Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 febbraio 2016, n. 6884

Cooperativa - Fideiussione - Omessa indicazione nei bilanci - Ostacolo alle funzioni di vigilanza - Reato - Prescrizione ampia

 

Fatto e diritto

 

1. Con sentenza pronunciata il 12.12.2014 la corte di appello di Trento confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Trento, in data 10.12.2013, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato G.R., P.F. e A.C. alle pene ritenute di giustizia, in relazione al reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., in quanto, nelle loro rispettive qualità di presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro-tempore, di direttore e di vice direttore generale della società cooperativa "L.V.", omettevano sia di indicare nei bilanci societari la fidejussione di euro 12.200.000,00 rilasciata il 2.11.2005 dalla suddetta società cooperativa in favore di "I. s.p.a" nell'interesse della controllata "E. s.p.a.", sia di informare, in violazione di specifici obblighi di legge, tra gli altri, l'organo di revisione, in tal modo ostacolando l'esercizio delle funzioni di verifica e di controllo degli organi preposti alla vigilanza sulla gestione economica della cooperativa, che ne venivano a conoscenza solo nel giugno del 2010, provvedendo, di conseguenza, a disporne il commissariamento solo nel settembre del 2010.

2. Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione con un unico atto di impugnazione sorretto da motivi comuni tutti gli imputati, a mezzo dei loro difensori, avv. M.S. ed avv. L.P., del Foro di Trento, lamentando: 1) violazione di legge in relazione al reato di cui all'art. 2638, c.c., in quanto la corte territoriale ha desunto la responsabilità penale degli imputati esclusivamente sulla base del dato oggettivamente incontestabile della mancata annotazione della fidejussione nei conti d'ordine della società, senza estendere la propria indagine all'elemento soggettivo del reato, al fine di dimostrare, come sarebbe stato necessario, che la condotta omissiva sia stata sorretta dalla specifica volontà di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza delle pubbliche autorità ad esse preposte; peraltro, evidenziano i ricorrenti, la corte territoriale, nel disattendere le doglianze difensive sul punto ha osservato che, in realtà, nel caso in esame, non ricorre l'ipotesi di reato di cui al primo comma dell'art. 2638, c.c., ma quella di cui al secondo comma della medesima norma, punita a titolo di dolo generico, fattispecie di cui, tuttavia, secondo i ricorrenti, difettano gli elementi costitutivi, in quanto, da un lato non sussiste un autonomo dovere di comunicazione avente ad oggetto l'attendibilità e la completezza delle singole poste dei bilanci, quale l'avvenuto rilascio di una fidejussione, nel caso, come quello in esame, in cui i bilanci societari sono stati sempre comunicati agli organi interni ed esterni di vigilanza, dovendosi, peraltro, ritenere che ogni violazione del dovere di comunicazione ricada nella previsione normativa di cui al primo comma dell'art. 2638, c.c.; dall'altro non può affermarsi che dalla omessa comunicazione di anche una sola delle suddette poste derivi il verificarsi dell'evento materiale di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, fattispecie caratterizzata da notevole indeterminatezza, in cui non può farsi rientrare l'omissione dell'annotazione di una singola posta di bilancio, omissione oltretutto facilmente superabile attraverso il semplice e doveroso esame da parte degli organi di vigilanza e di controllo della documentazione contrattuale di supporto della più rilevante tra le operazioni finanziarie poste in essere dalla società cooperativa; 2) violazione di legge in relazione al mancato rilievo della intervenuta estinzione per prescrizione del reato, in quanto, trattandosi di reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti, essendo stata la fidejussione rilasciata il 28 ottobre del 2005, quindi nel corso dell'esercizio sociale del 2005, essa avrebbe dovuto essere iscritta nei conti d'ordine del bilancio chiuso al 30.6.2006, che rappresenta il dies a quo del relativo termine prescrizionale, pari, nella sua massima estensione, a sette anni e sei mesi; 3) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'A., che, essendo un mero dipendente della cooperativa, non può ritenersi titolare della posizione di garanzia di cui all'art. 2638, c.c., ovvero destinatario dei relativi obblighi; né la corte territoriale ha indicato in cosa sarebbe consistito il concreto contributo fornito dall’imputato ai soggetti qualificati nella commissione del reato proprio, non potendosi ritenere tale il ruolo, definito rilevante, svolto dal ricorrente nella gestione dell'operazione "acquisizione C.G." all'interno della quale si colloca il rilascio della garanzia fidejussoria.

