Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 febbraio 2016, n. 3580

Contenzioso tributario - Illegittima la decisione della Ctr che non si pronunci sulla questione della legittima o meno irrogazione delle sanzioni

 

Ritenuto in fatto

 

1. A seguito di indagini svolte dalla polizia giudiziaria nei confronti di M.P., relative al reato di truffa aggravata ai danni dell'INPS (art. 640, comma 2, cp), in merito a fittizie assunzioni di braccianti agricoli presso imprese agricole compiacenti o ignare, con conseguenti comunicazioni alI’INPS di giornate fittiziamente lavorate volte ad ottenere il trattamento economico ordinario e straordinario di disoccupazione, la Guardia di Finanza procedeva ad una verifica parziale dei suoi redditi, limitata alla quantificazione dei redditi derivanti da attività illecite.

A conclusione di questa verifica la G. di F. quantificava i redditi derivanti da attività illecita per ciascun anno di imposta e redigeva in data 12.10.04, apposito processo verbale di constatazione che veniva notificato a M.P. e trasmesso all'Agenzia delle entrate.

L'Agenzia delle entrate, sulla base del p.v.c. provvedeva ad emettere avvisi di accertamento ai sensi dell'art. 41 bis del DPR n. 600/1973, per redditi di impresa non dichiarati derivanti da presunte attività illecite con conseguente liquidazione di IRPEF, addizionale IRPEF ed IRAP e, ai sensi dell'art. 54 del DPR n. 633/1972, con liquidazione di IVA, oltre le connesse sanzioni per omessa dichiarazione.

2. L'avviso di accertamento per l'anno di imposta 2000, impugnato dal contribuente, veniva annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari con la sentenza n.475/15/06.

L'avviso di accertamento per l'anno 2001, anch'esso impugnato, veniva confermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari con la sentenza n. 153/13/07.

Avverso la prima decisione proponeva appello l'Ufficio ed avverso la seconda il contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale della Puglia, dopo aver riunito i procedimenti, con la sentenza n. 43.02.08, depositata il 13.06.08 e non notificata, accoglieva l'appello dell'Ufficio e respingeva quello del contribuente.

3. Il giudice di secondo grado non ravvisava alcuna violazione del principio del contraddittorio nella circostanza che il contribuente non era stato presente alla redazione del pvc, atteso che l'attività di cooperazione tra la G. di F. e l'Ufficio in fase di acquisizione degli elementi utili non era retta dal principio del contraddittorio.

Ugualmente riteneva infondata l'eccezione sollevata circa la mancata allegazione dell'autorizzazione dell'A.G.O. al p.v.c., sulla considerazione che il pvc era stato regolarmente notificato e conosciuto dalla parte.

Affermava quindi che, vagliati i fatti e gli elementi probatori raccolti dalla polizia giudiziaria e considerata l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, legittimamente il reddito in capo al M. era stato determinato in base ai dati ed alle notizie raccolte, in applicazione dell'art. 39, comma 2, lett. d) del DPR n. 600/73.

Con riferimento alla natura dei redditi provenienti da attività illecita riteneva irrilevante la questione posta in merito alla loro classificazione, atteso che per quelli non classificabili vigeva comunque la disciplina di cui all'art. 36, comma 34 bis, del DL n. 223/2006, che consentiva di ricondurli tra i "redditi diversi". .

4. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria ex art. 378 cpc. L'Agenzia delle entrate non ha svolto difese scritte, ma ha partecipato alla discussione orale.

 

Considerato in diritto

 

1.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 52, comma 6, 63, comma 1 e 75, comma 1, del DPR n. 633/1972 e degli artt. 33, comma 1, 32, comma 1 n.2), ultimo inciso, 70, comma 1, del DPR n. 600/1973- la violazione dell'art. 12 della L n. 212/2000 e degli artt. 24 e 97 della Costituzione - violazione degli artt. 134, 135, 136 e 137 del cpc (art. 360, comma 1 n.3, cpc), formulando il seguente quesito "E' vero che, in ogni fase della verifica fiscale da parte della G. di F., è obbligatorio salvaguardare il principio del contraddittorio mediante la presenza del contribuente alla formazione del pvc, tipico atto istruttorio, con la conseguenza che il pvc, redatto unilateralmente dalla G. di F. e non sottoposto alla sottoscrizione da parte del contribuente, inficia radicalmente, per la mancata formazione del rapporto in contraddittorio, tutta la fase ispettiva e quella successiva dell'accerta mento, fondata sullo stesso?"

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 56, comma 5, e par.3, comma 1, del DPR n. 633/1972 e degli artt. 33, comma 3, e 42, commi 2 e 3, del DPR n. 600/1973 - la violazione dell'art. 24 della Costituzione (art. 360, comma 1 n.3, cpc), formulando il seguente quesito "E' vero che l'autorizzazione dell'A.G.O. ai sensi dell'art. 33, comma 3, del DPR n. 600/1973 e dell'art. 63, comma 1, del DPR n. 633/1972, deve essere allegata al pvc per consentire al contribuente di verificare la legittimità in ordine alla compiuta o meno distinzione tra i dati emersi dalla attività della G. di F., genericamente definibili di polizia giudiziaria, ed altri dati acquisiti su delega dell'Autorità Giudiziaria, in modo anche da verificare su quali precisi dati e notizie si basa la verifica così scaturita?".

