCNL, "nei singoli luoghi di lavoro potranno essere promosse dalle RSU, nonché dalle strutture territoriali delle 00.SS. nazionali stipulanti il CCNL, assemblee del personale in servizio, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale o del lavoro". Tale norma confermerebbe che il potere di indire l'assemblea di cui all'art. 20 Stat. lav. spetta alla r.s.u. quale organo collegiale, oltre che alle oo.ss. stipulanti il c.c.n.l., tra le quali non rientra C.

4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 28 Stat. Lav. e dell'art. 9 CCNL 11.7.2003, nonché vizio di motivazione, deduce che l'O.S aveva originariamente censurato la condotta aziendale unicamente per non avere la società reso disponibile il locale in luogo facilmente accessibile e prossimo all'unità produttiva; solo in sede di memoria di costituzione in appello aveva introdotto l'ulteriore censura riguardante la ristrettezza dei tempi tra la comunicazione datoriale della sede esterna messa a disposizione e il giorno fissato per l'assemblea. Deduce, inoltre, che esiste solo un diritto dei lavoratori a che il datore metta a loro disposizione un idoneo locale aziendale ove svolgere le assemblee e pertanto solo il rifiuto datoriale a concedere il locale potrebbe costituire comportamento antisindacale.

5. Il primo motivo, vertente sulla legittimazione attiva del sindacato resistente, non è fondato.

5.1. La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare che, in tema di repressione della condotta antisindacale, ai fini della legittimazione a promuovere l'azione prevista dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, per "associazioni sindacali nazionali" devono intendersi le associazioni che abbiano una struttura organizzativa articolata a livello nazionale e che svolgano attività sindacale su tutto o su ampia parte del territorio nazionale, mentre non è necessaria la sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali (Cass. n. 16787 del 2011). Resta quindi escluso che la stipulazione di un contratto collettivo nazionale costituisca, nonostante l'indubbia rilevanza sintomatica della rappresentatività che ne discende, l'unico elemento a tal fine significativo, ovvero che lo svolgimento di effettiva attività sindacale possa essere ravvisato solo nella stipulazione di un contratto collettivo esteso all'intero ambito nazionale, trattandosi di affermazione che si pone in contrasto, nella sua assolutezza, con il suddetto principio, incentrato sull'effettività dello svolgimento dell'attività sindacale e sulla sua diffusione, a carattere contenutistico e non meramente formale, su gran parte del territorio nazionale (Cass. n. 16637 del 2014).

5.2. Nel caso di specie, la sentenza impugnata non si è basata sul mero riscontro territoriale della diffusione dell'o.s. C. Pt ovvero sulle relative previsioni statutarie, ma ha dato rilievo alle circostanze fattuali relative alla diffusione dell'attività effettivamente svolta sul territorio nazionale, risultanti dalla documentazione versata in atti. Considerato che la verifica del requisito della rappresentatività costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed è, pertanto, incensurabile, in sede - di legittimità, ove sufficientemente motivato (cfr, ex plurimis, Cass. n. 15262/2002 e 16637/2014), deve riconoscersi l'inammissibilità del profilo di doglianza relativo all'asserita inidoneità allo scopo della circostanze fattuali valorizzate dalla Corte territoriale, risolvendosi la censura nella richiesta, inammissibile in questa sede, di un riesame diretto di elementi di giudizio già vagliati dal giudice del merito.

6. Il secondo motivo, vertente sul vizio di omessa pronuncia in ordine all'eccezione di inammissibilità della domanda per difetto di attualità, si appalesa inammissibile per difetto di interesse.

6.1. Pur mancando una espressa statuizione di rigetto dell'eccezione vertente sul difetto di attualità dell'azione ex art. 28 Stat. Lav., non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un'eccezione (ritualmente sollevata o sollevabile d'ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente, come necessaria premessa logico-giuridica della decisione adottata (cfr. Cass. n. 7406 del 2014; n. 13649 del 2005).

6.2. Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata si desume che C. Pt aveva interesse a vedere dichiarata l'illegittimità del comportamento aziendale consistito nell'indicare una sede esterna al luogo di lavoro per lo svolgimento dell'assemblea con modalità tali (distanza dal luogo di lavoro e brevità del preavviso) da ostacolare il pieno esercizio dei diritti sindacali. Vi era dunque un concreto interesse del Sindacato, non limitato alla fattispecie concreta, a vedere accertato in quali termini il datore di lavoro, nell'indicare una sede esterna per lo svolgimento dell'assemblea, potesse farlo senza arrecare restrizioni o ostacoli al libero esercizio dell'attività sindacale. Trattasi di interesse che trascende la fattispecie concreta, essendo il relativo accertamento idoneo a risolvere incertezze interpretative circa la portata del potere datoriale di indicare al Sindacato la sede per lo svolgimento dell'assemblea.

6.3. L'implicito rigetto dell'eccezione di difetto di attualità dell'azione ex art. 28 Stat. Lav. è altresì conforme a diritto, poiché in tema di repressione della condotta antisindacale, ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970, il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l'ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell'attività sindacale (Cass. n. 23038 del 2010).

7. Il terzo motivo del ricorso pone la questione se il diritto di indire un'assemblea sindacale ex art. 20 Stat. lav. possa essere esercitato da un singolo componente di r.s.u.

