Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 febbraio 2016, n. 3487

Professionisti - Avvocati Inps - Crediti cartolarizzati - Bonus - Spettanza - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 643/04 il Tribunale di Roma rigettava le opposizioni dell'INPS contro i decreti ingiuntivi notificati ad istanza degli avvocati - dipendenti dell'istituto medesimo - A. C., G. G. e M. P. T. e aventi ad oggetto i crediti da loro vantati in base alla delibera 26.3.02 n. 89 del Consiglio di Amministrazione dell'INPS.

Tale delibera aveva previsto la ripartizione all'avvocatura dell’ente del 2% dell'importo lordo dei crediti recuperati in via legale per l'anno 2000, dedotte le spese forfetarie nella misura del 10% in applicazione della legge professionale, nonché gli incentivi speciali per recupero e incassi crediti già erogati per il 2000 e gli oneri riflessi, con distribuzione delle somme spettanti secondo le quote, contrattualmente stabilite, di ripartizione di onorari e competenze di avvocato.

Con sentenza depositata il 28.9.09 la Corte d'appello di Roma revocava - per quel che rileva nella presente sede - i decreti ingiuntivi opposti e dichiarava nulla la domanda, proposta dall'INPS, di restituzione degli importi già pagati.

Per la cassazione della sentenza ricorrono gli avvocati A. C., G. G. e M. P. T., affidandosi a nove motivi.

L'INPS resiste con controricorso e a sua volta propone ricorso incidentale basato su un solo motivo.

Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza.

1.1. - Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 156 c.p.c. e dell'art. 1346 c.c., oltre che vizio di motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha disatteso l’eccezione di nullità della procura alle liti degli avvocati dell'INPS : sostengono i ricorrenti che tale procura, in quanto riferita ad un gruppo di controversie (vale a dire a quelle di opposizione a decreti ingiuntivi notificati e notificandi da avvocati dell'INPS per ottenere il pagamento dovuto a ciascuno di loro a fronte dell'attività di difesa in giudizio svolta dall'avvocatura dell'istituto per il conseguimento dei crediti ceduti dall'ente alla società di cartolarizzazione) non può considerarsi né generale né speciale; essa si colloca - prosegue il ricorso - all'esterno della previsione di cui all'art. 83 co. 2° c.p.c. e non può nemmeno risultare sanata ex art. 156 ult. co. c.p.c. per raggiungimento dello scopo dell'atto (come erroneamente ritenuto dalla gravata pronuncia), essendo lo scopo della procura ad litem quello di mettere la controparte in condizione di verificare con certezza lo ius postulandi del difensore costituito per l'avversario, cosa che la procura in questione non consente.

Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 d.Igs. n. 165/01 e 1988 c.c., avendo la sentenza impugnata trascurato che la revoca della cit. delibera n. 89/02, adottata con determinazione del Commissario Straordinario n. 805 del 17.3.03, costituisce un atto di autotutela ormai non più ammissibile nel pubblico impiego cd. contrattualizzato (in cui la pubblica amministrazione agisce con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro), di guisa che, una volta adottate determinate misure di gestione del rapporto (sul piano retributivo), l'amministrazione non può più adottarne altre di tipo peggiorativo; inoltre - prosegue il ricorso - la stessa determinazione del Commissario Straordinario n. 805 del 17.3.03, pur revocando la delibera n. 89/02, aveva comunque disposto la ripartizione tra gli avvocati dell'INPS dell'importo di € 7.124.147,06 di competenza degli anni 2000 e 2001, in tal modo riconoscendo il debito dell'ente.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 132 co. 2, n. 4, c.p.c.e 1362 co. 1 c.c., per carenza di motivazione circa l'applicabilità dell'accordo collettivo del 4.6.03 ed erronea sua interpretazione anche alla luce dell'accordo novativo 19.12.05, che forma oggetto del quarto motivo di ricorso sotto forma di omesso esame d'un fatto controverso e decisivo.

Il quinto e il sesto motivo denunciano, ancora, violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 co. 1 c.c. e motivazione insufficiente circa l’interpretazione dell'accordo 4.6.03, nonché violazione del principio generale dei diritti quesiti derivanti dall'accordo medesimo.