3. I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.

4. Ed invero infondato appare innanzitutto il primo motivo di ricorso.

Al riguardo non appare revocabile in dubbio che l'art. 2638, c.c. ("Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza") appartenga al genus, individuato dalla dottrina penalistica, delle "norme miste cumulative", prevendendo, con particolare riferimento al contenuto del primo e del secondo comma, distinti fatti di reato, sanzionati con la stessa pena.

In particolare, ai sensi del primo comma dell'art. 2638, c.c., "gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni.

La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi"

Il secondo comma della fattispecie incriminatrice, invece, statuisce che "sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.

La coincidenza dei soggetti attivi del reato (in entrambi i casi si tratta di reato proprio) non fa venir meno la differenza ontologica dei fatti punibili.

Ed invero, come è stato opportunamente affermato, l'incriminazione di cui all'art. 2638, co. 1, c.c., è incentrata su due condotte, dotate di pari offensività: l'esposizione di fatti non rispondenti al vero e l'occultamento (anche parziale), con altri mezzi fraudolenti, di fatti la cui comunicazione sia imposta da una fonte normativa, non esclusivamente identificabile nella legge, ma che in quest'ultima trovi la sua legittimità.

L'ipotesi presa in considerazione dal secondo comma dell'art. 2638, c.c., invece, richiede, per la sua consumazione, che si sia realizzato un effettivo ostacolo alle funzioni di vigilanza, configurandosi come un reato di danno, laddove l'ipotesi di cui al citato primo comma si presenta come un reato di pericolo concreto, in cui, come è stato osservato dalla migliore dottrina penalistica, "l'ostacolo alle funzioni di vigilanza è solo l'oggetto sperato del dolo specifico", secondo un modello di tutela anticipata del bene giuridico protetto, focalizzato sulla natura fraudolenta delle condotte finalizzate ad ostacolare le funzioni di vigilanza mediante falese informazioni.

Il delitto di cui all'art. 2638 c.c., comma 1, è, dunque, un reato di mera condotta, integrato sia dalla mera omessa comunicazione di informazioni dovute (cfr. Cass., sez. 5^, 7.12.2012, n. 49362, rv. 254065), sia dal ricorso a mezzi fraudolenti volti ad occultare all'organo di vigilanza l'esistenza di fatti rilevanti per la situazione economica, patrimoniale finanziaria della società (cfr. Cass., sez. 6^, 9.11.2010, n. 40164, rv. 248821), che si consuma nel momento in cui viene posta in essere una delle condotte alternative previste dalla menzionata disposizione normativa, finalizzata a celare la effettiva realtà economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti al controllo delle autorità

pubbliche di vigilanza (cfr. Cass., sez. 5^, 04/07/2013, n. 51897, rv. 258033; Cass., sez. 5^, 21/05/2014, n. 26596, rv. 262637).

Il delitto previsto dall'art. 2638, co. 2, c.c., invece, è un delitto di evento, per la cui consumazione è necessario che si sia verificato un effettivo e rilevante ostacolo alle funzioni di vigilanza degli organi a ciò preposti, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, anche quella consistente nella omissione delle comunicazioni dovute alle predette autorità (cfr. Cass., sez. 5^, 07/12/2012, n. 49362, rv. 254065), conformemente alle prescrizioni sulla incriminazione anche dei comportamenti omissivi contenute nell'art. 11, lett. b), della legge delega per la riforma del diritto societario, in base alla quale è stato emanato il d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, che, nel rimodulare la disciplina dei reati societari, ha modificato, tra gli altri, anche l'art. 2638, c.c.

