Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MILANO - Sentenza 15 gennaio 2016, n. 139

Tributi - Redditometro - Beni indice di capacità contributiva - Presunzioni semplici - Redditi dichiarati pari a zero - Disponibilità di somme non imponibili - Somme conseguite a titolo di risarcimento danni - Prova - Illegittimità dell’avviso di accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la Sig.ra (..:) impugnava l'avviso di accertamento n. (....)ai fini Irpef, per l'anno di imposta (...). Con esso l'Agenzia delle Entrate, come risultato di accertamento sintetico, aveva contestato redditi complessivi maggiori rispetto a quelli dichiarati dalla contribuente, ossia a fronte degli € 0,00 dichiarati. I beni-indice utilizzati dall'amministrazione nella rideterminazione del reddito erano: i) un autoveicolo; ii) l'abitazione principale; iii) un premio assicurativo; iv) l'abitazione secondaria; v) la quota relativa agli incrementi patrimoniali (consistenti nell'acquisto di un'altra autovettura).

L'attuale appellante, dopo l'insuccesso della procedura di accertamento con adesione, lamentava un uso distorto dello strumento del "redditometro", con l’amministrazione tributaria che non avrebbe tenuto conto delle giustificazioni fornite dal privato, volte a dimostrare come la capacità contributiva contestata trovasse piena giustificazione nelle somme a disposizione del privato, ma sottratte all'imposizione (in particolare, la polizza RC doveva essere esclusa dal calcolo del redditometro; l'autoveicolo era stato acquisito a seguito di successione; vi era una disponibilità di € 50.000,00 conseguente a risarcimento danni).

Si costituiva l'Agenzia delle Entrate - (...) affermando la legittimità dell'accertamento induttivo, nonché, nel merito, ribadendo quanto già sostenuto nell'avviso di accertamento.

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva in parte il ricorso, riconoscendo come fondati i soli motivi inerenti alla polizza assicurativa e all'incremento patrimoniale, così da ridurre il reddito accertato dagli originari €. (...) ad €. (...)

Ha proposto appello la Sig.ra (...) lamentando il difetto di motivazione della pronuncia di primo grado, che si sarebbe limitata a una valutazione generale della legittimità del procedimento di accertamento sintetico - mai contestata - senza valutare nel merito la fondatezza delle giustificazioni addotte con il ricorso (la disponibilità di € 50.000,00 conseguentemente a risarcimento danni), sufficienti a dimostrare la correttezza delle somme dichiarate.

Si è costituita l'Agenzia delle Entrate, depositando controdeduzioni a sostegno della fondatezza del proprio operato, nonché presentando ricorso incidentale il relazione ai capi della sentenza a sé sfavorevoli.

Alla pubblica udienza tenutasi in data (...) la causa è stata posta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti presenti e rappresentate in udienza.

 

Motivi della decisione

 

Questa Commissione ritiene fondato e, pertanto, accoglie l'appello promosso dalla contribuente, non condividendo l'esito del giudizio di primo grado a fronte della mancata considerazione della disponibilità di somme non imponibili, tali da giustificare le spese imputabili al privato quale conseguenza dei beni-indice individuati dall'amministrazione. Si respinge, invece, l'appello incidentale, considerata la correttezza della pronuncia della C.T.P. in relazione alla non imputabilità delle somme scaturenti dal premio assicurativo e dall'incremento patrimoniale.