Con il settimo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 13 legge n. 448/98 e dell'art. 4 d.m. 5.11.99, nel testo sostituito dall'art. 9 d.m. 2.12.99, nonché dell'art. 1362 c.c. e dell'art. 30 d.P.R. n. 411/76, disposizioni tali da far concludere che le somme in questione costituiscono compenso spettante agli avvocati dell'istituto.

L'ottavo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 45 co. 2 d.lgs. n. 165/01 sul principio di parità di trattamento nel pubblico impiego contrattualizzato, nonché vizio di motivazione, avendo avuto la delibera del 4.6.03 pratica attuazione a favore del personale amministrativo e non anche, inspiegabilmente, degli avvocati dell'istituto.

Il nono motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., dell’art. 40 d.lgs. n. 165/01 e dell'art. 36 Cost., oltre che vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inaccoglibili perché nuove le domande subordinate, proposte dagli odierni ricorrenti con l’appello incidentale, basate sugli accordi collettivi del 4.6.03 e del 19.12.05.

2.1. - Il primo motivo è infondato.

Ex art. 83 co. 2° c.p.c.la procura può essere generale - ossia per tutte le controversie - o speciale, vale a dire per una data identificata controversia o per un gruppo di giudizi, come statuito da Cass. n. 20784/10, secondo cui è valida la procura speciale alle liti rilasciata non per una singola causa, ma per una serie di controversie, purché caratterizzate da unitarietà di materia o collegate tra loro da specifiche e oggettive ragioni di connessione.

In senso analogo si vedano, altresì, i più remoti precedenti di Cass. n. 2836/85 e di Cass. S.U. n. 1161/61.

In particolare, Cass. n. 2836/85 puntualizza che la locuzione "procura speciale" di cui all'art. 83 c.p.c. ha un'accezione diversa da quella contenuta nell'art. 365 c.p.c. in tema di ricorso per cassazione; quest'ultima si riferisce alla procura conferita ex professo in riferimento alla fase e al grado del processo da instaurare innanzi a questa Corte Suprema alla luce d'una meditata valutazione della decisione da impugnare. La stessa locuzione ha, invece, nell'art. 83 c.p.c. una portata diversa (in contrapposizione alla procura generale destinata a valere per tutti i giudizi), riferendosi ad un singolo determinato giudizio o ad un gruppo di giudizi.

A ciò si aggiunga che proprio l’art. 1346 c.c. - invocato dai ricorrenti principali - dimostra che l'oggetto del negozio può essere anche non necessariamente determinato, ma determinabile, come nel caso di specie, grazie al riferimento al tipo di controversia e all'individuazione della categoria di potenziali controparti dell'ente, ossia gli avvocati dell'INPS.

D'altronde, non avrebbe senso la contraria soluzione propugnata in ricorso, perché comprimerebbe, senza alcuna necessità, il potere della parte di conferire preliminarmente al proprio difensore una procura per più giudizi identificati o comunque identificabili, come quelli di opposizione a decreti ingiuntivi emessi in base alla citata delibera n. 89 del 26.3.02 del Consiglio di Amministrazione dell'INPS.

Non valga obiettare che la domanda dei ricorrenti si fonda anche su altre ragioni di fatto e di diritto, poiché scopo della procura speciale è quello di mettere in condizione l'altra parte di verificare l'esistenza dello ius postulandi del difensore costituitosi per l'avversario, id est accertare che questi non abbia agito senza averne il potere.

Tale finalità risulta soddisfatta dal chiaro riferimento al tipo di lite, poco importa se la causa petendi dell'attore viene poi integrata anche da ulteriori ragioni: diversamente, si affiderebbe all'avversario il potere di sterilizzare la procura ad litem rilasciata dalla controparte aggiungendo ulteriori ragioni di fatto e/o di diritto alla propria domanda.

Infine, dovendosi interpretare il contenuto d’una procura ad litem alla stregua dei noti canoni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. (fra cui quello del comportamento complessivo delle parti), non merita censura la sentenza impugnata, che ha ritenuto che il riferimento alla citata delibera individuasse sufficientemente il tipo di controversia e nel contempo avesse in concreto posto i ricorrenti in condizione di verificare che i legali dell'INPS avevano agito muniti - appunto - di ius postulandi.