Atteggiandosi nei diversi modi innanzi indicati la condotta illecita prevista dall'art. 2638, co. 1 e 2, c.c., che, lo si ripete, configura due differenti ed autonome ipotesi di reato, non può revocarsi in dubbio che quando essa si concretizzi, come nel caso in esame, nella omessa comunicazione alle autorità di vigilanza di informazioni dovute, sia configurabile un concorso formale di reati cd. eterogeneo, caratterizzato, cioè, dalla contemporanea violazione di diverse disposizioni di legge con una sola omissione, conformemente alla previsione dell'art. 81, co. 1, c.p.

Ne consegue che la censura dei ricorrenti, volta a far valere un difetto di motivazione della sentenza impugnata con riferimento al dolo specifico richiesto per l'integrazione dell'ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 1, c.c., cui si pretende di ricondurre la condotta degli imputati, non coglie nel segno, perché la suddetta condotta, ricostruita dai giudici di merito, come si è detto in termini omissivi, è idonea ad integrare anche la (diversa) ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., per la quale è sufficiente il dolo generico.

Sul punto la motivazione della corte territoriale appare approfondita ed immune da vizi logici e di diritto.

Il giudice di appello, infatti, secondo un percorso motivazionale del tutto condivisibile, nel ricondurre la condotta dei prevenuti al paradigma normativo di cui all'art. 2638, c.c., ha innanzitutto evidenziato come, ai sensi della legge regionale n. 5 del 9.7.2008, "gli organi della cooperativa in questione erano tenuti alla comunicazione dei bilanci alla Federazione Trentina della cooperazione, quale società di revisione, anche al fine di consentire un controllo mediato da parte della Provincia (tanto che la proposta di commissariamento avanzata dagli Uffici Provinciali proveniva proprio dalla Divisione Vigilanza della suddetta Federazione)", per cui non è "fondatamente sostenibile che la mancata appostazione della fidejussione nei conti d'ordine della società sia penalmente irrilevante".

Si è, dunque, verificato, come correttamente rilevato dal giudice di appello, attraverso la suddetta mancata appostazione, un concreto e rilevante ostacolo alle funzioni di controllo e di revisione, quindi di vigilanza, che la menzionata legge regionale attribuisce alla Provincia (anche per il tramite dell'associazione di rappresentanza del movimento cooperativo, come previsto dall'art. 21, legge regionale n. 5 del 2008), che, infatti, "ha provveduto al commissariamento della Cantina LA.VIS con notevolissimo ritardo (delibera 1965 del 1.9.2010)" (cfr. p. 8 della sentenza oggetto di ricorso).

La corte territoriale, infine, si è soffermata specificamente anche sul profilo dell'elemento soggettivo del reato, evidenziando come la prova del dolo generico si desuma dalle modalità della condotta (gli imputati hanno occultato ai soci, ai terzi ed alle stesse strutture amministrative della società "gli aspetti maggiormente pregiudizievoli dell'acquisizione"); dalle qualifiche soggettive rivestite dagli imputati e dall'importo ingentissimo dell'obbligazione assunta dalla società (tutte circostanze che escludono un comportamento meramente colposo), in ciò conformandosi al costante insegnamento del Supremo Collegio, secondo cui la prova della volontà di commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l'azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l'evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 6^, 6.4.2011, n. 16465, rv. 250007).

5. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.

Proprio la natura di reato di danno a forma libera della fattispecie di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., ne legittima la costruzione anche in termini di reato eventualmente permanente, di reato, cioè, che, nel concreto atteggiarsi della condotta criminosa, può assumere la forma tipica del reato permanente, in relazione al quale il soggetto agente ha il potere non soltanto di instaurare la situazione antigiuridica, ma anche di rimuoverla, determinando così la riespansione del bene compresso, sicché il protrarsi dell'offesa al bene protetto, che richiede il mantenimento dello stato antigiuridico per un apprezzabile lasso di tempo, dipende dalla volontà dell'autore del reato (cfr., in tal senso, da ultima, Cass., sez. 5A, 3.2.2015, n. 28157, rv. 264915).