Quella che ha posto in essere l'amministrazione è stata una rigida applicazione dei criteri normativi, un mero calcolo matematico, che ha comportato un effettivo distacco dalla reale condizione della contribuente, con una conseguente lesione del principio di rango costituzionale sancito nell'art. 53 della Norma fondamentale, secondo cui "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche secondo la loro capacità contributiva". Capacità contributiva che deve essere intesa come forza economica reale del singolo. Pertanto, pur ribadendo la piena legittimità dell'accertamento sintetico, un'interpretazione costituzionalmente orientata dalla relativa disciplina impone che la determinazione del reddito tramite il ricorso ad elementi che manifestino induttivamente la capacità contributiva (ossia le presunzioni) sia accompagnata da uno sforzo dell'amministrazione stessa, anche a prescindere dall'intervento del privato, per una ricostruzione della reale capacità del contribuente a partecipare alla spesa pubblica. L'applicazione di valori e coefficienti ministeriali non può, pertanto, essere rigida, asettica, espressione di calcolo esclusivamente matematico, ma deve comunque contenere una riflessione circa l'idoneità di tale risultato a rappresentare la realtà dei fatti, dovendo l'Agenzia delle Entrare, in caso contrario, ricondurre il risultato ottenuto a uno più razionale.

Quanto sopra trova conferma sia nell'operato del legislatore, il quale ha recentemente riformato la disciplina dell'accertamento sintetico per renderla maggiormente conforme all'attuale realtà socio- economica (vedasi D.L. 31 maggio 2010, n. 78 e D.M. 24 dicembre 2012), quanto soprattutto nell'orientamento giurisprudenziale che sta via via consolidandosi tramite un numero crescente di pronunce della Suprema Corte, a cui si intende aderire.

Al riguardo, logica premessa è che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta all'Amministrazione finanziaria, nel quadro dei generali principi che governano l'onere della prova, dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria azionata" (Cfr, Corte di Cassazione, 7 maggio 2007, n. 10345), sicché le presunzioni rientranti nell'ambito dell'accertamento sintetico sono state introdotte per facilitarne il compito: "gli uffici competenti sono autorizzati ad avvalersi della prova per presunzioni, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente" (Cfr, Corte di Cassazione, 7 maggio 2007, n. 10345 e Corte di Cassazione, 13 aprile 2007, n. 8869). Prima di affrontare la tematica del valore da attribuire ai fatti-indice di capacità contributiva, ovvero "presunzioni semplici" o "legali relative", punto fermo deve comunque essere il seguente principio: "la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento nell’art. 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi; che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta" (Cfr. Corte di Cassazione, 15 dicembre 2003, n. 19163). Dunque, per quanto utile, il ricorso agli elementi induttivi non deve comportare un sacrificio del principio della capacità contributiva: l'amministrazione deve compiere "ogni sforzo" possibile al riguardo, sia autonomamente che ricorrendo al fondamentale strumento del contraddittorio con il contribuente. L'importanza di quest'ultimo, fondamentale ai fini della corretta ricostruzione della realtà dei fatti a cui l'amministrazione stessa è vincolata, traspare dall'obbligatorietà di tale istituto esplicitamente prevista nel D.L. n. 78/2010, sebbene suddetta obbligatorietà sussistesse implicitamente anche in relazione alla previgente normativa, poiché "elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa" (Cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637, 26638) e quale espressione principi fondamentali dell’ordinamento tributario di cui allo Statuto dei diritti del contribuente.

Chiarita l'importanza della ricostruzione della realtà dei fatti, pare opportuno prendere una posizione anche in relazione al ruolo che Amministrazione e contribuente devono avere in tale operazione. Come detto in precedenza, entrambi concorrono al conseguimento del risultato dato dall'individuazione della concreta capacità contributiva del singolo, ma il ruolo varia a seconda del fatto che le presunzioni richiamate dalla disciplina dell'accertamento sintetico debbano essere considerate come presunzioni semplici ovvero come presunzioni legali relative.

Nel primo caso l’onere della prova resta a carico dell’Ufficio, che deve integrare il risultato del redditometro con ulteriori riscontri, mentre il contribuente, per vincere la presunzione, deve o contestarne la validità o fornire prova contraria. In questo caso, il giudice deve valutare sia l’applicabilità dello strumento presuntivo al caso concreto sia la prova contraria offerta dal contribuente, sulla scorta del suo libero convincimento.