7.1. In argomento, questa Corte si è pronunciata più volte.

7.1.1. Secondo un orientamento più risalente (Cass. lav., 26 febbraio 2002, n. 2855; v. pure Cass. 3072 del 2005, in motivazione), il diritto di indire assemblee dei lavoratori compete, ai sensi degli art. 19 - nel testo risultante a seguito della parziale abrogazione disposta con D.P.R. n. 312 del 1995 - e 20 St. Lav., alle r.s.a. ed alle organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva, mentre, trattandosi di diritto conferito alle r.s.a. come organismi e non ai dirigenti delle stesse, non rientra tra le prerogative attribuite a ciascun componente delle r.s.u. dall'art. 4 dell'Accordo interconfederale 20 dicembre 1993, in forza del quale i componenti delle r.s.u. subentrano ai dirigenti delle r.s.a. negli strumenti di tutela e garanzia stabiliti a loro favore dal titolo terzo dello Statuto dei Lavoratori. Con tale orientamento è stata affermata la natura di organo collegiale delle r.s.u. chiamata a deliberare a maggioranza, e in piena autonomia, sulle scelte di politica sindacale e di esercizio dei relativi diritti nell'ambito dell'unità produttiva, negando che la singola componente delle r.s.u. possa esercitare autonomamente il potere di indire l'assemblea.

7.1.2. Secondo altro orientamento, l'accordo interconfederale non ha escluso che il diritto di assemblea sia attribuito alle singole componenti: Cass. n. 1892 del 2005 ha affermato che, in tema di rappresentatività sindacale, l'autonomia contrattuale collettiva può prevedere organismi di rappresentanza (quali, nella specie, le r.s.u. di cui all'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993) diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 della legge n. 300 del 1970, e alle prime può assegnare prerogative sindacali (quali il diritto di indire l'assemblea sindacale) non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con il limite, previsto dall'art. 17 della citata legge n. 300, del divieto di riconoscere ad un sindacato un'ingiustificata posizione differenziata che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro.

7.1.3. A tale secondo orientamento si è affiancata Cass. n. 15437 del 2014, secondo cui l'autonomia collettiva può prevedere organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali, assegnando ad essi prerogative sindacali non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con l'unico limite, di cui all'art. 17 della legge 20 maggio 1970, n. 300, del divieto di riconoscere ad un sindacato un'ingiustificata posizione differenziata, che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro. Ne consegue che il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell'Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (istitutivo delle r.s.u.), deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee, di cui all'art. 20 della legge n. 300 del 1970, rientra tra le prerogative attribuite non solo alle r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente delle r.s.u., purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nella azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013. Successivamente, Cass. n. 21931 del 2014 ha confermato tale principio di diritto.

7.2. Fatte tali premesse di ordine generale, deve tuttavia osservarsi che nel caso in esame il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza della questione. La Corte di appello, premesso di condividere la tesi c.d. "unitaria" di cui a Cass. n. 2855/02, ha rilevato che era stata la stessa azienda ad "avere di fatto riconosciuto a C. tale potere, avendole concesso la possibilità di convocare l'assemblea senza avanzare eccezioni in merito alla sua legittimazione".

7.2.1. Il ragionamento seguito dalla Corte di appello, non specificamente censurato dall'odierna ricorrente, è corretto in punto di diritto, atteso che il comportamento tenuto dall'Azienda ha rivelato un implicito riconoscimento della legittimazione attiva della singola componente di r.s.u., risultando con esso incompatibile il successivo disconoscimento in giudizio; in assenza di un'espressa riserva o condizione, tale comportamento concludente equivale al riconoscimento della sussistenza delle condizioni legittimanti in capo alla componente di r.s.u., che preclude, in relazione al principio generale della tutela dell'affidamento, la successiva contestazione di tali presupposti.

8. Con il quarto motivo la ricorrente muove due censure: con la prima deduce che l'O.S. aveva introdotto solo in appello, e dunque tardivamente, la questione della ristrettezza dei tempi tra la comunicazione datoriale della sede esterna messa a disposizione e il giorno fissato per l'assemblea; con la seconda prospetta l'insussistenza del comportamento antisindacale ove il datore non rifiuti di concedere il locale aziendale, ma ne metta a disposizione uno idoneo dove svolgere le assemblee.

8.1. Il primo ordine di censure è inammissibile, in quanto tende a prospettare il vizio di extrapetizione, per avere la sentenza pronunciato su una nuova eccezione che si asserisce sollevata per la prima volta in appello in violazione

dell'art. 437, secondo comma, c.p.c.; tuttavia, il vizio è denunciato con mezzo di gravame inidoneo, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. anziché ai sensi dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ. quale error in procedendo e così in difetto delle necessarie allegazioni di ordine processuale ex art. 366 n. 3 cod. proc. civ. di cui è onerata la parte ricorrente per cassazione.

8.2. La seconda censura che investe indirettamente la questione se sia antisindacale il comportamento tenuto dal datore di lavoro per avere comunicato il luogo messo a disposizione per l'assemblea sindacale con un preavviso di soli due giorni, peraltro coincidenti con il fine settimana.

8.2.1. Sul punto il ricorso è infondato.

8.2.3. La condotta antisindacale di cui all'art. 28 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) può riscontrarsi anche nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve accertare è l'obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l'effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale (cfr. Cass. n. 7706/2004). La Corte di appello ha ben evidenziato come la ristrettezza dei tempi con i quali l'Azienda aveva comunicato la sede esterna per lo svolgimento dell'assemblea era idonea a costituire causa di oggettivo impedimento per il sindacato che non era stato posto in grado di pubblicizzare l'assemblea tra i lavoratori

9. In conclusione, il ricorso va respinto.

10. Le spese del giudizio di legittimità, poste a carico della società ricorrente, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10.3.14, n. 55. Le spese sono distratte ex art. 93 c.p.c. in favore dell'avv. L.Z., dichiaratosi antistatario.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100,00 per esborsi ed €5.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.