2.2. - Ancora infondati sono tutti gli altri motivi di ricorso (da esaminarsi congiuntamente perché connessi), dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di questa S.C. già di recente pronunciatasi in analoghe controversie promosse dagli avvocati dell'INPS (v. Cass. n. 5867/15; Cass. n. 4665/15; Cass. n. 3243/15).

Si muova dall'art. 13 legge n. 448/98, che prevedeva la cessione a titolo oneroso ad una società di cartolarizzazione (la S.C.C.I. S.p.A.) dei crediti contributivi vantati dall'INPS già maturati e maturandi sino al 31.12.2001.

Il comma 8, di tale articolo disponeva: "Nei procedimenti civili di cognizione e di esecuzione, pendenti alla data della cessione, il cessionario può intervenire fermo restando che l'INPS non può in ogni caso essere estromesso. Per i giudizi di opposizione all'esecuzione promossi avverso il ruoto, instaurati successivamente alla cessione dei crediti, sussiste litisconsorzio necessario nel lato passivo tra l'INPS ed il cessionario".

L'art. 4 del d.m. 5.11.99, nel testo sostituito dall'art. 9 del d.m. 2.12.99 (attuativo della suindicata legge), così disponeva: "L'INPS assume l'onere degli aggi, commissioni e spese di riscossione e recupero relative ai crediti contributivi ceduti, nonché delle anticipazioni della remunerazione riconosciuta ai concessionari, in applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, comma 5.

L'INPS trattiene, ovvero ha diritto di ricevere, dall'acquirente dei crediti un importo sino al 2% di qualunque somma riscossa o recuperata a valere sui crediti contributivi ceduti, a titolo di rimborso forfetario degli oneri di cui al presente comma".

Con contratti stipulati il 29.11.99, il 31.5.01 e il 18.7.02 l'INPS cedette all'acquirente i crediti contributivi maturati, rispettivamente, al 31.12.99, al 31.12.00 e al 31.12.01. In tutti tali contratti, alla clausola 9, si prevedeva che l'INPS assumesse nei confronti dell'acquirente gli impegni di cui alle clausole 9.2., 9.3 e 9.4.

Con le clausole 9.2 e 9.3. l'INPS, in ordine ai crediti contributivi ceduti, si impegnava a proseguire ex art. 111 c.p.c., rispettivamente, i relativi giudizi e le esecuzioni in corso, con facoltà dell'acquirente di intervenirvi. La clausola 9.4 prevedeva che, ove i debitori avessero promosso giudizi di merito (o opposizioni all'esecuzione), l'INPS e l'acquirente sarebbero stati litisconsorti necessari. In tal caso l'INPS si impegnava a proseguire la relative lite anche per conto dell'acquirente, impegnandosi ad assumerne la difesa tecnica. La clausola 9.5 disponeva che l'acquirente conferisse mandato con rappresentanza al l’INPS affinché l'istituto provvedesse, ove richiesto e tramite i propri avvocati, alla rappresentanza e difesa tecnica dell'acquirente medesimo davanti alle autorità giudiziarie. Solo nel secondo contratto di cessione, alla clausola 9.5, fu previsto che per lo svolgimento delle attività indicate nella clausola 9 sarebbe stato corrisposto dall'acquirente all'INPS un corrispettivo in conformità a quanto previsto dalla successiva clausola 11.

Quest'ultima prevedeva, in tutti i contratti di cessione, il diritto dell'INPS al rimborso forfetario dell'insieme degli oneri sostenuti per la riscossione e il recupero dei crediti in questione.

Con delibera n. 89 del 26.3.2002 il Consiglio di amministrazione dell'INPS, richiamata la clausola 9.5 del secondo contratto, stabilì di attribuire il 2% dell'importo lordo dei crediti recuperati in via legale per l'anno 2000 all'Avvocatura interna, dedotte le spese forfetarie nella misura del 10% in applicazione della legge professionale, gli incentivi speciali per il recupero ed incassi crediti già erogati per II 2000 e gli oneri riflessi" e, inoltre, di "distribuire le somme spettanti secondo le quote, contrattualmente stabilite ripartizione di onorari e competenze legali".

