Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 gennaio 2016, n. 625

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Dichiarazione di fallimento - Requisiti di fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, l.fall., nel testo riformato dal d.lgs. n. 5 del 2006 - Onere della prova a carico dell'imprenditore

 

Svolgimento del processo

 

Su ricorso della M. s.p.a., quale mandataria della F.S.G. s.p.a., il Tribunale di Palermo, con sentenza 10 maggio 2007, dichiarava il fallimento del C.C. di D.T. e B.S. s.n.c., nonché dei soci illimitatamente responsabili.

Il successivo gravame era rigettato dalla Corte d'appello di Palermo con sentenza 27 ottobre 2008.

La corte territoriale motivava

- che sebbene l’onere della prova del mancato superamento della soglia di fallibilità stabilita dall’art. 1 della legge fallimentare fosse stato posto espressamente a carico dell'imprenditore solo con il d. Igs.12 settembre 2007 n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5), inapplicabile ratione temporis alla fattispecie, tuttavia esso aveva solo consacrato formalmente il principio già affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l'officiosità del processo fallimentare operava pur sempre nell'ambito delle domande e delle eccezioni svolte; e nella specie la società resistente, costituitasi nella fase prefallimentare, non aveva fornito alcuna prova in ordine alla causa di esonero per mancato raggiungimento delle soglie dimensionali dell'impresa ivi previste.

Avverso la sentenza, non notificata, la C.C. s.n.c. ed il socio, sig. T.D. proponevano ricorso per cassazione con ricorso, in unico motivo, notificato il 27 ottobre 2009.

Deducevano la violazione dell'art. 1 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 ed il vizio di motivazione, per omesso accertamento dei presupposti oggettivi che rendessero l'impresa assoggettabile a fallimento.

Resisteva con controricorso la F.S.G. s.p.a.

All’udienza del 27 novembre 2015 il Procuratore generale ed il procuratore della F.S.G. s.p.a. precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è infondato.

L'art. 1, r. d. 16 marzo 1942 n. 267, nella formulazione novellata dal d. Igs. 9 gennaio 2006 n. 5, applicabile ratione temporis, dichiara soggetti a fallimento gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori. Aggiungendo, testualmente, al secondo comma: "Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: A) hanno effettuato investimenti dell'azienda per un capitale di valore superiore ad euro 300.000; B) hanno realizzato in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio l'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore ad euro 200.000".

Sebbene l'onere della prova del mancato superamento dei predetti limiti sia stato posto espressamente a carico dell'imprenditore solo con il successivo d. Igs. 12 settembre 2007 n. 169, con effetto a decorrere dall'1 gennaio 2008 ("Non sono soggetti alle disposizioni sui fallimento sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti.."), pure, si deve attribuire al predetto emendamento efficacia interpretativa di un principio implicito nella formula originaria: la quale poneva già come regola generale l'assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e come esclusione - e cioè, come fatto impeditivo, costituente un'eccezione in senso tecnico - la qualità di piccolo imprenditore, legalmente desumibile dal mancato raggiungimento dei presupposti dimensionali sopra ricordati.

Né tale conclusione può essere contrastata con riferimento alla natura officiosa del procedimento fallimentare, tenuto conto che esso ha natura relativa (Cass., sez.l, 20 agosto 2004 n. 16356), importando solo che il tribunale possa attingere elementi di giudizio dagli atti e documenti acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione di parte; ma non pure che debba trasformarsi in organo ufficioso di ricerca della prova: tanto meno, ove l'imprenditore neppure si costituisca in giudizio e quindi non depositi i propri bilanci dell'ultimo triennio, rilevanti ai fini in esame.

Per il resto, i ricorrenti contestano, inammissibilmente nel merito, l'accertamento dell'insolvenza da parte del tribunale, correttamente motivata anche con riferimento alle risultanze dello stato passivo, che mostrano l'esistenza di ingenti debiti verso il ceto bancario e induttivamente confermano l'incapacità soddisfarli con mezzi ordinari.

Il ricorso è dunque infondato e va respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e dei numero e complessità delle questioni trattate.

 

P.Q.M.

 

- Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi € 7.200,00, di cui 7.000,00 per compenso.