1.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 132, comma 2, n.4, cpc e dell'art. 118 disp. att. cpc (art. 360, comma 1 n.4, cpc) e la violazione dell'art. 36, comma 2, del DLGS n. 546/1992 e degli artt. 24 e 111, comma 6, della Costituzione, formulando il seguente quesito "E' vero che, in base alla funzione devolutiva dell'appello (revisio prioris istantiae) , il giudice di secondo grado non solo ha l'obbligo di verificare l'adempimento della prescrizione di cui agli artt.342 e 434 cpc, ma ha anche l'obbligo di prendere conoscenza dei fatti controversi e di riconoscere a questi, per i capi impugnati, l'appropriata qualificazione giuridica, anche per ragioni diverse da quelle prospettate nei motivi dedotti dalla parte, al fine dell'assolvimento del suo obbligo motivazionale per il chiesto riesame, l'estensione del quale deve essere ricavata dall'ampiezza della riforma demandata dall'appellante, senza limitarsi a copiare la motivazione della sentenza di primo grado?".

1.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del DPR n. 917/1986 e dell'art. 14, comma 4, della L n. 537/1993 - la violazione dell'art. 36, comma 34 bis, del DL n. 223/2006, conv. in L. n. 248/2006 - la violazione dell'art. 53 della Costituzione (art. 360, comma 1 n.3, cpc), formulando il seguente quesito "E' vero che la tassazione dei proventi illeciti, ex art. 14, comma 4, della L n. 537/1993, è subordinata alla preliminare condizione dell'accertamento del presupposto impositivo, di cui all'art. 1 del DPR n. 917/1986, ossia all'accertamento della percezione e del possesso di redditi, in danaro o in natura, rientranti nelle categorie di cui all'art. 6 del cit. DPR n. 917/1986?".

1.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 112 cpc (art. 360, comma 1 n.4, cpc) formulando il seguente quesito "E' vero che la Commissione Tributaria Regionale di Bari, nella sentenza qui gravata, ha omesso di pronunciarsi sulla domanda giudiziale di illegittimità delle applicate sanzioni e, violando, così, l'art.112 cpc, secondo cui <il giudice deve pronunciare su tutta la domanda>, in applicazione del principio del doppio grado di giurisdizione?".

In proposito il ricorrente ricorda di avere sostenuto la illegittimità delle sanzioni, applicate solo per l'anno di imposta 2000, in quanto, in relazione a redditi derivanti da presunte attività illecite, non si configurava un "obbligo dichiarativo" in ragione della applicazione del principio generale del nemo tenetur se detegere, in quanto la dichiarazione fiscale avrebbe comportato l'autodenuncia del contribuente per fatti illeciti.

2.1. I motivi dal primo al quarto sono inammissibili per violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis (la sentenza gravata è stata depositata in data 13.06.08).

2.2. Per quanto riguarda i motivi primo, secondo e quarto, ciascun quesito di diritto si risolve, con conseguente inammissibilità, in un'enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo. (Cass. SS.UU. sent. n. 6420/2008). Inoltre in ciascun quesito di diritto non è enucleato neanche il momento di conflitto, rispetto alle norme invocate, del concreto accertamento operato dai giudici di merito e si rinviene solo una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, senza chiarire, in relazione alla concreta controversia, l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata (cfr. Cass. sent. n. 80/2011)

2.3. Per quanto riguarda il terzo motivo il quesito non riporta, neanche in sintesi, i motivi e le questioni non trattate dalla CTR.

3.1. Il quinto motivo risulta invece fondato giacché la CTR non si è pronunciata sulla questione della legittima o meno irrogazione delle sanzioni.

3.2. Ciò premesso circa la fondatezza del motivo, la Corte, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'art. Ili, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale art. 384 cpc ispirata a tali principi, avendo verificato tale omessa pronuncia su un motivo di appello, ritiene di poter omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, giacché la questione di diritto posta non richiede ulteriori accertamenti di fatto e risulta infondata - per i motivi di seguito esplicati -, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello - che aveva dichiarato legittimo l'operato dell'Ufficio, così respingendo l'originario ricorso - e determina l'inutilità di un ritorno della causa in fase di merito (cfr. in tema, Cass. sent. n. 2313/2010, n. 8651/2006, ord. n. 21257/2014).

3.3. Nel merito, la doglianza proposta circa l'applicazione delle sanzioni è infondata.

3.4. Innanzi tutto va considerato il quadro normativo di riferimento costituito dall'art. 14, comma 4, della L n. 537/1993, che prevede "Nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria", con disposizione interpretativa e, dunque, retroattiva (Cass. sent. n. 4451/1995) che ha esplicitato il principio della neutralità dell'imposizione, o se si vuole della irrilevanza della illiceità dei fatti genetici del reddito.

3.5. Ciò premesso, per quanto concerne il profilo di violazione dei principi in ordine ad un inammissibile obbligo di autodenuncia penale, il motivo è infondato in relazione all’obbligo, di fonte costituzionale desumibile dall'art. 53 della Costituzione, di dichiarare tutti i redditi prodotti (effettivi), espressione di capacità contributiva.

La circostanza che il possesso di redditi possa costituire reato e che l'autodenuncia possa violare il principio "nemo tenetur se detegere", peraltro privo di rilievo costituzionale, è sicuramente recessiva rispetto all'obbligo di concorrere alle spese pubbliche ex art. 53 predetto. Di poi la ormai incontestata e riconosciuta normativamente tassabilità dei proventi illeciti, anche delittuosi, comporta il necessario superamento di ogni remora anche in ordine alla dichiarazione, essendo connaturale al possesso di un reddito tassabile il relativo obbligo di dichiarazione (cfr. in termini Cass. sent. n. 20032/2011).

4.1. In conclusione, il ricorso, inammissibili i motivi dal primo al quarto, va accolto sul quinto motivo; la causa, non essendo necessarie ulteriori valutazioni, può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originariamente proposto.

4.2. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente nella misura stabilita in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso sul quinto motivo, inammissibili i motivi dal primo al quarto, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente;

- condanna il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di €.1.700,00, oltre spese prenotate a debito.