Con tale delibera fu dunque prevista l'attribuzione agli avvocati dell'INPS dell'importo che, in base al d.m. 5.11.99 e ai contratti di cessione, la società di cartolarizzazione era tenuta a corrispondere all'istituto a titolo di rimborso forfetario dell'onere degli aggi, commissioni e spese di riscossione e recupero concernenti i crediti contributivi.

Tale delibera venne revocata dal Commissario Straordinario dell'Istituto con determinazione n. 805 del 2003 sul presupposto che il 2% dei crediti riscossi o recuperati era un corrispettivo di pertinenza dell'INPS e non della relativa avvocatura, atteso che i legali, iscritti all'albo speciale, potevano patrocinare solo in nome dell'INPS - al quale la SCCI aveva dovuto conferire mandato con rappresentanza - e non rientrando nella competenze del C.d.A. dell'istituto la determinazione del trattamento economico dei dipendenti, di competenza esclusiva della contrattazione collettiva.

A ciò andava aggiunto che l'accordo sindacale 4.6.03 destinava all'avvocatura dell'INPS solo una parte (il 70%) del complessivo importo del 2% dei contributi recuperati per via legale afferenti gli anni 2000-2001 e la restante parte alla contrattazione integrativa relativa al personale amministrativo.

Sostengono i ricorrenti principali - sia detto in estrema sintesi - che il credito azionato trova la propria fonte non solo nelle delibere dei C.d.A. INPS, ma anche nell'art. 30 d.P.R. n. 411/76, trattandosi di compensi dovuti agli avvocati dell'istituto per l'attività legale svolta anche in favore della SCCI (senza quindi la necessità di una nuova contrattazione sugli stessi) e che con l'accordo collettivo del 4.6.03 è stato ribadito e riconosciuto che il loro diritto al compenso per l'attività legale svolta è a titolo di onorari, senza alcuna riserva da parte dell'INPS.

Tale assunto è infondato perché basato sull'erroneo presupposto che la percentuale del 2% riconosciuta all’INPS costituisse esclusivamente competenze di procuratore e onorari di avvocato per i legali interni dell'INPS medesimo.

Al contrario, tale percentuale (del 2%) era un corrispettivo di pertinenza dell'INPS e non dell'avvocatura interna, posto che i legali dell’INPS, essendo iscritti all'albo speciale, possono patrocinare solo in nome dell'ente di appartenenza.

I giudici di appello hanno correttamente ritenuto, in base alla lettura dei contratti di cessione succedutisi nel tempo, che la percentuale del 2% riconosciuta all’INPS era destinata a compensare svariate attività svolte dall'INPS quale mandatario con rappresentanza della cessionaria; tale importo costituiva, infatti, un compenso forfetario corrisposto da un terzo per i compiti svolti per suo conto, che non comprendono solo attività strettamente processuali e richiedenti necessariamente l'intervento di un avvocato dell'ente, ma anche altri oneri e attività accessorie e complementari a quelle legali inerenti anche al personale amministrativo degli uffici legali. Ne derivava l'infondatezza dell'assunto degli odierni ricorrenti principali, secondo il quale tale rimborso forfetario, in quanto riferito alle competenze di procuratore ed onorari di avvocato riscosso dall'ente, spettasse direttamente e per intero agli avvocati ai sensi dell'art. 30 d.P.R. n. 411/76.

Tale ultima normativa, infatti, si riferisce a somme aventi ab origine natura di compensi professionali liquidati in favore dell'INPS secondo tariffe professionali e poste a carico di controparti soccombenti nei confronti dell'istituto. Invece, la destinazione dell'importo in questione (2%) era collegato allo svolgimento di molteplici attività svolte in favore del cessionario, importo spettante all'istituto in base ai relativi contratti di cessione.

Ancora correttamente l'impugnata sentenza ha notato che non si vede per quale ragione un aspetto concernente il trattamento retributivo di dipendenti INPS avrebbe dovuto essere oggetto di contratti di cessione intervenuti con la società di cartolarizzazione, vale a dire con un soggetto terzo non interessato all'assetto delle retribuzioni degli avvocati del cedente.