Qualora si tratti, invece, di presunzioni legali relative, l’amministrazione finanziaria non deve fornire dimostrazioni ulteriori rispetto all'esistenza dei fatti-indice, individuati dal redditometro e posti a base della pretesa tributaria, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base dell'accertamento sintetico non esiste o esiste in misura inferiore. In tale ipotesi è inibita al giudice tributario qualsiasi autonoma facoltà di attribuire diverso valore ai fatti-indice, rispetto a quella attribuitogli dal legislatore, potendo esclusivamente tenere in considerazione la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale o, comunque, non imponibile delle somme dirette alla concretizzazione di tali elementi presuntivi.

Il rispetto del principio di capacità contributiva, di rango costituzionale, cosi come quello di ragionevolezza, che regola l'attività della pubblica amministrazione, impone l'adozione di un orientamento che consideri le presunzioni in questione come "semplici" e "non legali relative" (si vedano al riguardo Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18 dicembre 2009, n. 26635; Corte di Cassazione, 17 giugno 2011, n. 13289; Corte di Cassazione, 20 dicembre 2012, n. 23554), cosicché l'Agenzia delle Entrate stessa sia maggiormente coinvolta nella ricostruzione della realtà dei fatti.

Il tutto in piena conformità con l'art. 24 della Costituzione che, come affermato dalla stessa Corte Costituzionale, 23 luglio 1987, n. 283, impone l'assenza di limiti alla prova circa l'insussistenza degli elementi e delle circostanze di fatto di cui all'accertamento induttivo, ben potendo il contribuente corroborare la propria posizione con altrettante presunzioni semplici, anch'esse rimesse all'apprezzamento del giudice.

Dando applicazione dei principi ut supra delineati al caso di specie, come detto, l'Amministrazione tributaria si è limitata a porre in essere una rigida applicazione dei criteri normativi, senza alcuno sforzo aggiuntivo e, di fatto, senza tenere in debita considerazione le argomentazioni fornite dal privato. Queste ultime, infatti, integrano prova contraria sufficiente e adeguata per dimostrare l'inesistenza del reddito presunto con l'accertamento sintetico, ossia la coerenza tra la dichiarazione dei redditi e il "tenore di vita" della contribuente.

Innanzitutto, come correttamente riconosciuto dai giudici di prime cure, non possono tenersi in considerazione ai fini della rideterminazione sintetica del reddito le somme relative al premio assicurativo e all'incremento patrimoniale. Come dimostrato dal privato, infatti, il primo concerne l'RC auto, esclusa dal redditometro, mentre il secondo consegue da un'acquisizione a titolo gratuito per successione. L'amministrazione, in aggiunta, non ha né puntualmente contestato, nel proprio appello incidentale, quanto sostenuto dalla contribuente e riconosciuto dal giudice a riguardo, né ha a fornito elementi idonei a smentire le argomentazioni ultime citate.

Quanto alla somma residua contestata, essa trova giustificazione nella disponibilità a partire dal (...) come dimostrato con la produzione di specifico estratto conto) di €. 50.000,00 a titolo di risarcimento danni, sufficienti a coprire i costi scaturenti dai beni-indice individuati dall'amministrazione tanto per l'anno (...) quanto per l'anno (...)

Poco conta che la somma degli importi contestati per le due annualità fiscali ultime citate superi l'importo di € 50.000,00: si ricorda, infatti, la natura sintetica e presuntiva dell'accertamento svolto dall'amministrazione, sicché l'assenza di una corrispondenza piena tra i valori può essere superata a fronte della ragionevole adeguatezza dell'ammontare frutto del risarcimento dei danni per far fronte alle spese relative ai beni-indice.

La particolarità del caso, comunque, suggerisce alla Commissione la compensazione delle spese di lite.

 

P.Q.M.

 

Accoglie l'appello principale; respinge l'appello incidentale e in riforma della sentenza impugnata, annulla l'avviso di accertamento.

Spese compensate.