Applicando tali principi al caso in esame è, dunque, possibile affermare che la consumazione del reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, realizzato, secondo la previsione tipica dell'art. 2638, co. 2, c.c., omettendo le comunicazioni dovute alle suddette autorità, si protrae per tutto il tempo in cui le comunicazioni, pur potendo ancora essere utilmente effettuate, continuano ad essere omesse, costituendo, per l'appunto, significativo indice rivelatore della permanenza la sistematica pluralità di omissioni di identico contenuto poste in essere dal soggetto agente, che trovano la loro ragione giustificatrice nel fattore unificante dell'ostacolo alle funzioni di vigilanza, conformemente ai tratti salienti del reato eventualmente permanente, come elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., oltre alla già citata Cass., sez. 5^, 3.2.2015, n. 28157, rv. 264915, Cass., sez. 3^ 25.6.2012 n. 37415, rv. 253359; Cass., sez. 3^, 10.6.2014, n. 30910, rv. 260011; Cass., sez. 6^, 25.9.2014, n. 49226, rv. 261355).

Ne consegue che il termine di prescrizione del reato per cui si procede (pari nella sua estensione massima a sette anni e sei mesi) non può ritenersi perento.

Ed invero, essendo stata fissata al 2.11.2011 la durata della fidejussione, come accertato dai giudici di merito, l'obbligo di riportare in bilancio la concessione della suddetta garanzia, in modo che ne avessero contezza gli organi di vigilanza, poteva e doveva essere adempiuto anche per gli anni successivi al 2006, per cui il dies a quo del relativo termine di prescrizione non deve individuarsi nel 30.6.2006, ma piuttosto, in quello (non prima del giugno 2010) in cui gli organi preposti alla vigilanza sulla gestione economica della cooperative ne vennero a conoscenza.

6. Manifestamente infondato, infine, deve ritenersi l'ultimo motivo di ricorso, che, peraltro, appare anche meramente ripetitivo delle doglianze prospettate con l'atto di appello, disattese dalla corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, con la quale il ricorrente non si confronta, limitandosi a proporre una nuova ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv. 255502).

Come rilevato, infatti, dalla corte territoriale, alle luce di una puntuale valutazione delle risultanze processuali, l'A., lungi dall'essere un semplice impiegato d'ordine della "Cantina LA.VIS....aveva rivestito una posizione primaria nella trattativa e nell'intera operazione dell'acquisizione di C.G.", venendo indicato dal teste G. (la cui attendibilità non ha fornito oggetto di contestazione da parte del ricorrente) "come un soggetto, altamente qualificato, che si era occupato dell'operazione in esame, della redazione dei bilanci e delle scritture della cooperativa Cantina LA.VIS" e "come la persona che manteneva i rapporti con la Divisione Vigilanza della Federazione delle cooperative".

Lo stesso imputato del resto, come sottolinea opportunamente la corte territoriale al fine di dimostrare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo all'A., ha ammesso di essere stato a conoscenza della fidejussione prestata, "pur non riuscendo a spiegarsi la mancata indicazione a bilancio della stessa".

Né va taciuto che il ricorrente, quanto meno a far data dal 2008, come rileva la corte di appello, "rivestiva la posizione di vice direttore generale della cooperativa" (cfr. pp. 10-12).

Se ne deduce, pertanto, che, in considerazione del ruolo dirigenziale e non meramente esecutivo in concreto svolto dall'A. all'interno della cooperativa ed anche della posizione formale dallo stesso assunta a partire dal 2008 (tenuto conto, sotto tale ultimo profilo del carattere permanente della condotta illecita in esame), l'imputato rientra nel novero dei soggetti destinatari del precetto penale, quanto meno nella sua qualità di vice-direttore generale (figura equiparabile a quella di direttore generale, per la sua posizione apicale, che lo distingue dagli altri dirigenti) ovvero di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, che ha violato concorrendo con gli altri imputati ad ommettere le dovute comunicazioni.

7. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.