Né potrebbe giungersi a diverse conclusioni valutando la richiesta degli odierni ricorrenti in base all'accordo sindacale del 4.6,03 (che prevedeva la distribuzione agli avvocati interni del 70% degli introiti in questione).

Invero, ribadito che le somme in questione non costituiscono onorari, esse non potevano essere attribuite agli avvocati né ai sensi dell'art. 30 d.P.R. n. 411/76 né In base al suddetto accordo sindacale, recepito nella determina n. 805/03.

Infatti, per i lavoratori alle dipendenze di datori di lavoro pubblici, l'art. 2 co. 3 del d.lgs. n. 29/93 (come sostituito dal d.lgs. n. 80 del 1998) e l'art. 2 co. 3 del d.lgs. n. 165/01 prevedono che l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi, con la precisazione che contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto".

L'attribuzione di trattamenti economici ulteriori è dunque riservata ad un contratto collettivo validamente stipulato.

Tale non può ritenersi l'accordo sindacale del giugno 2003, in quanto l'art. 40 d.lgs. n. 165/01 stabilisce che "La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate".

L'accordo del giugno 2003 (che - per altro - avrebbe avuto bisogno d'un atto applicativo in realtà mai intervenuto) esorbita dalle materia riservate dal contratto collettivo nazionale alla contrattazione integrativa, tra le quali non è prevista la corresponsione diretta di trattamenti economici in favore del personale.

In definitiva esclusa la natura di onorari del rimborso a forfait di cui si controverte, non sussiste alcun aggancio normativo che consenta l'attribuzione diretta agli avvocati interni delle somme oggetto di domanda, domanda neppure suscettibile di essere accolta in base all'accordo collettivo 19.12.05, che prevedeva soltanto che una parte delle risorse de quibus fossero destinate a finanziare il fondo dei trattamenti accessori dei professionisti dell'Istituto e, dunque, non direttamente gli avvocati; il clt. accordo 19.12.05 prevedeva, inoltre, la necessità d'una espressa adesione, da manifestarsi nelle forme di cui agli artt. 65 e 66 del d.lgs. n. 165/01 e agli artt. 410 e 411 c.p.c., "entro 60 giorni dalla data di stipula del presente accordo, con conseguente rinuncia all'azione giudiziaria ed impegno alla cessazione dell'eventuale giudizio in corso con compensazione delle spese", il che non risulta nella fattispecie.

Le considerazioni che precedono assorbono la disamina di ogni altra argomentazione fatta valere dalle parti.

3.1. - Con unico motivo il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 434, 436, 115 e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione, nella parte in cui l'impugnata sentenza ha dichiarato nulla la domanda di condanna dei ricorrenti alla restituzione delle somme ricevute in forza dei decreti ingiuntivi opposti, nonostante che tale avvenuto pagamento costituisse circostanza di fatto non solo documentata, ma neppure contestata dagli odierni ricorrenti principali.

3.2. - Il motivo è fondato e ciò vuoi in virtù del noto principio di non contestazione che presiede al rito speciale (e ora, come confermato pure dalla novella dell'art. 115 c.p.c. attuata dall’art. 45 co. 14° legge n. 69/09, anche a quello ordinario), vuoi in forza del rilievo che - contrariamente a quanto asserito dalla sentenza impugnata - la domanda restitutoria proposta dall'INPS non era nulla, ben potendosi avanzare anche domande di condanna in via generica (riservandosi ad altra sede l'effettiva determinazione del quantum debeatur, che può anche - in ipotesi - essere poi del tutto escluso all'esito del successivo giudizio, alla luce d'una completa cognizione del caso concreto: cfr., ex aliis, Cass. n. 9290/14).

4.1. - In conclusione, il ricorso principale è da rigettarsi, mentre quello incidentale va accolto, per l'effetto cassandosi la sentenza impugnata in ordine al ricorso accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a verificare se e quanto sia stato pagato dall'INPS (e a quali dipendenti) in esecuzione dei decreti ingiuntivi opposti, provvedendo di conseguenza sull'istanza restitutoria avanzata dall'istituto.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso Incidentale, rigetta quello principale e cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.