Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 marzo 2016, n. 4036

Lavoro - Asl - Incarico di direttore generale - Risoluzione unilaterale - Mancato guadagno - Danno biologico e morale

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d’Appello di Trieste con sentenza del 9.3.2001, in riforma della sentenza del 2.8.07 del tribunale della stessa sede, ha condannato la regione Friuli Venezia Giulia al pagamento in favore del dott. R. della somma complessiva di 100.397 euro, oltre accessori, a titolo di danni da risoluzione unilaterale di incarico di direttore generale (operato a seguito di ottemperanza a giudicato amministrativo di annullamento di atto presupposto al contratto).

In particolare, la corte territoriale ha confermato la pronuncia appellata nella parte in cui ravvisava l’inadempimento della Regione al contratto stipulato tra le parti e condannava la Regione al risarcimento dei danni (a titolo di mancato guadagno, danno biologico e morale), ma ha rideterminato l’ammontare del danno da mancato guadagno in un importo minore rispetto a quello riconosciuto in primo grado; ha infine condannato la Regione al pagamento di metà delle spese di lite dei due gradi di giudizio di merito.

Avverso la detta sentenza ricorre per la Regione per tre motivi, cui resiste con controricorso il R. che propone ricorso incidentale per un motivo.

Il Collegio ha autorizzato la redazione di motivazione semplificata.

 

Motivi della decisione

 

Con il ricorso principale si deduce:

1) Ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 1223 e 2043, 1338 e 2059, per aver affermato la responsabilità dell'ente pur non essendo configurabile alcun danno risarcibile, né alcun danno non patrimoniale.

2) Violazione dell'art. 112 c.p.c., per extrapetizione in relazione alla pronuncia sul danno per perdita di retribuzioni relative a precedente rapporto lasciato dal ricorrente per assumere il nuovo incarico poi revocato.

3) L'ingiustizia della condanna sulle spese dei giudizi di merito. Occorre premettere che il ricorrente ha fatto presente di aver impugnato in cassazione anche la sentenza non definitiva n. 600/09 resa tra le parti sulla stessa questione e nel medesimo giudizio. Con tale sentenza, la Corte triestina ha ritenuto che il comportamento della Regione censurato dal G.A., aveva indotto il R. ad abbandonare l'analogo incarico già intrattenuto presso la ASL umbra, così da perdere il compenso là fissato per la residua parte del quinquennio di durata della funzione; ha quindi stabilito che il pregiudizio dovesse essere determinato in relazione all'entità dei compensi che il funzionario avrebbe percepito nella costanza del rapporto di lavoro con l'Azienda Umbra. Tale giudizio si è concluso con la sentenza Cass. n. 10255/14 che ha rigettato il ricorso, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza non definitiva n. 600/09.

Ciò posto, va rilevato che i primi due motivi del ricorso principale sono inammissibili, in quanto volti a censurare aspetti già definiti dalla sentenza non definitiva ed oggetto di specifica valutazione da parte di questa Corte nel giudizio sopra richiamato avverso la detta sentenza non definitiva.

Il terzo motivo è invece da un lato inammissibile, in quanto volto ad ottenere un diverso regolamento delle spese in ragione di motivi di impugnazione respinti dalla medesima sentenza e qui riproposti inammissibilmente, dall'altro lato, infondato, essendo il capo della pronuncia impugnato basato sul criterio legale della soccombenza.

Con il ricorso incidentale si deduce, ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 1223 e 2043 c.c., nonché vizio di motivazione, per aver ridotto il danno risarcibile di somme costituenti la remunerazione di una prestazione comunque eseguita.

Il ricorso incidentale è infondato, in quanto il pagamento della retribuzione riduce il danno subito dal lavoratore con riferimento al medesimo periodo, a nulla rilevando che la retribuzione sia il corrispettivo della prestazione lavorativa, ciò che non esclude la correttezza della riparametrazione del danno in relazione alla sua effettività. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza che essenzialmente è del ricorrente, ma vanno compensate per metà in ragione dell'infondata proposizione del ricorso incidentale.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta l'incidentale; condanna il ricorrente al pagamento di metà delle spese di lite, che si liquidano per l'intero in Euro cinquemila per compensi, Euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.